Giovedi, 22/10/2009 - Raccolgo la sollecitazione sull’intervista della Muraro, perché si richiama a temi toccati ma non esauriti nell’assemblea del 10 alla casa internazionale.
Le differenti realtà del femminismo, senza mai essere nominate direttamente, sono state invitate a protestare per la clamorosa e reiterata esposizione del maschilismo nei vertici de paese. In sostanza, sempre innominate, le associazioni e le realtà femministe, sono state accusate di inerzia. L’uso alternativo e casuale di parole come donna, femminismo e movimento dà il senso del vuoto di confronto di questi anni tra politica e soggetti organizzati femminili.
Muraro dà la sua risposta, parafrasando la Bindi: “le donne non sono a disposizione della sinistra”.
Una risposta chiara e che riassume l’atteggiamento consapevole e pensoso che in questo momento attraversa, non a caso, le donne che la politica non hanno mai smesso di farla e di dichiararla.
Per tutta l’intervista, breve ma densa, emerge un pensiero e una pratica della distanza non solo dalla politica maschile, ma anche da quella costruita da altre donne.
Infatti l’unità delle donne non esiste, come non esiste un pensiero che sintetizzi tutte le anime che si consolidano nei differenti percorsi politici. La condivisione di una risposta non è la condivisione di un pensiero.
La definizione “donne normali” che ricorre, non solo nell’intervista, e non solo da Muraro, come paradigma di una politica “altra da quella praticata nel potere”, se comunica bene l’intenzione di rifuggire dall’agire pubblico controllato dagli uomini, resta in un vago contorno che chiama in causa tutte e nessuna.
Chi sono le donne normali? Sono quelle fuori dal sistema istituzionale? Sono povere, ricche, disoccupate, madri lesbiche o etero?
Le donne offese, in qualsiasi posizione si trovino rispetto al potere patriarcale, sono offese con la stessa normalità di tutte le altre. E l’offesa è sempre legata alle loro qualità di corpi.
Le donne offese, in quanto offese, diventano donne normali?
È questa la normalità sulla quale contiamo per non soccombere?
Lo studio femminile sulle origini del patriarcato ha illuminato gli aspetti attuali dell’oppressione femminile, come la trasmissione e la valorizzazione del governo quotidiano agito dalle donne ha restituito loro la dignità politica. Quei saperi rendono possibile la critica selettiva di quelle che approssimativamente vengono appellate come debolezze o come punti di forza. È attraverso quella lente che è possibile vedere che le violenze sessuate non sono un anacronismo incidentale, bensì un fondamento delle diverse forme di stato, e solo apparentemente stridono coi modelli di sviluppo.
Lo stupro non è un retaggio, né la liberazione di un istinto primordiale, bensì l’affermazione imprescindibile, per la gerarchia, del ribaltamento della scelta del partner. Si tratta dell’artificio cruento per l’affermazione della patrilinearità, che si può concretizzare solo demonizzando, comprimendo ed impedendo la seduzione femminile, in quanto facoltà di selezionare.
L’offesa fa memoria di questo: è la metafora dello stupro che circoscrive e controlla la pretesa della libertà femminile.
Tutte conviviamo, salvando una parte di noi stesse , in un sistema dove il potere politico determina anche il tempo e lo spazio che ognuna si può riservare, ma il sentimento e l’intento coi quali siamo dentro questa consapevole contraddizione, non possono condurci a una esistenza politica parallela e indifferente al potere che prepotentemente si fonda sui nostri corpi fertili.
I corpi fertili di tutte. Non tutte, però, abbiamo lo stesso sentimento di fronte alla prepotenza del potere. Ci sono donne infatti che, per ragioni che storicamente crediamo di conoscere, adorano e servono quel potere. Fino allo stupro ed al femminicido, lì dove si fermano le inclinazioni personali ed avvengono la rovina, la malattia, la morte.
Ma tanto è: se il potere è confuso, possono esserlo le donne. E le donne confuse (nel senso di fusione con) sono anche le donne comuni, di destra e di sinistra. Donne che non sono rappresentate e rappresentabili in un soggetto unico. Infatti la divisione netta, e lo dimostrano i fatti che vediamo, tra donne che si ricavano nicchie nei partiti, nelle istituzioni, nei sindacati, nelle centrali produttive e culturali, e quelle che stappano spazi nella dimensione esterna al potere, è insostenibile. Le une e le altre sono nello stesso mondo. Ci stanno diversamente solo fin quando non sono offese, è quello il momento in cui la convivenza diventa stridente contraddizione. Spesso il conflitto con la propria presunta debolezza, diventa il conflitto con l’errore e la debolezza altrettanto presunte delle altre.
Nel nostro paese il bipolarismo ha reso evidente che tra due schieramenti , e non in ragione dell’essere in “democrazia” , l’alternanza è una formula di continuità e di mantenimento della struttura patriarcale. Le donne sono nominate differentemente, ma ugualmente sottoposte nella gerarchia. Sembra ormai troppo asettico anche il termine oppressione, di fronte al tipo di legittimazione cui sono sottoposte le donne, che oscilla tra l’obbligo al sacrificio (le eroine) e la compiacenza, ma soprattutto di fronte al rafforzamento del controllo sulla maternità e sulla libertà di movimento. Questo avviene per l’incontrollabilità della tecnica medica “privatizzata”, ed anche per l’esaltazione della privacy come luogo dell’invisibilità del sopruso e del delitto.
L’alternanza, cioè mantenimento della pace apparente sul suolo nazionale, ha resa insignificante, e non solo per le donne, la distinzione tra Destra e Sinistra politiche, che sempre di più si connotano con la semplice collocazione parlamentare.
La politica fatta dalle donne se e quando è fatta in nome dell’abolizione delle leggi e dei meccanismi che rendono possibile lo sfruttamento violento delle donne per supportare l’ordine patriarcale dello stato, e che rendono obbligatoria la privazione degli strumenti di difesa , non è automaticamente in sintonia con la sinistra. Sicuramente è progressista, il contrario di conservatrice, ed antiautoritaria. Non per un principio “tradizionalmente” democratico, ma perché l’autoritarismo “serve” a conformare le persone al potere e la persona donna deve essere obbligata a riprodurre e conformare i cittadini, quindi ad essere privata del suo essere persona.
La sostanza della scelta di un percorso è tutta nella prospettiva che ci si offre; se la prospettiva è continuare a superare la condizione subordinata, non si può raccogliere il consenso di tutte, perché alcune o molte, a costo della vita, saranno coi loro capi.
Lascia un Commento