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A proposito di Condì

A proposito di Condì

Mondo/ Un’opinione - Una donna nera e di origini povere è diventata una delle persone più potenti del mondo. Alcune di noi sono “agghiacciate” dal fatto che una donna sia arrivata tanto in alto in un governo guerrafondaio d’oltre oceano

Katia Bellillo Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Dicembre 2004

La prima volta andai in America nel 1987, diretta a San Francisco e Los Angeles. Solo qualche anno più tardi scoprii che la California non era l’America. Girando altri Stati mi resi conto della miseria in cui vivevano interi settori della popolazione .“Il peggio che ti può capitare in America è nascere donna, povera e nera!” mi aveva avvertito un docente universitario italo-americano. Questa battuta mi ritorna in mente mentre leggo che Condoleezza Rice è Segretario di Stato. Subito la mia fantasia si proietta nel 2008 quando due donne potrebbero contendersi la presidenza degli Stati Uniti.
Devo ammettere che ho provato una certa soddisfazione. Con fatica, l’uguaglianza si fa strada e se anche in America le donne bucano il tetto di cristallo del potere politico, economico e finanziario, ci sarà presto un mondo dove metà dell’umanità non sarà più discriminata per un dato biologico.
Insieme alla soddisfazione, provo anche un sentimento di rivincita nei confronti del neofemminismo che da oltre dieci anni ci ripropone il separatismo e la divisione netta fra un mondo maschile e uno femminile, impermeabili fra loro e in conflitto perenne: le donne tutte buone, vittime tutte della natura aggressiva e violenta dei maschi, responsabili questi di ogni male della contemporaneità.
Non mi meraviglia allora il giudizio di alcune femministe sulla Rice, gridano allo scandalo, incapaci di riconoscere in una donna con idee opposte alle loro forza, coraggio e determinazione. In molte non sopportano l’idea che una femmina, e per di più nera, possa incarnare una ideologia liberista radicale, sia disponibile a scatenare guerre illegali, permetta lo sfruttamento dell’ambiente e dei lavoratori.
Insomma, una così non può che essere vittima e strumento di uomini opportunisti, omologata ai modelli maschili, traditrice delle sue sorelle,
Due sessi, gli stessi diritti e l’uguaglianza. Questo era il motore che negli anni 70 aveva sostenuto le battaglie delle donne, tanto che ad un certo punto abbiamo creduto di essere vicine alla condivisione del potere.
La fine della divisione dei ruoli e delle funzioni che nei secoli avevano mortificato la personalità di uomini e di donne, costringendo gli individui ad immedesimarsi in due identità sessuali fissate a priori, apriva la strada ad una nuova libertà che permetteva finalmente il dispiegarsi di una molteplicità di identità. Queste lotte hanno permesso che venisse cancellato non solo il marchio d’infamia all’omosessualità ma hanno aperto la strada, seppure timidamente, ad un altro modo di essere maschi, a partire dalla paternità.
Le lotte delle donne per l’universalità dei diritti cominciava a smantellare i pilastri su cui da secoli si era retto il sistema patriarcale, aveva giustificato la loro schiavitù e fissato i ruoli in un società dove anche la maternità era obbligo e non scelta.
Il lavoro, l’istruzione, l’aborto, la contraccezione, hanno segnato l’inizio di una rivoluzione che avrebbe portato l’umanità verso un progresso morale in cui le differenze diventano irrilevanti perché si è consapevoli di appartenere alla stessa specie e dunque ogni persona è titolare di uguale considerazione morale e sociale.
Le donne, per la prima volta nella storia, si erano conquistate questa titolarità ed entravano in territori da sempre riservati agli uomini, conquistavano il potere, anche per legge, di controllare il proprio corpo.
Ma oggi il rischio di perdere la libertà e interrompere il cammino verso l’uguaglianza incombe, responsabile la crisi economica ma anche le teorie che hanno egemonizzato il pensiero femminista in questi ultimi anni. L’esasperazione del pensiero della differenza con il suo bagaglio di separatismo e di razzismo nei confronti degli uomini ha di fatto ostacolato la lotta ai diritti universali, aperto la strada al ritorno di culture familiste e maternaliste. Come se fosse il conflitto di genere e non le condizioni economiche a determinare i rapporti sociali, come se tra una precaria e una ricca manager non vi fosse differenza, tutte vittime, qui come in Iran, dell’indole predatrice dei maschi. Oppure ancora solo con l’affermazione del pensiero femminile si arriverà alla pace e al benessere.
Questa impostazione che ha affascinato molte donne, di fatto, al di là della loro buona fede, torna utile agli uomini e a un potere maschile che continua a produrre ingiustizie sociali e discriminazioni insopportabili. La differenza di genere, il determinismo biologico, avallano idea come quella che il part time è perfetto per le donne perché serve a curare i figli e poco importa se si guadagna meno e non si fa carriera.
Così alcune intellettuali sono “agghiacciate” che una donna sia arrivata tanto in alto in un governo guerrafondaio d’oltre oceano, sbandierano il vessillo del pensiero femminile come panacea di tutti i mali. Intanto, le donne in carne e ossa, vivono la quotidianità facendo i conti con i soldi che non ti fanno arrivare alla fine del mese, con il doppio triplo lavoro dentro e fuori casa, con la mancanza di asili nido, con mariti precari e sempre più fuori casa impegnati a portare il salario per la sopravvivenza. Queste donne sono rimaste sole e la politica non si preoccupa più di rappresentarle.

* Parlamentare

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