Si colga lo spunto offerto da questo femminicidio per ragionare su cosa c’è che non vada nel modo in cui si narra della violenza familiare e sul come le istituzioni debbano invertire rotta nel contrastarla
Lunedi, 05/11/2018 - Non vogliamo aggiungere altre parole alle troppe, e sbagliate, che in queste ultime ore stanno connotando il femminicidio di Violeta Mihaela Senchiu, avvenuto sabato scorso a Sala Consilina (Sa). Quando ancora stamani chi ne scrive o parla lo tratta quale un atto di follia, ci rendiamo conto di quanto si continui ostinatamente a pensare che uccidere una donna, bruciandola viva dopo avere deciso che quella fosse la sua fine, sia imputabile ad incapacità di intendere e di volere. NO! Come ben sostiene il prof. Claudio Mencacci, Past President della Società Italiana di Psichiatria, nonché direttore del Dipartimento di Neuroscienze del Fatebenefratelli di Milano: “Sulla scorta di diversi dati, tra i quali quelli dell'Istituto europeo di ricerche economiche e sociali (Eures), si dimostra che, in oltre 400 casi, solo il 3,6 % degli uomini che hanno ucciso una donna erano portatori di una malattia mentale. Nella stragrande maggioranza ci troviamo, infatti, davanti a uomini che hanno comportamenti violenti, aggressivi, prepotenti, semplicemente una personalità antisociale ed egoistica, che non tollerano la possibilità per la donna di operare scelte diverse e autonome".
Appunto perché non può leggersi un femminicidio generato da violenza familiare solo riferendosi alle mura domestiche in cui è avvenuto, visto che se ne deve riconoscere la valenza pubblica, si agisca perché le vittime siano protette e tutelate nel proprio bene primario, la vita. Non facciamole morire una seconda o più volte, gettandole addosso non la benzina ma parole sbagliate, quali quelle usate in rete di essere corresponsabili della loro morte, perché non hanno avuto il coraggio di denunciare i soprusi e la violenza di cui erano vittime in ambito familiare. Se quel coraggio non ce l’hanno è perché non sentono i giusti stimoli esterni per agirlo come, ad esempio, un maggiore controllo da parte degli organi preposti, spesso sordi alle loro grida di aiuto. Le istituzioni deputate al contrasto della violenza di genere dovrebbero mettere in campo altre prassi, perché se tutto resta così com’è, nulla cambierà sul fronte dei femminicidi. Continueremo ogni anno, in occasione del 25 novembre a fare l’elenco delle vittime dell’anno in corso, come una sorta di inevitabile e tragica conta numerica, con il rischio che la rassegnazione ci prenda e che l’impotenza ci assalga, perché “così succede”.
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