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A piccoli passi, e tutti in salita

A piccoli passi, e tutti in salita

Intervista a Rita Capponi - Dopo le riforme normative e la tornata elettorale del 3 e 4 Aprile, che ha interessato 14 regioni a statuto ordinario, noidonne fa il punto sull’andamento della presenza femminile nei Consigli regionali

Bartolini Tiziana Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Maggio 2005

“Dopo la riforma del Titolo V della Costituzione le Regioni avrebbero dovuto dotarsi di nuovi Statuti e di nuove norme elettorali per introdurre il principio di parità. Solo 4 su 15 lo hanno fatto: Toscana, Lazio, Puglia e Calabria. Intanto è indubbio che due buone leggi come quella della Toscana e quella del Lazio hanno dimostrato che norme antidiscriminatorie cogenti danno risultati, eccome! Invece leggi blande come quelle della Calabria e della Puglia lasciano quasi il tempo che trovano e due sole elette in ciascuna di queste regioni significano appena un piccolo passo che le conferma all’ultimo posto”. Con Rita Capponi, tra le principali animatrici della campagna “Vota donna perchè...” , analizziamo i risultati decretati dalle urne. “Le elette in Toscana sono 16 e nel Lazio 11. Da questi risultati deriva una lezione per quelle Regioni che debbono ancora dotarsi di una nuova legge elettorale. I dati complessivi dimostrano che nelle leggi elettorali è suicida per le donne l’eliminazione del listino (come ha fatto la Puglia). Infatti, nonostante il suo assorbimento sia oggettivamente imprevedibile in quanto collegato alla costituzione di una maggioranza stabile per il candidato presidente che vince la sfida, un buon numero di elette viene da lì. Si può confermare anche che lo zipper-sistem e cioè il sistema dell’ alternanza uomo-donna risulta il migliore sia nei listini che nelle liste proporzionali a maggior ragione se bloccate e senza preferenza come nella legge della Toscana. E’ questa infatti la scelta che ha consentito alla Francia di eleggere nelle amministrazioni locali quasi la metà di donne e non a caso è il migliore individuato e suggerito a livello europeo. Va da sé, però, che funziona democraticamente se le regole per le candidature sono trasparenti o se candidate/i vengono selezionati attraverso elezioni primarie stabilite per legge, meglio se obbligatorie per tutti i partiti. Le leggi dovrebbero inoltre contenere in ogni caso quote obbligatorie per i listini e per le giunte”.
Si rilevano differenze con le Regioni andate al voto senza norme antidiscriminatorie?
“Meno di quanto ci si potrebbe aspettare. A parte il Veneto e l’Emilia Romagna (che per ragioni diverse hanno visto diminuire le loro consigliere di tre unità ciascuna) si sono verificate sorprendenti aperture, non solo in Umbria e Piemonte come ovviamente ci aspettavamo da due candidate donne come Lorenzetti e Bresso, ma anche dalla Liguria, dalla Campania, dall’Abruzzo. Bassolino e del Turco, ad esempio, nel listino hanno candidato più donne che uomini e questo ha comportato un incremento sensibile delle consigliere”.
Ritiene che la campagna “Vota una donna perche’ ...” abbia avuto effetto?
“E’ necessario insistere perché conserviamo il sistema delle preferenze, unici in Europa con il Portogallo. La preferenza unica, poi, acuisce lo scontro. Il messaggio sta passando, sia pure gradualmente, e in parte smentisce il fatto che le donne non votano le donne. Occorre rafforzarlo coinvolgendo i media e soprattutto la radio -che è sottoutilizzata- ed indirizzarlo anche agli uomini, motivandolo sul terreno della democrazia e dell’inclusione, oltre che delle competenze e dello stile di governo femminile. Ritengo abbia minore possibilità di accoglimento se veicolato come pura scelta di affinità identitaria o sulla base di valutazioni numeriche persino troppo ovvie”.
Che ne pensa delle elette nei listini, non di rado donne “miracolate” prive di storia o militanza?
“Concordo in pieno ed è uno dei correttivi che devono vederci parte attiva. Intanto è utile riaffermare che l’elezione attraverso il listino deve essere una opportunità ed un investimento, non una opzione furbesca. I partiti, che contrattano o impongono i nomi molto più del candidato presidente, devono darsi delle regole chiare. Poiché numeri e qualità devono camminare di pari passo, ritengo indispensabile che in entrambi gli schieramenti rose di nomi papabili emergano da un confronto ampio tra le donne dei partiti, ma anche del modo associativo, delle professioni e in generale della politica altra dove sono molto numerose. Penso ad una sede di dibattito larga, possibilmente trasversale, che diventi luogo di promozione intanto, poi di verifica e di scelta. Una sana competizione tra le donne potrà giovare allo spessore della loro presenza ed assolverà al compito di sottrarre le candidature alla cooptazione pura di donne funzionali a che nulla cambi nello stile consolidato di partecipazione e di governo. L’idea va messa a punto, ma alcuni criteri basilari possono essere questi”.
Ora la partita è quella delle giunte, che si aspetta?
“Dobbiamo ricordare che già nel 2003 l’apertura regionale alle donne registrava negli esecutivi un 4 a 1 per le Regioni governate dal centro sinistra (18,7% del centrosinistra e 5,7% nel centrodestra). Oggi, a fronte anche di un aumento di consigliere che passa dal 9% al 12,7%, questo trend vada rafforzato con la promozione di competenze esterne e può rappresentare una chiave di volta. La Sardegna con Soru, senza imposizioni di legge è passata da zero a sette assessore, il 50%! E’ questione di volontà politica e di potere dei presidenti. Le giunte dell’Unione devono dare quindi un segnale evidente e per questo come Comitato abbiamo rivolto un appello allo stesso Prodi perché intervenga sui Presidenti del centrosinistra, che costituiranno un coordinamento. Ci aspettiamo comportamenti univoci nella direzione di una sempre maggiore apertura del sistema politico regionale alle donne”.

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