Lunedi, 20/05/2013 - A Lady in Paris (Une Estonienne à Paris) di Ilmar Raag:
Omaggio all’icona immortale JEANNE MOREAU
di Maria Cristina NASCOSI SANDRI
Con una fotografia ed una delle interpretazioni principali ed i suoi primi piani – quella/i di Laine Mägi, ottima attrice estone come il regista – che in incipit di pellicola portano alla memoria un Dreyer da “Dies irae” post-litteram, esce nelle sale in questi giorni A Lady in Paris, una coproduzione franco-belga estone di cui è autore Ilmar Raag che pare non aver scordato, proprio per quelle immagini, nella sua opera, la sua individuale lezione culturale e civile di origine ugro-finnica. Nemmeno Parigi, nella sua ‘visività’ mantiene il suo èclat di Ville Lumière, se non per un fotogramma o due, proprio per non perdere di vista il sottile e un po’ prevedibile plot che nulla toglie al vero valore del testo filmico.
Claustrofobiche le immagini, le riprese, molto ‘nordiche’, persino i primi piani che, a volte, faticosamente, fan riconoscere i tratti del volto, ma non per questo meno profondo il testo pur nella sua ‘leggerezza’. E la sua levitas viene poi dal seguito del film, un omaggio a Jeanne Moreau, alla sua vita professionale e, forse, privata, sentimentale – pare, a tratti, che il film le sia stato scritto addosso, cucito su misura.
Magistrale la sua interpretazione di primadonna di una vita che le sta sfuggendo dalle mani, da quelle mani, quel corpo di cui lei non ha mai dimenticato il fascino – lo dice anche intra-dialoghi e non si sa quanto sia autobiografico ciò che dice – la sua passionalità mai sopita del tutto, nonostante il suo essere ultraottantenne. Un cuore ed un ‘carattere’ che solo la morte – e magari neppure quella – riusciranno mai a scalfire, una personalità che poi è quella di un’attrice che “ha sparso sensualità come fosse DDT” – per citare l’Hitchcock di “Intrigo internazionale”.
Immortale, dunque, la Moreau che ha attraversato il secolo scorso lavorando con i registi della Nouvelle Vague come François Truffaut – che con Jules e Jim ( 1962) la rese l’icona della disinibizione fino al Bernardo Bertolucci di Dreamers (2003) ed oltre - o il Louis Malle del capolavoro Ascensore per il patibolo (1958), senza dimenticare altri mostri sacri come Orson Welles, Joseph Losey, Louis Buñuel, per non citarne che alcuni per la sua internazionalità di performer che non ha ‘tralasciato’ neppure un grande italiano (ferrarese) come Michelangelo Antonioni che la volle per La notte (1960, parte della tetralogia) e poi la rivolle, 35 anni dopo, in Al di là delle nuvole (1995).
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