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A Kiev con il MEAN: una missione per costruire la pace possibile

A Kiev con il MEAN: una missione per costruire la pace possibile

Il diario di viaggio di Pinuccia Montanari racconta l'XI missione del Movimento europeo di Azione nonviolenta che si ispira all'idea di Alexander Langer: creare corpi civili di pace

Sabato, 27/07/2024 -

Ma L’undicesima Missione a Kyiv, iniziativa del Movimento europeo di Azione nonviolenta (MEAN), si è conclusa a metà luglio avendo registrato la partecipazione di una folta delegazione che ha lavorato su filoni tematici specifici alla presenza anche del nunzio apostolico di Kyiv, mons. Visvaldas Kulbokas, e Vadim Hakaichuk, presidente del Comitato ucraino per l’integrazione europea. I tavoli di lavoro si sono concentrati su questioni concrete, come “i corpi civili di pace europei” o la “Commissione per la verità e la riconciliazione” oppure sul ruolo del dialogo interreligioso ed ecumenico e anche sul grave problema dei “traumi di guerra”. Tra le proposte, quella di istituire una “Commissione per la verità e la riconciliazione” composta da persone e sguardi “al di sopra delle parti” che dovrebbe raccogliere le voci di tutte le vittime allo scopo di sostenere percorsi di ricostruzione materiali e psicologici. Gestire i traumi per chi ha vissuto direttamente la guerra è decisivo per superare le sofferenze che si manifestano con stati di grave depressione, ansia, stress post-traumatico, disturbi bipolare o schizofrenia.
Pinuccia Montanari, attivista del MEAN, spiega che “obiettivo del viaggio in particolare è proporre la creazione dei corpi civili di pace da un’idea di Alexander Langer. Infatti in vista del viaggio abbiamo realizzato il volume Lo sguardo di Alex sulla pace. Da Sarajevo a Kyiv in cui le dieci proposte per la convivenza sono state tradotte in ucraino e russo”.
Pubblichiamo di seguito il diario di viaggio in cui giorno per giorno Pinuccia Montanari ha annotato le tappe, le iniziative e le impressioni.

Le foto a corredo dell’articolo sono di Pinuccia Montanari, Piero Vitti e quella delle ragazze che cantano è di Marco Bentivogli.  

IL SOGNO DEI BAMBINI / 1
Non era quello il sogno dei bambini che erano ricoverati all’ospedale pediatrico di Kiev, il più grande dell’Ucraina. I loro sogni erano stati dipinti su quella parete rimasta miracolosamente intatta, dopo l’arrivo dei missili russi, dopo le esplosioni e gli incendi. Una grande giraffa, in parte visibile sul muro crollato, una deliziosa bambina con i capelli rossi e lo sguardo acuto chino su di un libro. E il sole disegnato con due cuori la guarda sorridendo. Una gita felice in auto, un bambino che si immerge nelle profondità del mare e, a fianco, un arcobaleno, drammatico simbolo di pace su di una parete distrutta dall’esplosione. Un bambino con la maglietta da marinaro scruta il cielo pieno di stelle e il suo sguardo si incrocia con il volto capovolto di un altro sguardo. Il mondo capovolto è il mondo della guerra che non ha spiegazione, non ha perché, soprattutto per i bambini. Vaghiamo come automi tra le palazzine dell’ospedale che mostrano i segni della guerra. Tutte le finestre sono state chiuse con grossi legni. Abbiamo ascoltato davanti alla palazzina principale il racconto del direttore sanitario. Il suo volto trasmetteva tutto il suo dolore, la rabbia per non aver potuto fare di più, il dolore per la giovane collega scomparsa e per i cinque colleghi ancora in difficilissime condizioni, tra la vita e la morte. Ognuno di loro ha cercato di fare il possibile per salvare soprattutto i bambini, malati oncologici costretti al letto e che affidavano ai disegni i loro sogni e la speranza di poter guarire, forse , un giorno e non di morire. Quello che colpisce è la profonda contraddizione tra la necessità di vivere come si fa ogni giorno, come facciamo ogni giorno e l’irrompere neppure più della paura con cui gli ucraini e le ucraine hanno imparato a convivere, ma dell’evento che, improvvisamente, ti ricorda che sei in un luogo di guerra. Come l’allarme che suona in continuazione e ti tira giù dal letto di notte e, se abiti ai piani alti devi farti le scale ogni volta per scendere e salire. Ormai in pochi scendono e raggiungono i rifugi, quando suona l’allarme. E’ inevitabile quando la guerra ti opprime da anni. Ci spostiamo da una palazzina all’altra, ma quando arriviamo al reparto colpito dai missili russi e distrutto due giorni prima, ci soffermiamo in doloroso silenzio. Solo qualche giornalista può fare le foto per nostra decisione, per rispetto del dolore delle persone. Da una porta accanto ad una parete semidistrutta esce una dottoressa con il fonendoscopio al collo, ad accogliere un’ambulanza in arrivo. Nessuno ha voglia di dir nulla. Siamo lì grazie al Mean (Movimento europeo di azione non violenta) per portare solidarietà. Ci hanno detto che non pensavano saremmo arrivati, per via dei missili così nel cuore di Kiev. In quel giorno non fu colpito solo l’ospedale, ma anche altre cliniche, in particolare i reparti di maternità. Eppure siamo qui. E i nostri amici ucraini ne sono infinitamente grati . Durante il rientro nel nostro albergo ci soffermiamo accanto ad uno di questi edifici bombardati. Sembra proprio che le coordinate del missile fossero precisissime. Di zone militari lì intorno non se ne vedono. Si vede una città che cerca di vivere la sua quotidianità, con il dolore stampato sul volto. Mentre siamo fermi davanti alla palazzina colpita dal missile russo e dove c’erano solo bambini e i loro angeli custodi Don Giacomo Panizza, un prete di frontiera che in Calabria affronta la criminalità organizzata ed è vicino alle persone che si ribellano e le sostiene, propone una preghiera. Lo seguiamo guardando il cielo azzurro di Kiev che anche da lì sembra estendersi all’infinito. Cattolici, ebrei, musulmani, ortodossi, atei tutti pregano , ognuno a modo proprio. E non è una preghiera inutile perché affonda le sue radici nella pietà umana, nel dolore per le giovani vite spezzate dall’insensatezza della guerra, nella rabbia di un popolo che resiste all’oppressore russo, che da la vita perché vuole sentirsi Europa e per il sacrosanto diritto a vivere in pace.
Pinuccia Montanari, Kyiv 11 luglio 2024 

LO SGUARDO DELLE DONNE DI FRONTIERA / 2
Dopo una notte trascorsa a Cracovia, e una breve visita alla sinagoga ebraica e al cimitero dove anche noi abbiamo posato una pietra sulle antiche tombe( quelle che non ne avevano) e dopo esserci soffermati in riflessione sulla piazza degli eroi dove le sedie rappresentano i mobili che quando vi fu il rastrellamento di più di diecimila ebrei e la loro uccisione, venivano buttati dagli appartamenti, in segno di grande disprezzo, partiamo alla volta di Kiev. L’ultimo sguardo alla piazza che trasuda di dolore. Le grandi sedie vuote disposte in modo artistico nello spazio immenso, costituiscono un segno della memoria, per non dimenticare. Ma si fa presto a dimenticare. Lasciata Cracovia con il bus raggiungiamo la frontiera con l’Ucraina, dopo un lungo viaggio di circa 4 ore con un caldo terrificante. Avevamo immaginato un tempo ben diverso in Polonia ed Ucraina. Ci scambiamo le prime idee e condividiamo la fatica. Arriviamo alla frontiera con un buon anticipo. Non c’è molto in quel luogo di frontiera. In un bar trovano rifugio tante donne. Anche noi proviamo a rifocillarci in attesa del treno. Molte cercano di caricare i loro telefoni. Ma mi colpisce che ad attendere il treno per l’Ucraina ci siano prevalentemente donne. I loro sguardi sono pensierosi, preoccupati. Alcune hanno con sé i bambini. Provano a tornare nei luoghi cari ed amati. Ma si legge la tensione. Hanno grandi bagagli. Molte di loro si limitano ad acquistare una bottiglietta d’acqua o un caffè americano per godere del diritto di starsene sedute, in attesa per tante ore, un tempo che non sembra finire mai. Rientrano nel loro paese dalla pace verso la guerra, forse per riabbracciare i mariti soldati, i figli al fronte, i nonni rimasti ad accudire le loro case. Ci guardano perplesse, quasi a dire ma chi ve lo fa fare di venire in questo luogo triste e pericoloso. Non era così nel nostro primo viaggio. Li attraversammo il confine a piedi e lungo il percorso che va dalla Polonia all’Ucraina avevamo incontrato tante donne che fuggivano dalla guerra, i cui volti erano finalmente soddisfatti di attraversare la frontiera della pace. Piene di bagagli e di figli tenuti per mano scappavano dal pericolo, dai missili, dagli allarmi continui. Ora quel che si legge sul volto di queste belle giovani ucraine è la tristezza perché la guerra ancora non è finita, la fatica di arrivare in un paese in cui non c’è luce se non per tre ore al giorno. Gli ascensori non funzionano e non funzionano i frigoriferi mentre il caldo soffoca una città bellissima come Kiev. Si respira un’aria pesante in questa cittadina di frontiera che con il suo centro storico è anche molto bella. La stessa aria di quando si va ad funerale e tutti sono tristi e si sente aleggiare il soffio leggero ed imperscrutabile della morte. Ci si distrae chiacchierando, camminando alla ricerca dei binari giusti per il treno, alla ricerca del sottopassaggio, guardando se ci siamo tutti. Incrociamo don Giacomo Panizza alla ricerca della sua giacca perduta. E’ sorridente, i suoi occhi svelano il segreto del suo essere un prete contro le mafie e che agisce nei luoghi dove a prevalere e’ la criminalità. Sempre profondo nelle sue riflessioni. Il suo sguardo ci rasserena . Il senso del nostro viaggio è nascosto, profondo, un misto di solidarietà, di speranza che la pace alla fine prevalga. Siamo nudi di fronte alla guerra, cerchiamo le parole della pace ma non riescono ad uscire : la realtà sono i missili, gli allarmi, le foto dei giovani uccisi ( una distesa infinita di bandierine ed ogni bandiera ucraina svela un volto amato, nel silenzio di Piazza Maidan) . Forse è possibile vedere la luce alla fine di questo tunnel, solo attraverso gli sguardi tristi e spenti delle donne di frontiera che a tutti i costi tornano nella loro terra.
Pinuccia Montanari, Przemysl (Polonia) - 11 luglio 2024 

IL TRENO DELLA PACE / 3
Siamo in 72 persone e ci mettiamo in fila correttamente per superare la frontiera tra la Polonia e l’Ucraina a Przemisl. Poi improvvisamente si formano due lunghe file parallele. Da un lato passiamo noi come cittadine e cittadini europei. È un passaggio semplificato. Il nostro passaporto non ha bisogno di visti in Polonia. Solo uno sguardo per noi sulla data di scadenza del documento e un occhio veloce sulla foto. In poco la nostra fila si esaurisce siamo solo noi : altri europei non passano la frontiera per l’Ucraina in guerra. Andiamo al primo binario dove due vagoni con cuccette ci attendono. Facciamo un appello e mancano due partecipanti: non si trovano. Poi una veloce telefonata risolve il problema. Si erano persi nella parte vecchia del paese di frontiera e si sono messi nella fila sbagliata , quella dove si impiega un sacco di tempo per superare il posto di controllo. Un poliziotto li raggiunge dopo essere stato avvisato e fa loro superare facilmente il posto di blocco polacco. Il treno ci attende. Siamo in fermento . Saliamo sulle cuccette a noi destinate e parliamo della pace. Di come sia possibile costruire la pace in un paese afflitto dalla guerra. Il treno si allontana dal confine polacco e si ferma alla stazione di Leopoli. Quando rifletto sul fatto che gli Ucraini si sentono profondamente europei non posso che pensare a Leopoli centro culturale della Galizia che ha ospitato intellettuali europei straordinari come Martin Buber. E mentre il treno sfida la notte e il cielo ucraino e il rischio di attacchi russi, il rumore delle rotaie e il sibilio del vento e la foresta che il treno attraversa penso agli ebrei che fuggivano dai treni della morte e si buttavano nell’oscurità protettiva della foresta. Anche Giovanna mi svela di aver fatto le stesse mie considerazioni. Ma quelle dei prigionieri non erano comode cuccette con l’aria condizionata e le lenzuola pulite, ma vagoni terrificanti. Ci immedesimiamo in quella atmosfera e sentiamo il peso della guerra, la responsabilità per la nostra parte della storia. Ascoltando le testimonianze di chi sui treni per la deportazione effettivamente vi è stato, ci sentiamo dei sopravvissuti che parlano dai sotterranei della storia. Per prevenire i conflitti abbiamo ripreso la proposta di Alex Langer di istituire i corpi civili di pace. Ne parliamo approfonditamente nel nostro testo ‘Lo sguardo di Alex sulla pace’ andremo lì, ci divideremo in gruppi e lanceremmo le nostre proposte. Un caldo soffocante ci devasta. Poi finalmente l’aria fresca penetra sul nostro sonno tormentato da fantasmi, paure, speranze di non viaggiare invano. I treni della guerra erano soffocanti, il rumore dei vecchi binari( gli stessi su cui viaggiamo noi) non lasciava riposare nessuno. La paura dell’ignoto, la certezza di andare verso un destino inesorabile , lasciavano il posto al dolore per le percosse, le puzze insopportabili. Le deportazioni di massa espressione di una guerra senza pietà, di un genocidio senza appello era la realtà di quel presente , trasudato dai racconti dei sopravvissuti. La guerra non avrebbe più dovuto essere parte della storia. Eppure siamo lì, sul treno della pace, per capire come raggiungere la pace, prevenire guerre inutili e dolorosissime. Il treno del dolore è quello dei primi vagoni che ci precedono e che riportano in una terra martoriata le vittime della guerra, direi quasi esclusivamente donne con i loro bambini, figlie, madri. Saremo davvero protagonisti della pace? Sembra una sfida impossibile, ma è la base della nostra speranza, avvicinare le persone, portare il dialogo dove sembra impossibile.
Pinuccia Montanari, Ucraina - 12 luglio 2024 

LA STAZIONE DI KIEV / 4
Dopo una lunghissima nottata, prima al caldo, poi al freddo sui vagoni del nostro treno della pace, e una breve sosta siamo finalmente giunti a Kiev. Era mattina molto presto, i nostri passaporti erano stati controllati direttamente sul treno dove, una giovane signora Ucraina ci aveva offerto the nero e caffè turco. Pronti a scendere ed ad affrontare una città continuamente bersagliata dagli allarmi aerei. Il cielo era azzurrissimo e il sole già splendeva alto sopra di noi. Sarebbe stata un’immagine felice se non fosse stato per quel rischio sempre presente dell’arrivo di un missile supersonico. Alcuni esperti si erano cimentati nello spiegare che la velocità di arrivo del missile era tale da neppure renderti conto dell’accaduto. Dunque a ben vedere dei buoni sistemi per intercettarli ed avvisare la popolazione erano ben richiesti e voluti da tutta la popolazione e in particolare dal Presidente ucraino. C’è molta retorica sulle armi. Purtroppo i sistemi antimissilistici per prevenire che gli attacchi vadano a buon fine e’ una richiesta sacrosanta anche per me che sono stata sempre antimilitarista e contro la produzione di armi. In questo caso una evidente necessità per continuare a vivere, semplicemente. Poi occorrerebbe riprendere in mano le proposte di riconversione dell’industria bellica in industria ecocompatibile come quella depositata alla Camera da Laura Cima, quando era deputata. La città di Kiev era già sveglia e la stazione brulicava di persone come una qualsiasi grande stazione di una grande città europea. Un grande lampadario sovrasta l’atrio della stazione di Kiev, alcune colonne ricordano le grandi costruzioni europee. Marmo, pietre levigate ed una grandissima scalinata affiancata da lunghissime scale mobili. Guardavo i volti delle persone: gente che si alza presto la mattina per andare al lavoro, per andare in ufficio, donne che si spostano da una parte all’altra del paese con grandi valigie che trascinano da un binario all’altro, giovani ragazze con lo zainetto sulla spalla che forse raggiungono l’università. Questa la bellissima stazione di Kiev. E la guerra che c’entra con le necessità quotidiane della vita, con tutte queste donne? Come è possibile che la quotidianità conviva con la guerra senza senso? Una considerazione nel nostro muoverci alla stazione di Kiev. Che la guerra è senza senso. Eppure sui tabelloni mentre al nostro ritorno cercavamo il binario per il treno che ci avrebbe portato di nuovo a Cracovia in Polonia risultavano molti treni in partenza per Kharkiv, città martoriata dalla guerra, colpita da bombardamenti di missili russi e anche da artiglieria. Un tuffo al cuore! Nel nostro gruppo di lavoro era con noi il rappresentante delle autonomie locali ucraine di Kharkiv: mentre parlava durante una riunione- ci ha raccontato- un missile ha colpito la sua casa mandandola in fiamme. Per fortuna non c’era nessuno dentro. Sono poche le donne rimaste a Kharkiv, anziane malate, madri di soldati, donne i cui sogni sono stati infranti da un’occupazione di persone che sono divenute nemiche senza neppure accorgersene.
Pinuccia Montanari, Kiev - 13 luglio 2024 

IL VENTO DI KIEV / 5
Nei giorni della nostra missione a Kiev con il Mean faceva molto caldo. Dopo una notte trascorsa tra caldo e freddo siamo approdate all’Hotel Ukraine. Da lì si domina Piazza Majdan, le migliaia di bandierine che ricordano i soldati uccisi, appassionatamente custodite dalle giovani ragazze ucraine, inginocchiate a ricordarlo. Dopo una mattinata in cui ha prevalso il dolore all’ospedale pediatrico, il pomeriggio e’ dedicato alla grande preghiera in Piazza Santa Sofia. Causa allarme aereo, l’incontro con i giovani scout ucraini è spostato nella metropolitana. Quando suona l’allarme e non si ha un bunker vicino, l’unica possibilità è rifugiarsi nella metropolitana. Così anche noi ci mettiamo in cerchio e ascoltiamo i giovani raccontare le loro storie. Li non c’è cielo, ma solo cemento ed un caldo soffocante. Perché ormai a Kiev non c’è quasi più la luce. La metropolitana è grande e si rischia di perdere l’orientamento. Quello che colpisce sono le tante ragazze che raccontano la loro esperienza di guerra e il loro abbracciare coloro che sono al fronte, si respira a fatica nel caldo soffocante della metropolitana, rifugio di famiglie intere (sempre e solo donne, mamme, nonne con figli e nipoti). Rientriamo col buio, dopo una cena veloce in un bunker trasformato in ristorante. Lì almeno si è sicuri. Nonostante gli allarmi si susseguano, continuiamo a parlare, mentre si cena con quel che c’è. manca la luce, li hanno rimediato con generatori. Quando usciamo è buio in piazza Majdan, solo illuminata dalle candele del memoriale. Restiamo immobili di fronte ad una giovane donna inginocchiata. Il dolore della guerra è il dolore del suo volto. Altri giovani improvvisano un canto e danzano, sfidando gli allarmi e il coprifuoco. E rimane fisso in noi il ricordo di quegli attimi strappati alla paura. Noi saliamo all’Hotel Uckraine, raggiungendo le nostre stanze. Ma non appena si fa per andare a letto è di nuovo allarme. Con una pila si scende nell’atrio dove, al buio, si parla con i pochi coraggiosi. Molti hanno rinunciato a scendere chi 10-15 piani. Le luci di piazza Majdan e le giovani donne sfidano la guerra. Finalmente l’allarme cessa; si può risalire. Giovanna ha aperto le finestre sia quelle che guardano su piazza Majdan che quelle che si affacciano sul palazzo presidenziale. Improvvisamente entra un vento che arriva da lontano, dalle vaste pianure ucraine, un vento purificatore. Mi affaccio sul balcone e guardo il cielo che potrebbe essere solcato da missili. E il solo pensiero fa tremare di paura. Ma quando mi sdraio penso che il vento forte potrebbe forse portare via la guerra; accarezzata dalla bellezza del vento della pace, mi addormento.
Pinuccia Montanari, Piazza Majdan, Kiev - 12 luglio 2024 

PIAZZA SANTA SOFIA / 6
Dopo aver attraversato il centro di Kiev, sotto un sole cocente ed un cielo azzurrissimo, raggiungiamo Piazza Sofia per la grande preghiera interreligiosa per la pace. Svettano le cupole delle chiese: ci affacciamo sui cortili interni, poi rientriamo subito nella grande piazza ove piano piano arrivano gli esponenti di tutte le religioni. Arriva il Nunzio Apostolico che partecipa anche ai nostri gruppi di lavoro sulla pace e cui consegno il volume’ Le vie della pace’ . Alcune ragazze sul palco cantano seguendo musica ucraina che si alterna agli allarmi aerei. Scrutiamo il cielo blu, ma nessuno si muove. La nostra preghiera per la pace vorrebbe sfidare i missili. Non cerchiamo un rifugio, ma ci prendiamo per mano, in cerchio mentre sul palco si alternano i vari interventi del Mean che chiedono a gran voce la pace, Angelo, il Nunzio Apostolico, Marcello Bedeschi dell’Anci, Don Giacomo Panizza, Marina Sorina. Marianella vorrebbe che ci sedessimo in modo che si potesse leggere la scritta: Putin go Home. Massimo e Giovanna reggono il cartello. Ci proviamo, noi , non più giovanissime, con una qualche difficoltà. Ma il momento più alto è quando Giovanna legge in italiano, latino, ebraico il Salmo 85. “Ascolterò cosa dice Dio, il Signore. Egli annuncia la pace per il suo popolo, per i suoi fedeli… Amore e verità si incontreranno, giustizia e pace si baceranno“. La verità germoglierà dalla terra e la giustizia si affaccerà dal cielo. Le parole antiche, nella lingua dei padri, echeggiano nel cielo di Kiev come musica alle nostre orecchie. E le giovani donne ucraine, nei loro abiti ricamati, ricominciano a cantare. Sono partita per l ‘Ucraina con lo spirito del libro La valle dell’Eden. Non abbiamo idea di quello che siamo e saremo: gli eventi si delineano, nella loro spontaneità, in modo rocambolesco. Ripensando alla piazza di Cracovia dove più di diecimila ebrei sono stati deportati e alla piazza di Kiev che invoca la pace, mi ricordo le parole di Steinbeck. A proposito della Genesi c’è una traduzione di un termine ebraico che richiama alla propria responsabilità. “ Tu puoi” . Nelle mani dell’umanità vi è la responsabilità di potere cambiare le cose. Di fronte alla guerra, sotto il meraviglioso cielo dell’Ucraina il “ tu puoi” riveste un significato particolare. Perché tanti morti innocenti? Per la sete di potere che alimenta l’industria bellica, e le mire espansionistiche e imperialistiche vecchie di secoli, ma riproposte dalla Russia di Putin. Il nostro obiettivo è spingere quanto più possibile l’umanità verso la Valle dell’Eden e non verso l’inferno della guerra. Le donne amano la pace, vogliono la pace accompagnata dalla giustizia. Ma varranno a qualcosa i nostri sforzi???
Pinuccia Montanari, Piazza Majdan, Kiev - 12 luglio 2024

 


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