Domenica, 13/03/2011 - In un paese della Bassa pianura bergamasca, 1600 abitanti circa, i laureati della mia generazione sono ben pochi, ma il caso vuole che uno, autoctono, oggi residente in un comune vicino, sia diventato per passione uno storico, in particolare dell’età medievale a partire dalla famosa battaglia di Cortenuova, il paese in questione, e sempre il caso vuole che una, la sottoscritta, immigrata da un paese vicino nell’ormai lontano 1978 per scelta di convivenza, sia una storica, una studiosa, per passione e mestiere, di storia delle donne.
In un paese così piccolo una curiosa casuale parità di genere nell’amore per una disciplina, la storia, generalmente poco apprezzata.
Quest’anno l’amministrazione, di centrosinistra da dodici anni (e anche prima dal 1975 al 1980) celebra con solennità (ben due iniziative) i 150 anni dell’Unità d’Italia e, come sempre, invita lo storico locale, peraltro un caro stimato amico.
Io, la “storica”, invitata non lo sono mai: ho cresciuto qui i miei figli che sono diventati uomini, sono la profe conosciuta da molti alunni e alunne, a me si sono rivolte le mamme e insegnanti che hanno organizzato due anni fa un’assemblea per discutere la pseudo riforma Gelmini, sono la donna a cui si rivolgono persone e istituzioni per iniziative varie, ma nel paese in cui abito lo spazio pubblico sembra mi sia vietato, vige nei miei confronti un’interdizione che ha il sapore antico del “vade retro strega” se non fosse il dato storico, ben più recente, che ha escluso un’intera generazione politica di donne, la stessa che negli anni ’70 aveva portato tutto il Paese a un livello di democrazia più vicino ai principi dichiarati nella Costituzione.
L’amministrazione ha il diritto di organizzare le manifestazioni pubbliche invitando gli esperti che preferisce e su questo non vi è dubbio, e non porrei la questione se pensassi che è solo personale.
Sono convinta invece che la questione riguardi proprio l’interdizione dello spazio politico alle donne che hanno autonomia di pensiero: in un paese così piccolo le scelte sono molto visibili e se le donne come me sono condannate all’invisibilità sociale vincono le immagini televisive, contro le quali non abbiamo potere.
Se per l’amministrazione comunale di Cortenuova non è importante la parola, la memoria e la presenza delle donne in piazza, a ricordare la storia di questo Paese accanto agli uomini, vengono cancellate anche le tante parole condivise il 13 febbraio nella piazza di Bergamo come in tante piazze d’Italia e del mondo.
In quel momento ci siamo ritrovate unite da rabbia e amarezza per le tante sconfitte accumulate negli ultimi anni, non solo a causa di una vendetta patriarcale particolarmente arrogante e di un governo francamente misogino, ma anche per l’insipienza di una politica che ci considera inessenziali o decorative, a destra come a sinistra.
Ci siamo ritrovate e riconosciute nella tenacia delle nostre vite e nella certezza di un cammino fatto insieme, di una storia accumulata che non potranno impunemente cancellare e anche per questo a Bergamo ci siamo date un nuovo appuntamento il 13 marzo.
Non sarà l’ennesima esclusione, non sarà l’interdizione a vita dai luoghi pubblici del territorio che abito a cambiare il mio impegno: nessuna mortificazione può fermare la mia lotta e testimonianza di sempre, ma sono convinta che il momento storico richieda anche da me quella presa di parola alla quale mi sono sottratta per anni proprio qui dove abito.
Ho taciuto perché il silenzio ti toglie almeno una fatica dalle tante di cui è fatta ancora la vita delle donne: farsi avanti è difficile quando il tuo gesto può apparire un atto di superba invadenza o di stupida vanità, è difficile anche per una come me avanzare timide proposte e trovare solo volti chiusi.
E’ stato difficile, anche per una come me, mantenere un equilibrio tra l’essere cittadina in molti luoghi e clandestina al mio paese, dove in fondo ci conosciamo tutti e i confini delle esclusioni sono quindi più rigidi, le ipocrisie più feroci, i pregiudizi più tenaci.
Se oggi scelgo di espormi, di fare un passo avanti, (e ne avrei fatto volentieri a meno) è per due motivi: primo perché sono convinta che anche i cittadini e le cittadine di Cortenuova avrebbero diritto alla storia intera, e una volta tanto ad ascoltare una voce nuova che l’età non può invecchiare, quella delle donne che esistono e rivendicano il proprio posto nella storia di un Paese che deve proprio a loro ben più della metà della democrazia che vale per tutti.
Secondo perché non voglio che le persone, donne soprattutto, ma anche uomini, che mi conoscono e mi stimano, pensino che sono disponibile ad andare ovunque venga richiesta la mia presenza e disprezzo invece il “natio borgo selvaggio”.
Il programma della celebrazione è già stato distribuito e non si può riparare, ma sono convinta che questa sia un’occasione perduta anche nei confronti di quella parte di popolazione che ha molte riserve su questo anniversario, a cui non si può offrire solo la retorica dell’inno nazionale.
Sono profondamente convinta che il tessuto politico democratico si può ricostruire solo rendendo visibili i soggetti che ne sono titolari, ricostruendo luoghi di dialogo, praticando il confronto, anche partendo dalle periferie, soprattutto partendo dalle periferie, dove potrebbe essere più facile ascoltare e discutere le ragioni di tutti.
Senza la presenza autonoma delle donne, fuori dai recinti e dalle tutele maschili, la democrazia non può vivere, nel comune di Cortenuova, come nel Parlamento della Repubblica.
Penso anche, come tante, che questo Paese abbia sempre troppo bisogno del coraggio delle donne.
Mi piacerebbe un Paese in cui l’esistenza per le donne non sia sempre anche resistenza.
Care compagne di strada che abitate gli stessi partiti dei miei amministratori, con molte di voi ho condiviso lotte e storie importanti, mi conoscete, per questo è soprattutto con voi che oggi voglio condividere la domanda che riguarda la mia piccola vita moltiplicata per quella di tutte: “se non ora quando?”
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