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A che serve Giocare? - di Dea Kahli

A che serve Giocare? - di Dea Kahli

Forse la vera rivoluzione per le donne sarà quella di riappropriarsi del proprio corpo, del proprio piacere, di se stesse, giocando tanto per giocare

Venerdi, 14/05/2010 - A cinquant’anni dall’invenzione della pillola, la rivoluzione che sganciò la sessualità di noi donne dalle funzioni riproduttive della nostra specie, questo nostro genere, figlio di una divinità resa minore, torna a perdere quelle poche sue sudate conquiste che pensavamo fossero il bene condiviso delle più: il nostro diritto di autodeterminazione, buttato nel fiume delle corsie d’ospedale per una pillola del giorno dopo e delle obiezioni di coscienza (mi viene da ridere) dei farmacisti (e le farmaciste cosa ne pensano?), la legge di tutela della maternità taglieggiata brunettianamente, la scuola con quel bell’impianto pedagogico elementare che ci invidiavano all’estero. Abbiamo perso anche molto altro. Il diritto al rispetto del nostro corpo grazie all’uso mercenario che un mondo ancora declinato esclusivamente al maschile biecamente ne fa.

Penso a volte che l’abuso sui corpi delle donne sia direttamente proporzionale all’abuso che l’umanità fa del grande corpo della nostra Terra. E sarebbe facile dimostrare che le politiche vengono determinate dallo strapotere degli uomini. Spesso stante il tacito assenso di noi donne.

L’associazionismo imperante tenta di ovviare come meglio sa ai mille problemi delle donne di cui ormai forse solo mille donne sono consapevoli. E progetti su progetti senza visione di insieme sostituiscono le funzioni istituzionali e le lotte di quei luoghi divenuti ormai mausolei dei movimenti femministi, vecchie trincee prive di ogni armamento, ideale o siderale che sia, cretto fantasma di un tempo che fu e che a malapena finge di aprirsi al presente.

E allora noi dobbiamo parlare d’altro. E allora voglio, e dobbiamo, tornare a giocare, come le nostre nonne bambine prima del loro primo mestruo, quando era concesso di giocare senza scopo, a campana, dove il cielo coincide con la nostra terra e così, tanto per. ... Un, due, tre ....... stella!!!



Ci siamo pietrificate, ci siamo perse e vogliamo e dobbiamo ri-scoprirci, ri-conoscerci. Per farlo partiamo dal Gioco.

Quanto anche il giocare è declinato al femminile? E’ difficile accertarlo. Se guardassimo a quanto ancora proponiamo alle bambine, dovremmo concludere che il gioco è anch’esso terreno di discriminazione. Costruzioni, trenini e piste hanno destinazioni stereotipicamente dedicate ai bambini. Nei parchi si vedono bambine impastare terre con pentoline e bagattelle varie, i bambini per lo più si arrampicano su e giù per complicate strutture di legno. Impercettibili, i gesti delle madri orientano l’approvazione verso un giocare o l’altro. E le bambine a raccontare storie, mimandole, e i bambini a giocare tanto per giocare. Perché si sa: i giochi spontanei dei “maschietti” sono meno maturi di quelli delle “femminucce”. L’affermazione viene pronunciata spesso accompagnandola con un sorrisetto ammiccante. In un mondo in cui tutto serve, anche le donne e le bambine, e soprattutto il loro giocare serve. Quando alle bambine verrà permessa la trascendenza dell’inutile?



Ariel Castelo, padre della Ludopedagogia, scrive: “Il Gioco consta di due caratteristiche essenziali: l’inutilità e il divertimento”. E si riferisce, con il termine “inutilità” ai comportamenti che non siano finalizzati alla produzione in particolar modo di reddito. Mentre parlando di “divertimento” si richiama a quello che era il senso originario della parola stessa. Esso era legato all’essere diverso, al divergere, alla possibilità per ognuno di essere e di trovarsi dentro un’altra versione di sé carica di immaginazione, di fantasia e di irrazionale. Questa vuole essere la dimensione peculiare del “Giocare” che la Ludopedagogia propone di riscattare come necessità fondamentale dell’essere umano e dell’essere donna assumendo valori fondamentali, la creatività, la sensibilità, l’affetto e la solidarietà.



Riprendendo le parole di Octavio Paz: « “altrità” è una esperienza che si esprime nella magia nella religione nella poesia ma non solo in queste». Castelo dunque ritiene importante l’esperienza di essere altre, essere quelle altre che saremmo se non fossimo quelle che siamo, quelle che “sappiamo” di essere, o quelle che dobbiamo o che ci fanno essere. «Occorre perciò Giocare, uscire dalle etichette classificatrici, dalle gerarchie, dai luoghi predefiniti che sono propri del pensare logico e razionale dell’esigenza e della competizione del mondo produttivo per creare una vera trasformazione» .

Adesso è necessaria una precisazione. Il gioco definito dalla Ludopedagogia è il giocare che libera.

«Il gioco è pericoloso quando nella disperazione viene usato per dimenticare per un po' ciò che deve essere cambiato. Però, al contrario, provoca liberazione quando ci aiuta a scoprire, con l'allegria di una libertà che anticipa, altre maniere di essere, che rompono il circolo chiuso di ciò che sembra fatalmente immutabile.

Il gioco non solo si giustifica, bensì diventa necessario quando a partire da esso possiamo ampliare le prospettive reali per la trasformazione del nostro mondo.

Nel gioco possiamo liberarci prima di tutto di una falsa convinzione, rendendoci conto con grande stupore ed allegria che le cose e le relazioni umane non devono per forza essere così come sono.

Nel gioco e nel divertimento liberatore si danno le reali condizioni per svilupparsi ed allenarsi in una libertà creatrice, nella produzione e nella sperimentazione di altre relazioni, più umane, nell'approccio a un nuovo stile di vita.

Nel gioco iniziamo anche a rompere i meccanismi dell'insicurezza, della paura e della preoccupazione che ci incatenano a ciò che è vecchio e conosciuto. La libertà comincia laddove si smette di aver paura. »

Come scrive Graciela Sheines nel suo libro Giochi innocenti, giochi terribili , purtroppo ancora non tradotto in italiano, non esiste un gioco senza regole. Anzi, a partire dal più semplice dei giochi, quale può essere la sfida che almeno una volta nell'infanzia ognuno/a si pone per strada - “camminerò senza pestare le strisce” - potremmo dire che le regole sono il gioco. Nei giochi più semplici ognuno/a sfida se stesso/a a rispettare delle regole (che per lo più sono autoimposte, ma che possono anche essere proposte da altre persone). Nei giochi esplorativi le regole sono dei limiti scelti, e di volta in volta spostati per potersi spingere più in là. Nei giochi tradizionali, il gioco non inizia nemmeno senza regole, e se qualcuno infrange una regola viene escluso dal gioco, altrimenti il gioco non potrebbe avanzare. Nel gioco liberatore si possono proporre nuove regole; l'errore può dar luogo ad una differente percezione delle cose, può far divertire così tanto che il gruppo può decidere di integrare una nuova regola. Il gioco consiste allora nel modificare l'ordine iniziale trasformandolo in un altro ordine.

Questo passaggio - usare le regole per modificare l'ordine iniziale - c'è in tutti i giochi, è anzi uno dei motori fondamentali del gioco: dal gioco degli scacchi al gioco del calcio, dal gioco imitativo - "facciamo che io ero la mamma e tu la bambina" - al gioco sovvertitore per eccellenza, il carnevale. Solo nel gioco liberatore, però, le regole stesse possono essere cambiate, anche in itinere, con altre regole, per cui chi gioca non sa quale ordine finale ne risulterà; non sa se ci sarà un/a vincitore/trice o se tutti/e vinceranno, non sa se si valuterà il punteggio oppure il modo per arrivarci, non si sa se chi fa la bambina proporrà un atteggiamento inaspettato, non per forza il povero si travestirà da ricco. È per questo che il gioco liberatore, il gioco che viene considerato inutile - perché libero da un fine, in una società da troppo tempo asservita all'utile ed ai fini - consiste nel modificare l'ordine iniziale trasformandolo in un altro ordine, risultante non da una volontà iniziale - per esempio costruire un mondo più giusto, più equo - ma dalla pratica e dalla creatività che scaturiscono dall'incontro tra il mio corpo ed altri corpi, tra le mie emozioni ed altre emozioni, tra il mio punto di vista ed altri punti di vista.

Partire dalla pratica, partire da noi. Lo abbiamo detto tante volte, troppe volte lo abbiamo solo detto. Magari ora potremmo anche provare a metterlo in gioco, e vedere - come diceva la canzone - “l'effetto che fa”.



Forse la vera rivoluzione per le donne sarà quella di riappropriarsi del proprio corpo, del proprio piacere, di se stesse, giocando tanto per giocare.

E allora giochiamo!!



Ti aspetto alla Scuola Primaverile Estiva di Ludopedagogia, che è organizzata dall'Associazione "Le barbe della Gioconda", referente italiana della Rete Latinoamericana di Gioco - ReLaJo - e concessionaria esclusiva per la promozione della Ludopedagogia, … a Barcis (Friuli) dal 14 al 20 giugno prossimi… per ballare con i lupi!

(www.lebarbedellagioconda.it/appuntamenti.html)

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