A Cannes trionfano le registe: a due donne i due premi più ambiti
Vincono ‘Titane’ e ‘I Pugni disserrati’: la Ducournau è la seconda donna a vincere una Palma d’Oro, a 28 anni da Jane Campion. ‘A Chiara’ vince la Quinzaine
Martedi, 20/07/2021 - Con l’assegnazione dei premi a tutte le sezioni in concorso, si spengono i riflettori sul Festival di Cannes 2021, lasciando l’eco di un’edizione, la 74ma, che rimarrà negli annali della manifestazione, sia per aver rilanciato il Festival e tutto il suo indotto in termini di mercato e lavoro (dopo un anno di fermo e uno spostamento di date di circa tre mesi), in sicurezza con solide misure anti-Covid ma con la stessa passione di sempre, sia per la doppia vittoria di due giovani registe che si sono viste assegnare dalle Giurie, in maniera del tutto inattesa, i Premi più importanti di Cannes 2021. La Palma d’Oro, a 28 anni di distanza dalla vittoria di Jane Campion con “Lezioni di Piano” (in ex aequo con Chen Kaige), torna nelle mani di una regista, la francese Julia Ducournau, 37 anni, carattere trasgressivo, amante dell’horror e del noir, che si aggiudica il Premio più ambito del Festival, entrando così nella storia del cinema, con un film non proprio imperdibile per i non amanti del genere fantasy/splatter, “Titane”, ma che segna una rottura assoluta con film politicamente corretti, premiando l’audacia tecnologica (alla protagonista, Alexia, in seguito ad un’operazione chirurgica viene impiantata una placca di titanio sulla testa e da allora, oltre a sviluppare istinti omicidi, avrà pulsioni sessuali verso le macchine), la provocazione e la contemporaneità cannibalica di una storia che la regista definisce “un film sulla paternità” e, si potrebbe aggiungere, sull’incontro fra solitudini ed alienazioni di grado differente.
Non va dimenticato che il presidente della Giuria del Concorso era Spike Lee, il quale verrà ricordato anche per la peggior ‘gaffe’ fatta nel corso di una premiazione al Festival di Cannes, avendo anticipato per sbaglio, prima del momento ufficiale, il nome del film vincitore.
“Dobbiamo essere al di là dei concetti di genere - ha affermato la Ducournau salita sul palco per ricevere la Palma d’Oro - è nell'amore che sentiamo chi siamo senza determinismo: grazie per aver riconosciuto il bisogno avido e viscerale che abbiamo tutti di un mondo più fluido ed inclusivo". Il secondo riconoscimento più importante del Festival, il Gran Premio della sezione ‘Un Certain Régard’, dedicata alle opere prime e seconde di registe/i emergenti, è andato alla trentunenne russa Kira Kovalenko, autrice di un bellissimo film intitolato “I pugni disserrati” (Unclenching the fists) , ambientato in un villaggio del Caucaso, nell’Ossezia del Nord, un dramma familiare, che racconta la storia di Ada una giovane donna imprigionata in legami morbosi e complessi, dai quali non riesce a svincolarsi, sia per retaggio culturale (affetto ed autorità verso il padre) e sia perché, dopo la morte della madre causata dall’esplosione di una bomba, il padre le ha sottratto il passaporto, costringendola così a rimanere nella cittadina nativa squallida e priva di prospettive, dove si occupa di lui e del fratello minore. Ma l’arrivo atteso di Akim, il fratello maggiore già fuggito a Rostov, modificherà gli equilibri esistenti e rappresenterà per Ada il deus ex machina verso l’autonomia.
Delicata ma decisa, con voce calma e ferma , questa giovane cineasta dai capelli rossi ringrazia il maestro Alexander Sokurov, per averla ispirata durante un laboratorio di regia tenuto a Nalchik, nel Caucaso, città natale della futura regista. Quel laboratorio (cui partecipò anche la regista Kantemir Balagov, regista di “Beanpole”, acclamato a Cannes 2019) aveva lo scopo, secondo la Kovalenko, “di mettere il Caucaso settentrionale sulla mappa cinematografica del mondo” perché anche in un luogo disgraziato e remoto come Nalchik, in Nord Ossezia, la settima arte trovasse giovani talenti per raccontare dal di dentro quei luoghi abitati dal dolore della perdita e della guerra, ed i sentimenti dei giovani in cerca di una vita migliore e meno rischiosa.
“Il Caucaso settentrionale - ha affermato la Kovalenko - è un luogo in cui alla gente non piace parlare dei propri problemi. E le tematiche che affronto nel mio film potrebbero essere problematiche per qualcuno. Ma sento di amare davvero questo posto dalle ‘verità difficili’, perché questa è la mia patria, e non credo che ci sia qualcosa che, come regista io non possa dire: dunque mi sento a mio agio anche a parlare dei problemi reali del mondo che ci circonda”.
Sempre nella sezione Un Certain Regard, si aggiudica l’Ensemble Prize il film “Bonne mère”, diretto da Hafsia Herzi con cui l’attrice e regista di origine tunisino-algerina (pluripremiata per il film Cous Cous) racconta, con segreta gratitudine, seguendola da vicino con la videocamera, la vita quotidiana di una madre con figli grandi e nipoti, fra i problemi di tutti i giorni per sbarcare il lunario, le spese extra dell’avvocato per il figlio in prigione e le piccole e grandi rinunce in favore della famiglia.
Altra vittoria importante, per l’Italia e per tutte le ragazze che si trovano nella situazione della protagonista, è quella del film di Jonas Carpignano “A Chiara”, quindicenne calabrese che scopre per caso il coinvolgimento del padre nel traffico di droga della criminalità organizzata, opera che ha conquistato meritatamente il primo Premio alla Quinzaine des Réalizateurs.
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