Analisi del significato attuale del 8 marzo, in bilico tra sagra di paese e momento di celebrazione della figura femminile, difficilmente omologabile in un mero clichè.
Mercoledi, 11/03/2015 - Ci ho pensato molto domenica 8 marzo, a questa cosiddetta Festa della Donna. Del resto come fai a non pensarci, se ad ogni angolo di strada c’è qualcuno che vuole venderti un non ben identificato mazzo di erba gialla? Come fai a non pensarci se ogni negozio, supermercato, parrucchiere o ciabattino, è pieno di tante cazzate con su scritto 8 marzo, festa delle donne, ecco la tua mimosa etc. etc?
Non sono tanto sicuro che quella dell’8 marzo sia una vera festa del genere femminile, poiché l’impressione è che assomigli di più a una delle tante “sagre” paesane tipo che so, l’anguria, la trippa o il pisello fresco, che poi traslate in ambito nazionale diventano le varie feste degli innamorati, del papà, mamma, nonni o dei morti che camminano, nella notte di Ognissanti. E come tali sagre o feste anche quella della donna ha vita breve e l’indomani tutto è come prima, tranne forse qualche postumo da indigestione. Inoltre io non saprei omogeneizzare sotto la voce “donna” l’intero universo femminile. Non saprei mettere insieme il ricordo di tutte quelle donne che hanno pagato con la vita il prezzo della loro libertà, rappresentato simbolicamente dalle operaie morte nell'incendio di una fabbrica americana, con altre donne che proprio l’8 marzo festeggiano davanti ad un muscoloso uomo che si spoglia. Non saprei nemmeno unificare il pensiero libero delle femministe vecchie e nuove, con quello di donne che hanno gestito il potere in prima persona, relegando, più dei loro colleghi uomini, la figura femminile a mera collaboratrice domestico-sessuale. E non saprei infine mettere insieme donne autonome che, legittimamente, si sentono proprietarie del loro corpo, con altre che invece, proprio per questo, le etichettano come “puttane”.
In conclusione, forse è meglio evitare le sagre, perlomeno su temi come quello che l’8 marzo aspira ad evocare e meglio sarebbe dedicare la giornata al dialogo tra uomo e donna ed anche tra le stesse donne. Ma soprattutto, come uomo, mi sento di dire che meglio sarebbe rispettare le donne sempre, dal 9 marzo in poi, iniziando ovviamente da quelle a noi vicine, portando poi tale rispetto sui posti di lavoro, nei luoghi di intrattenimento e svago nei luoghi associativi e in quelli istituzionali. Sicuramente scontenteremmo qualche fioraio, gioielliere e ristoratore, ma potremmo contribuire ad avere più uomini con una vera gonna e meno donne con finti pantaloni.
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