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57.000 posti in meno

57.000 posti in meno

Docenti (ex) - Distruggere la scuola pubblica: missione possibile, parola di Mariastella Gelmini

Pellegrini Paola Martedi, 10/11/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Novembre 2009

Non sì è mai visto un Ministro dell'Istruzione che, di fronte alla lotta degli insegnanti per la difesa del posto di lavoro e della scuola pubblica, non trova di meglio che invitarli ad andarsene! L'anno scolastico è iniziato nel segno dei tagli: 57.000 posti in meno soltanto per l'anno 2009-10, che arriveranno a più di 150.000 entro i prossimi due anni. Tagli realizzati sui vari livelli della riorganizzazione scolastica. A partire dall'introduzione del famoso maestro unico, l'eliminazione delle compresenze e del modulo; l'aumento del numero degli alunni per classe, spesso superando il numero di 30; l'obbligo del completamento a 18 ore di lezione e conseguente eliminazione delle ore a disposizione; l'assegnazione delle classi non più fatta in base a criteri di coerenza disciplinare ma con l'unico obiettivo di riempire il monte ore; un aumento dell'orario di lavoro per il personale docente praticamente imponendo straordinari, su cattedre spesso accettate per cercare di incrementare uno stipendio tra i più bassi d'Europa; la riduzione dell'orario di alcune materie (come l'ora in meno di italiano alle medie trasformata in una non meglio identificata ora di approfondimento); i tagli al personale ATA e dei docenti di sostegno, circa 15.256 posti. Da settembre sono rimasti a casa oltre 30.000 lavoratori,mentre i bilanci delle scuole sono stati privati per tutto l'anno scolastico 2009-2010 dei fondi per il funzionamento didattico e amministrativo: soldi per il materiale, i laboratori, le biblioteche, per le stesse pulizie! I tagli e l'azzeramento dei fondi operati dal duo Tremonti-Gelmini, mira a distruggere la scuola pubblica nel più breve tempo possibile: altrimenti che altro senso trovare alla scelta di azzerare i fondi alle scuole statali e di mantenere integri quelli alle private e confessionali? Senza dimenticare che in estate la Lega ha proposto (con demagogia e razzismo) di scambiare il sistema nazionale d'istruzione con l'insegnamento federalista dei dialetti e il reclutamento degli insegnanti su base regionale. Gelmini si è detta favorevole! Il suo piano, pomposamente presentato come "organica riforma" è invece privo di qualsiasi supporto scientifico e pedagogico, determinato com'è solo dalle scelte di bilancio volute da Tremonti, con una concezione servile e strumentale dell'istruzione. Il governo, di fronte alle imponenti proteste del mondo della scuola, ha cercato di recuperare con una nuova invenzione: i "contratti di disponibilità" denominati "salvaprecari". Una scelta che, se possibile, mortifica ancora di più i docenti mandati a casa, declassandoli in docenti di serie B, disponibili a qualsiasi tipo di chiamata e mansione.

Insomma, siamo al caporalato nella scuola, alla riduzione di personale qualificato come gli insegnanti nella più classica delle "manodopere di riserva", quella che il sistema capitalistico ha sempre avuto e usato nelle fasi di sfruttamento più duro e nei momenti di riorganizzazione della produzione. Ma qui è lo Stato che usa la manodopera di riserva!

È lo Stato, che in piena crisi economica mette sul lastrico decine di migliaia di persone, è lo Stato che rinnega la sua funzione primaria di garante dei diritti dei lavoratori scritti nelle leggi e nella Costituzione.

Riassumendo: circa 25.000 precari, tra docenti e personale tecnico amministrativo non avranno più le supplenze annuali, decine di migliaia di ruolo sono stati dichiarati in esubero, le scuole in sofferenza finanziaria non potranno garantire nemmeno le spese ordinarie e il pagamento delle supplenze brevi. Sono state cancellate esperienze pedagogiche e didattiche apprezzate in tutta Europa. I regolamenti approvati disegnano una scuola nozionistica,con classi più affollate, con meno ore frontali e di laboratorio, annullando di fatto la funzione dell'autonomia scolastica. La nostra scuola è stata per un quarantennio un pilastro dell'Italia repubblicana, della sua crescita democratica e civile, strumento di promozione sociale, fattore di unificazione di un Paese tormentato da

intollerabili squilibri territoriali e culturali. Ma nell'Italia di oggi, che taglia fondi alla Ricerca e all'Università, che è scesa all'ultimo posto

dell'OCSE per il rapporto Ricerca-PIL,questo pilastro democratico non è più tollerato, è d'impaccio all'opera sistematica di distruzione della conoscenza e del diritto al sapere dei cittadini. Pardon: delle plebi teledipendenti: che, com'è noto, meno sanno meglio è!



(10 novembre 2009)

 

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