Lunedi, 25/06/2018 - PAOLA, PENSIERI E PAROLE IN LIBERTÀ/ Le donne saudite finalmente possono prendere la patente
E’ la fine di giugno, l’estate come sempre inizia con il suo significato di vacanza per gli umani che vanno a scuola o lavorano. Per le donne saudite inizia la nuova era, che pur tra difficoltà non di poco conto, le vede ultime, almeno per le leggi in vigore nel mondo, a poter prendere la patente e guidare una macchina; e ovviamente, viene da precisare, possono guidare tutto ciò che di una macchina è più “grande” - e spesso legato anche a lavori e professioni che necessitano una patente - come camion, treni, barche o aerei. Abbiamo ricordato alcuni e ovvi obiettivi che in prospettiva si aprono per le nostre amiche. La grande conquista delle saudite, è dovuta alla testarda e coraggiosa lotta - iniziata nei primi anni '90 e costata a molte attiviste prigione, esilio, licenziamenti e vessazioni di molti tipi perché portata avanti senza retrocedere - che ci obbliga a valorizzarla, condividerne l’entusiasmo per l’obiettivo raggiunto. Ma come in molte altre situazioni, in cui gli annunci e le decisioni, pur rappresentano una reale vittoria, siamo obbligate anche a non fermarci al risultato e ad andare a scavare in quelle che mi piace definire “le norme attuative” del provvedimento, le motivazioni presunte, finalmente, anche dello sblocco del divieto.
Nonostante poi non sia una delle mie impostazioni preferite, non è superfluo valutare parte dei se e ma più determinanti che rimangono sulle spalle delle donne e per cui si è aperta una era che sa anche di uno spostamento in avanti del livello del conflitto e degli obiettivi su cui dovranno, seppur con nuova energia spendersi. Dopo molti anni d’impegno delle attiviste saudite un fattore non trascurabile è stata la volontà del Principe ereditario Mohammed Bin Salman di dare una nuova immagine di modernità del paese che, tra le altre considerazioni, vede una schiacciante maggioranza dei sudditi costituita da giovani sotto i 30. Ecco, questo ha favorito la presa in considerazione di quello che noi riteniamo un diritto femminile a lungo rimandato.
Quello che, proprio leggendo alcune delle voci delle saudite intervistate, rimane come il riferimento non accerchiabile, è il ruolo del maschio guardiano che sembrerebbe rimanere - sia padre o marito o figlio - lo scoglio su cui fermarsi anche nello specifico. Sarà lui infatti, ho letto, a elargire il permesso e - se capisco - i soldi per prendere la patente. Pur augurandoci una nuova stagione di guardiani di larghe vedute, la condizione femminile rimane comunque non certamente libera di esprimersi in proprio.
Davvero tante le considerazioni che vengono in mente nel contesto ancora di vincoli per noi inconcepibili che le donne saudite si trovano ad affrontare in una codificata e rigida dipendenza dal maschile, che nella parola guardiano mi sembra esprimere la violenza di tale subordinazione. Ma ribadito questo, non solo l’energia e il coraggio che le saudite hanno percorso per arrivare al diritto di guida ma anche comunque ”lo strumento obiettivo “ conquistato: ovvero quel guidare che significa girare, andare, scoprire percorrendo spazi mai prima raggiungibili coi propri mezzi è comunque di per sé leva all’ampliarsi di un orizzonte di legittimi desideri e ambizioni di autonomia e di affermazione di sé. “La fame vien mangiando” dice un proverbio oggi piuttosto in disuso, ma che mi sembra adeguata sintesi non solo come augurio ma come certezza. Se mi distraggo un attimo dalla realtà, ovvero che sto parlando di donne dell’Arabia Saudita, e mi distraggo dal contesto (dedicare una riflessione alla patente alle donne come diritto) il risultato a noi sembra appartenre ad un passato remoto.
Eppure è salutare tenere i piedi per terra e solidarizzare con le saudite non solo per l’obiettivo raggiunto ma per i molteplici traguardi che certamente hanno già ma si moltiplicheranno nel canocchiale del loro orizzonte, che tenderà ad allargarsi sempre di più.
Sarebbe importante che questo percorso fosse sostenuto e condiviso nelle forme possibili anche da noi, in quella connessione che sempre di più dovrebbe coinvolgere una rete internazionale e ampia di donne. Donne che nei tanti paesi, terre e culture sembriamo essere diverse (e forse lo siamo anche rispetto a diritti e stili di vita) ma siamo accomunate da problematiche e obiettivi assimilabili molto più di quanto non sembri. E comunque è bello pensare che possiamo camminare talvolta insieme, seppur su finalità diverse, ma con un punto in comune: essere persone con tutti i diritti di cui si giova la nostra comunità d’appartenenza fatta sempre di uomini e donne senza guardiani spesso presenti anche quando non li vediamo.
Paola Ortensi
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