Ovunque si decide - Dopo l’esito della manifestazione di piazza Farnese, riceviamo e pubblichiamo una riflessione dell’Udi di Napoli
Stefania Cantatore Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Ottobre 2007
A piazza Farnese Pina Nuzzo ha annunciato il superamento delle 50.000 firme a sostegno della legge per “50E50” in tutte le assemblee elettive. Per i centri di raccolta è stata la fine di un’ansia.
La fine di una fase della campagna, per niente conclusa: il nuovo obiettivo è quello delle 100.000 firme. Il motivo sta tutto nell’affermare la “non negoziabilità”, la cogenza del principio di equità e la percentuale nelle liste, di fronte a detrattori e nemici, per ora sfuggenti e “invisibili”.
Invisibili ma tanto forti da non aver permesso fino ad oggi l’applicazione di una norma costituzionale, l’articolo 51.
La convivenza civilizzata tra generi e differenze, è un punto di arrivo, ha, come prima condizione, bisogno di regole che permettano la democrazia, paritaria, quindi semplicemente la democrazia.
Parliamo da mesi di questo, e ne parlano le donne che raccolgono le firme, affermando un altro modo di rapportarsi tra loro ed i loro luoghi, e soprattutto informano su questa semplice e decisiva opportunità di cambiare. In sostanza questo passaggio di parola è stato e continua ad essere l’unica forma di propaganda sulla quale contare; la stampa, non è una novità, ha sostanzialmente omesso di parlarne, anche quando il PD ha assunto il principio di 50E50 tra le sue regole costitutive, abbandonando la logica delle quote rosa, in risposta al dibattito aperto dalla nostra legge.
Su questo, per il diritto di tutte e tutti di poter esprimere sostegno alla democrazia paritaria e per raggiungere le condizioni della “non negoziabilità” della proposta, dovremmo tener conto di alcune condizioni nuove che noi stesse abbiamo rese possibili.
Quanto abbiamo messo sul tavolo della politica, ha cambiato linguaggi e disposizioni. Parole come violenza sessuata, femminicidio, democrazia paritaria, salvaguardia (al posto della soffocante protezione che da sempre ci offrono) hanno cambiato il linguaggio anche nel potere della comunicazione. È l’adeguamento formale minimo ad un universo femminile consapevole dei muri che ancora deve attraversare, che sta in posizione assertiva e non in attesa di concessioni. È la minima risposta, nel tentativo di sostituire la maternità con una paternità che ancora una volta si appropria dei contenuti per moderarli e governarne gli effetti.
Se è vero, come è vero, che questa espropriazione della maternità dei processi e delle iniziative, sta tutta nell’intento di conservare, riprodurre i privilegi e il malcostume di sempre, quella che va rinegoziata con caparbietà, non è la visibilità in quanto tale, ma è la trasparenza delle fonti.
Come sempre si tratta di puntare alto, per cominciare a cambiare: dopo l’immobilismo della politica, quello dell’informazione.
Noi facciamo politica e fare politica è proporre obiettivi, rimetterli a centro di un’attenzione, in modo differente. Abbiamo compreso bene che i contatti coi centri di raccolta sono potenziali relazioni, e da donne sappiamo bene quale sia il valore e il rischio che corriamo agendole, sospese tra la condivisione del disagio che ha nome nella subalternità imposta, e le autolesive incomprensioni tra differenze, trasformandole in distanze.
Condividere una nuova rivendicazione di qualità e di spazio nei media, vincere qualcosa, laddove per noi è stato sempre difficile, è sfida che possiamo vivere in tutte le nostre iniziative, come sappiamo: agendo ed imparando nello stesso tempo. Sapendo che di tempo le donne ne hanno poco.
Lascia un Commento