Domenica, 28/10/2018 - Le cronache da alcuni giorni si rincorrono nel raccontare la tragica fine di Desirèe, 16 anni; poco più che una bambina. La fine straziante che riportano le cronache è avvenuta in una discarica “naturale”, nascosta ma notissima, dello storico quartiere di San Lorenzo a Roma. Ingannata, drogata, violentata ripetutamente, fra immondizie di ogni tipo, da un branco di spacciatori e di maschi al culmine del loro degrado umano, Desirée è morta dopo ore di incoscienza e di un'agonia che ci si può solo illudere non sia stata terribile.
Maschi neri, spacciatori, ma fratelli di tanti altri bianchi che vedono il corpo di una donna nel più orribile dei modi. La parola ”corpo-oggetto” non ci basta più a fronte di questo usa e getta di un essere umano, una ragazza, che è persino difficile credere all’accaduto.
A fronte di tanto orrore la parola donna-oggetto, ripeto, appare inadeguata, povera - seppur ancora vera - ma insufficiente a raccontare il disprezzo, la vigliaccheria, l’orrore con cui alcuni occhi e mani di uomini di questi spacciatori, hanno guardato e straziato il corpo femminile, capaci di uccidere per il proprio piacere una ragazzina che poteva alla fine essere salvata se, come ulteriore delitto, non avessero scelto la propria impunità e speranza di fuga alla sua vita.
Il pensiero più atroce è proprio quello di pensare a lei, con quel suo dolce nome che significa Desiderata, possibile e probabile motivo della scelta dei suoi genitori nel darglielo, felici di avere in braccio amata (un sentimento che immaginiamo fortissimo e che nessuna storia e vicenda futura, che aveva portato Desirèe ad essere affidata alla nonna) può cancellare pensando oggi al loro dolore senza fondo.
Il primo pensiero rimane e dovrebbe rimanere per lei, invece è divenuta ancora una volta e tristemente strumento di speculazioni politiche per parlare di immigrati di degrado irrefrenabile della Capitale, di degrado e abbandono di San Lorenzo, un quartiere famoso, una volta, per il più violento bombardamento su Roma nell’ultima guerra. Il luogo indicibile in cui la giovane è morta, in via dei Lucani, sembra evocare il drammatico ricordo, prima ancora della decadenza e della sciatteria, della funzione di luogo privilegiato dello spaccio.
Un territorio, guarda caso, comune a tanti studenti che vivono in stanze d’affitto ai confini dell’Università “La Sapienza”. Ma torno a lei in quel maledetto giorno. Desirée è sicuramente senza paura, sicura di sé, certa di farla in barba alla sua famiglia, lontano da Cisterna come oramai, racconta l’informazione, da un paio di settimane cercava ”la robba“ che nella sua cittadina non riusciva a rintracciare perché suo padre - pur dai domiciliari dove era costretto - aveva fatto trapelare il messaggio “autorevole e minacciosamente perentorio“ che nessuno gliela fornisse. E così Desirée con la sfrontatezza e l’incoscienza della sua età - e quella strana fiducia negli altri e nella propria capacità di autogovernarsi che i giovani hanno in un misto di presunzione e di inesperienza - è andata incontro alla morte.
Una morte che chiama in causa tanti e tante persone, autorità e forse tutte e tutti noi per il degrado complice di molte violenze nella città, per il non voler vedere quanto accade, per non immischiarci per paura, un modo di stare in mezzo ai giovani senza mettere a disposizione abbastanza tempo per capire i loro malesseri, angosce, paure, rabbia e le istituzioni e una politica, come in modo particolare ci ha mostrato Salvini sempre pronta e capace di strumentalizzare tutto ai propri fini di successo.
E così più che di Desirée, si parla e sparla di immigrati, spaccio, violenza, mancata sicurezza, responsabilità. E in un sottile ma oramai usuale percorso Desirée, con la sua storia e identità con i suoi malesseri tanto simili a quelli di tante e tanti altri ragazzi e ragazze sparisce dalle cronache. Due manifestazioni sabato 27 ottobre, in cui si sono fronteggiati l’ANPI (Associazione dei partigiani) e le femministe da una parte e Forza Nuova da un'altra nello stesso quartiere, pur inneggiando all’orrore della morte violenta, sembrano ”oscurare“ Desirée, che non c’è più, anche per la lista infinita di inadempienze di “adulti” nei loro molteplici abiti istituzionali, umani; nella loro responsabilità di scelta delle priorità di cui occuparsi, di pudore nell’escalation di violenza che lambisce le città e non solo e nel moltiplicarsi delle morti di donne giovani anziane sposate e non che vengono violentate, uccise, usate come residui da eliminare e spesso nel fiore degli anni e dei loro sogni nonostante il malessere e talvolta il disagio del vivere.
Forse sarebbe tempo che invece di urlare: MAI PIU'!, con un sano realismo guardassimo in faccia la realtà, non cercando di esorcizzarla ma di capirla, rimettendoci in cammino senza, come accade anche per Desirée, spostare di volta in volta il cannocchiale per esempio sui problemi dell’emigrazione e della sua gestione.
Non voglio essere fraintesa e sottolineo che mostri sono coloro che hanno massacrato la ragazza e che sicuramente, almeno per quelli già identificati, si tratta di uomini emigrati dall’Africa. Ma questo non puo far scattare l’odio, la repulsione per ogni persona di colore nero che ci attraversa la strada o scaricare su questi il tema emigrati.
Desirée, mi ripeto, perdonaci e spero davvero che davanti all’ennesimo orrore che la tua morte ci costringe a conoscere, si torni a parlare di te, di voi, dei giovani, dei vostri problemi, della vostra sensibilità partendo dalle famiglie, dalla scuola, dalla cultura, dalle relazioni e anche del rispetto di sé che dovreste coltivare come un valore e della paura di non farcela da sole e da soli, fidando poter chiedere aiuto e sostegno, in una rinnovata fiducia negli adulti, tutta da ridiscutere ma da ricostruire con tenacia.
Un pensiero lo voglio dedicare davvero alla madre, al padre e alla nonna di Desirée, ai suoi affetti famigliari e non solo la cui tragedia, dolore e solitudine sono in qualche modo solo all’inizio, dato il precipizio di dolore in cui sono piombati.
Paola Ortensi
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