Polonia: di nuovo scontro con la UE per la legge sull’aborto
Ogni anno sono tra le 100mila e 200mila le donne costrette ad andare ad abortire all'estero a causa dell'obiezione di coscienza e delle procedure arbitrarie degli ospedali
Lunedi, 12/03/2018 - Dopo la schiacciante vittoria del partito “Diritto e Giustizia” (PiS) del 2015, la destra nazional-populista aveva subito messo in campo con un disegno di legge la revisione della legge 1993 sull’interruzione di gravidanza, che è tra le più restrittive tra quelle vigenti in Europa. Questa legge, considerata un compromesso al ribasso dalla gerarchia ecclesiastica polacca, riconosce il diritto d’abortire (sino alla 24ma settimana di gravidanza) alle donne che lo chiedono, ma solo in casi estremi: se la gravidanza è frutto di uno stupro o incesto, se il feto ha gravi malformazioni o se gravidanza e parto possono mettere in pericolo la vita e la salute della madre. In ogni caso, la donna ha bisogno di un certificato rilasciato da un pubblico ministero (caso 1) o dal medico (nei casi 2 e 3), che confermi il diritto all’aborto legale. Il disegno di legge proposto da esponenti del PiS, con l’appoggio della Conferenza episcopale polacca e delle associazioni cattoliche, prevedeva il divieto assoluto d’aborto e proponeva la pena carceraria (5 anni di reclusione) per le donne decise a interrompere la gravidanza e per i medici disposti a praticare l’intervento. Un vero e proprio atto di barbarie che aveva suscitato la rabbia di ampi settori della società civile. Tra il 3 e 4 aprile 2016 i polacchi erano scesi in piazza per protestare contro l’infame disegno di legge “anti-aborto”; anche perché il 23 settembre 2016 il parlamento polacco (Sejm), la cui maggioranza dei seggi appartiene al partito di governo PiS (235 su 460), aveva approvato in prima lettura il Ddl che veniva, tuttavia, respinto il 5 ottobre in seconda lettura (352 voti contrari su 460 deputati), dopo il rapido dietro-front dell’esecutivo e del partito PiS. Il cambiamento di posizione del governo era stato dettato dall’indignazione che quella proposta di revisione della legge 1993 aveva suscitato soprattutto tra le donne, che proprio in quei primi giorni di ottobre avevano deciso di aderire allo sciopero “in nero”: alcune erano rimaste a casa dal lavoro, altre avevano chiuso i propri esercizi commerciali, altre ancora si erano simbolicamente unite alla protesta indossando un capo nero per chiedere che la proposta fosse rifiutata. Avevano partecipato allo sciopero circa 6 milioni di donne, di cui oltre 100mila erano scese in strada (tutte vestite di nero) per manifestare nelle principali città. Al grido di “annunciamo la morte dei nostri diritti”, associazioni (femministe e non) avevano dato il via alla “protesta nera” (czarny protest). Per la prima volta nella storia della Polonia, con un’inedita e imponente manifestazione, le donne avevano lanciato un messaggio duro a chi governa: nessuna stretta reazionaria e clericale sarebbe stata tollerata. Nel gennaio 2018, il parlamento polacco ha di nuovo confermato la sua rigida posizione sull’interruzione di gravidanza, bocciando una proposta che prevedeva la liberalizzazione dell’aborto. La c.d. legge “Salva donne” avrebbe consentito di abortire senza restrizioni fino alla 12ma settimana di gravidanza, e nello stesso tempo avrebbe offerto un migliore accesso alla contraccezione d’emergenza, alle cure mediche e all’educazione sessuale. Ma non è tutto qui. Il PiS ha lanciato un nuovo disegno di legge “Fermiamo l’aborto”, presentato al Sejm (che ha votato - 11 gennaio 2018 - per far proseguire l’iter del Ddl inviandolo a una speciale commissione parlamentare), il quale vieta l’aborto anche nel caso in cui il feto sia colpito da malattia incurabile o grave malformazione. L’approvazione del disegno di legge equivarrebbe a un divieto quasi totale dell’aborto, poiché il 95% delle interruzioni di gravidanza praticate legalmente in Polonia ha proprio come motivazione una patologia genetica o anomala del feto. Tutto ciò ha subito innescato nuove ondate di manifestazioni nel paese, promosse dall’organizzazione “lo sciopero nazionale delle donne”, riportando la Polonia indietro nel tempo - e cioè al susseguirsi delle c.d. “proteste in nero”, che animarono le piazze e le strade nel 2016. “Oltre all’utero abbiamo anche un cervello”: questo è il messaggio riportato dagli striscioni che si vedevano nelle piazze delle circa 60 città polacche che si erano mobilitate contro la morsa reazionaria in quella giornata fredda del 17 gennaio 2018 soprannominata “Mercoledì Nero”. La proposta di vietare l’aborto, in caso di deformità del feto, ha buone chance di essere approvata dal parlamento. Intanto, se ogni anno si registrano nel paese circa 1000 aborti legali (su una popolazione di 38 milioni di abitanti), le donne polacche che sono costrette a ricorrere all’aborto clandestino, o ad andare ad abortire all’estero (in Slovacchia, Repubblica Ceca, Germania o Ucraina), sono tra le 100mila e 200mila - ogni anno. Abortire oggi in Polonia è molto difficile, a causa delle procedure arbitrarie degli ospedali e dell’esercizio abusivo dell’obiezione di coscienza da parte di medici e personale sanitario. Il clima di criminalizzazione dell’aborto che pervade il paese produce su di loro un forte effetto “intimidatorio”.In più, i farmacisti (che non hanno diritto all’obiezione di coscienza) negano sovente alle donne l’accesso alla contraccezione d’emergenza.
In conclusione, le donne polacche vedono sempre più restringersi le loro libertà. Non hanno potere decisionale sui propri corpi e, più in generale, sono sottoposte a una campagna interna tesa a far prevalere le opinioni dell’integralismo cattolico sulla famiglia e sul ruolo della donna nella società.
Il Parlamento europeo ha adottato una risoluzione nel novembre 2017 contro i tentativi di rendere impossibile l’aborto in Polonia. E pure la Corte europea dei diritti umani si è pronunciata contro questo paese in diverse cause riguardanti le limitazioni all’accesso all’interruzione di gravidanza.
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