Se il ddl Pillon è incompatibile con il principio di realtà, come si fa?
Il Disegno di Legge Pillon sull’affidamento condiviso in discussione alla Commissione Giustizia del Senato è così assurdo che viene da dire: vabbè, arrendiamoci, invece eccoci qua. (Ladynomics)
Emerge anche al lettore/trice più distratto/a come questa iniziativa di legge faccia a pugni contro ogni principio di realtà, poiché si basa interamente sul presupposto fantascientifico della parità economica e sociale di madri e padri, nonchè sull’uguale responsabilità e distribuzione del carico di cura dei figli. Poiché così non è nel nostro paese, e sconvolge doverlo dimostrare ancora oggi, il risultato è che, se tale proposta dovesse entrare in vigore, le donne e i figli ne verrebbero drammaticamente penalizzati.
E’ un’opinione questa talmente condivisa che ad oggi non ho ancora letto un parere di un/una specialista (avvocato/a, psicologo/a ecc) che difenda questa proposta. Pure un’avvocata famosa come Annamaria Bernardini De Pace non ha alcuna riserva nel condannare in modo inequivocabile il provvedimento.
Non bastasse il parere degli esperti, che oggi non va tanto di moda, valga la realtà descritta dalle statistiche: le donne in Italia sono ancora oggi soggetti ancora particolarmente deboli, sia dal punto di vista sociale che economico, altro che bigenitorialità perfetta.
Sarebbe sufficiente aprire il data base dell’Istat o di Eurostat, accessibili on line, e si scoprirebbe come per magia che:
- Le donne investono nella famiglia molto di più degli uomini, a scapito della carriera e possibilità di guadagno. Si prendono cura dei figli e della casa molto più di quanto siano disposti a fare i padri. Infatti:
- le loro ore giornaliere di lavoro dedicate alla sola cura dei figli tra 0 e 17 anni sono 2 ore e 01 minuti contro le 1 ore e 24 ore dedicate dagli uomini. A queste vanno aggiunte il lavoro domestico che ammonta a 4 ore per le donne e 1,54 per gli uomini (Istat, 2013)
- fatta 50 l’equa distribuzione del lavoro familiare complessivo tra donne e uomini, l’indice di asimmetria per le coppie sposate con figli ed entrambi i coniugi occupati è di 69,4 (Istat, 2013)
- Il tasso di occupazione delle donne con un figlio sotto i 6 anni è del 56,6% e diminuisce al crescere del numero dei figli : 52,3% con due figli, 38,3% con tre o più figli (dei quali almeno uno sotto i 6 anni, Eurostat 2017)
- A guardare i dati sul reddito e sulla disponibilità di risorse emerge che le donne sono più povere: guadagnano mediamente a parità di lavoro 3.000 euro in meno degli uomini, mentre la loro ricchezza individuale è più bassa di quella maschile del 25%. Il rischio di povertà delle donne è del 21,4%, quello degli uomini del 19,4%
- Separarsi per le donne è un lusso che si possono permettere le più istruite e con un un lavoro, perché già adesso risentono del maggior carico di cura e onere economico dalla separazione. Non è un caso, infatti, che (Istat, 2015) delle 74.038 donne che si separano ogni anno in tribunale le laureate o diplomate siano il 63,2% (contro il 48,1% della media generale della popolazione) e le occupate il 60% (contro il 47,2% del tasso di occupazione femminile in Italia)
A chiusura definitiva di qualsiasi argomentazione di chi dice che oramai le donne hanno le stesse possibilità degli uomini, basti ricordare che secondo il Global Gender Gap report in Italia le donne raggiungeranno la piena parità con gli uomini tra 118 anni, più di un secolo. Quindi non solo non la vedremo noi, ma neanche i nostri figli. Forse i nipoti, ma da anziani.
Non bastasse ancora la realtà descritta dagli specialisti e quella indicata dalle statistiche, si potrebbe, banalmente, fare un giro di telefonate tra le proprie conoscenti, oppure, esageriamo, stare davanti all’uscita di una scuola e ascoltare i racconti tipo:
- Dopo i primi sei mesi il magnifico padre si è volatilizzato in quanto troppo impegnato a risolvere la sua crisi di mezza età con altra compagna. I soldi arrivano solo sotto minaccia dell’avvocato, e spesso manco con questa. D’altronde se non si è mai occupato prima dei figli perché dovrebbe cominciare dopo la separazione.
- Le difficoltà economiche per la madre e per i figli sono aumentate significativamente dopo la separazione, con la necessità di fare economie familiari spesso imbarazzanti. L’assegno di mantenimento delle madri, tra l’altro, non viene speso in borsette griffate, ma è spesso a disposizione delle esigenze dei figli (le statistiche sulla povertà mostrano come una sterlina guadagnata dalla moglie ha maggiori probabilità di essere spesa per i figli di quante ne abbia una sterlina guadagnata dal marito, cit: Pahl 1989, 1995)
- L’affido condiviso è una iattura per i figli, sballottati tra più case, disorientati, incattiviti per la difficoltà di mantenere la loro rete di relazioni ed impegni spesso in quartieri diversi. Se quando sono piccoli li si può ancora trasportare come pacchi, provate a gestire con doppio ménage la casa, i compiti gli amici e lo sport di un preadolescente.
E quindi? Perché il Disegno di Legge Pillon va in direzione ostinata e contraria ad ogni principio di realtà? Che possiamo fare?
Intanto, ragionare su chi trae vantaggio da questo decreto, ed è innegabile che siano i padri separati, e cito solo i primi vantaggi che mi vengono in mente:
- togliere l’assegno di mantenimento sarebbe un bel risparmio per i padri separati, che lo vedono ancora oggi come una rendita lussuosa non dovuta, in quanto il lavoro di cura e i sacrifici, anche di opportunità, delle donne sono tuttora considerati un dovuto gratuito talmente scontato da non dover essere riconosciuto.
- l’affidamento condiviso al 50% è, di fatto, à la carte: se un padre ha voglia di tenersi i figli bene, ma se per caso vuole uscire o è impegnato, basta fare resistenza passiva tanto, si sa, c’è mammina che non lascia certo la prole per strada.
Per onestà di giudizio ed equilibrio di valutazione, spezziamo una lancia anche in favore dei padri separati. E’ vero: ci sono in giro delle vere donne-arpie capaci di lasciare in braghe di tela l’ex coniuge e di portargli via tutto, affetto dei figli compreso. Ma, sinceramente, quando c’è un simile divario sociale ed economico di partenza quale è quello tra donne e uomini, l’interesse generale deve proteggere i soggetti più deboli, che sono senza dubbio le donne, avendo certamente anche gli strumenti giuridici per compensare i casi limite e tutelare i padri, dove necessario.
Con il Disegno di legge Pillon separarsi per le donne diventerebbe invece ancora più difficile di adesso, perché se lo potrebbero permettere solo quelle con soldi, un lavoro, una casa. Per le donne che invece venissero lasciate dal marito, al danno si verrebbe ad aggiungere pure la beffa. Si acuirebbe inoltre ancora di più il divario tra le donne socialmente ed economicamente più forti che, Pillon o meno, hanno già le capacità e i mezzi per proteggersi da sole, e le donne più deboli che hanno invece davvero bisogno di essere tutelate dalla legge.
Si tratta quindi di un provvedimento legislativo a forte matrice maschilista e patriarcale, e ci possiamo solo augurare un rinsavimento collettivo in Parlamento che sappia fare davvero l'interesse generale.
Certo, che scoramento. Ad inizio legislatura abbiamo sottolineato come dal nuovo programma politico e dalla compagine di governo fosse scomparsa la voce delle donne. Speravamo che, almeno, nel silenzio ed indifferenza generale, non ci sarebbero stati provvedimenti legislativi esplicitamente ostili.
Ci sbagliavamo.
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