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Laudato sì, una riflessione di Cristina Carpinelli

Laudato sì, una riflessione di Cristina Carpinelli

Intervento di Cristina Carpinelli (Comitato Scientifico CeSPI)

Domenica, 28/02/2016 - Intervento di Cristina Carpinelli (Comitato Scientifico CeSPI, settembre 2015)



Il profeta è colui che sa leggere nella penombra del tempo la cura di Dio per l’uomo



In un incontro che si è tenuto lo scorso settembre a Milano, in occasione della presentazione del libro Martini e noi (a cura di Marco Vergottini, piemme editrice, 2015), il padre gesuita Bartolomeo Sorge – relatore insieme con altri della conferenza – ha introdotto il suo discorso in memoria dell’“amico”, il cardinale Carlo Maria Martini, richiamando l’enciclica Caritas in veritate, per affermare come questa enciclica avesse adottato come criterio interpretativo il metodo deduttivo “tipico delle prime encicliche sociali: partire cioè dai principi, da cui trarre progressivamente le conclusioni”.



Tuttavia, per “comprendere meglio l’enciclica e gustarla di più”, padre Sorge ha sostenuto l’uso del metodo induttivo: “vedere, giudicare e agire”, inaugurato da Giovanni XXIII nella Mater et magistra: “Rilevazione delle situazioni; valutazione di esse alla luce di quei principi e di quelle 2 direttive; ricerca e determinazione di quello che si può e si deve fare” (n. 217)”. Ha, inoltre, aggiunto che “questo metodo era stato seguito dal Concilio Vaticano II nella Gaudium et spes e, in un certo senso, codificato da Paolo VI nel n. 4 dell’Octogesima adveniens”.



Al centro della sua testimonianza sul cardinale Martini, il padre gesuita Bartolomeo Sorge ha messo, dunque, la problematica del metodo induttivo e deduttivo; problematica che non è di secondaria importanza, né è solo una questione tecnica, poiché si pone sul discrimine tra modalità molto diverse di intendere la stessa Dottrina sociale della Chiesa e il rapporto tra la Chiesa e il mondo: una preconciliare e una conciliare. Esprime due diversi tipi di rapporto tra la Chiesa e il mondo: quello in cui la Chiesa accompagna il mondo ponendosi in suo ascolto senza pretendere di avere una missione di verità (vede/osserva, giudica, e agisce – uso del metodo induttivo) e quello della Chiesa che annuncia al mondo una Verità che il mondo da solo non può darsi (uso del metodo deduttivo).



Nell’ecclesiologia apologetica pre-conciliare la Chiesa difende i principi immutabili del mondo, considerato quest’ultimo come pericoloso perché corruttore di anime. Essa usa nel suo rapporto con la realtà secolare un metodo chiamato deduttivo. Da un uomo che vive nel mondo, poco ci si può aspettare di buono, e va guardato sempre con sospetto. Ne discende una grande distanza dal mondo e un’identità ecclesiale caratterizzata dal principio di autorità impegnata a mantenere l’ordine, pochissimo o per niente aperta al dialogo, alle iniziative di chi vive nel mondo, all’incontro. Il Concilio, viceversa, passa al metodo induttivo, aprendo al dialogo e all’iniziativa dei laici.



A questo punto del discorso padre Sorge ha individuato proprio nell’approccio induttivo il denominatore comune che vi è tra i pontefici Giovanni XXIII e Montini, il cardinale Martini e papa Bergoglio. La consapevolezza che la dottrina sociale della Chiesa non produce giudizi universali ed eterni, ne è un ricettario da applicare alle situazioni difficili, ma rappresenta uno sforzo costante di comprensione delle “cose del mondo” (nient’altro che l’applicazione del metodo induttivo del Concilio), ci conduce a quell’idea di “rivoluzione” evangelica portata avanti da papa Francesco. Una rivoluzione che non guarda solo alla questione sociale, poiché ogni “teoria dei diritti” sottende una visione antropologica. È, dunque, un’impresa più complessa, dato che la “questione antropologica” investe l’essenza di ogni cultura e il fondamento del vivere sociale e del diritto positivo.



Papa Francesco ha parlato spesso del posto “importante” che devono occupare le donne nel mondo. Ad esempio, nella vita ecclesiale. Dice il papa: “Le donne devono essere maggiormente considerate nella Chiesa”. La loro “emancipazione” deve potersi “esprimere”. Dall’inizio del suo pontificato, papa Francesco ha moltiplicato i suoi discorsi a favore delle donne. Anche se l’ordinazione delle donne non rientra tra i suoi obiettivi, sembra risoluto a dar loro maggiore visibilità. La riforma della Curia (governo della Chiesa), cantiere principale del suo pontificato, è stata per lui un’occasione per nominare figure femminili a capo di dicasteri (ministeri), pur consapevole delle forti resistenze che avrebbe incontrato in seno alla sua amministrazione.



Già pochi giorni dopo la sua elezione, il giovedì santo, il papa lavava i piedi di due donne in una prigione romana. Era la prima volta che questo accadeva. Una settimana dopo, in un discorso, dichiarava che “le donne hanno un ruolo particolare [per] aprire le porte al Signore”. Nel novembre 2013, nell’esortazione apostolica Evangelii Gaudium, il papa si sarebbe dimostrato ancora più incisivo, invitando a riflettere “sul possibile ruolo della donna là dove si prendono delle decisioni importanti”. Nel dicembre 2014, chiedeva che esse fossero “meglio riconosciute nei loro diritti”, nella “vita sociale e professionale”.



Il Santo Padre non si è fermato alle parole. Nell’aprile del 2014, nominava la famosa sociologa inglese Margaret Scotford Archer alla presidenza della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali (già Direttore del “Centre d’Ontologie Sociale” presso la EPFL École Polytechnique Fédérale de Lausanne, Accademico Pontificio e Membro del Consiglio dell’Accademia – Gran Bretagna). Nel luglio dello stesso anno, la Congregazione per l’Educazione Cattolica conferiva il ruolo di Rettore Magnifico della Pontificia Università Antonianum alla suora francescana Mary Melone, decano della Facoltà di Teologia della stessa Università. Nel settembre del 2014, Papa Francesco designava, inoltre, i nuovi membri della congregazione per l’evangelizzazione dei popoli. Tra questi, vi erano cardinali, vescovi, alcuni religiosi e una suora, la superiora delle missionarie comboniane, la brasiliana Luzia Premoli. E questa era una novità. Infatti, pur essendo prassi di questo dicastero annoverare tra i suoi membri anche superiori generali di ordini religiosi, non era mai accaduto che ad esser nominata fosse la superiora di un istituto femminile. In breve, con papa Francesco, per la prima volta, una donna diventava membro di un ministero di prima fascia della curia romana, cioè di una congregazione. Infine, sempre nello stesso mese e anno, il vescovo di Roma nominava cinque donne nella prestigiosa Commissione teologica internazionale. Papa Francesco voleva più donne in seminario e più teologhe: “occorre trarre il miglior profitto dal loro apporto specifico all’intelligenza della fede” – aveva detto in un incontro alla Commissione teologica internazionale.



Dunque, si sta compiendo una piccola rivoluzione nelle pari opportunità dentro le “sacre stanze” e ambienti vicini. Una piccola rivoluzione iniziata prima ancora del pontificato di papa Benedetto XVI (Ratzinger), spezzando un predominio maschile assoluto che era durato almeno sino agli anni Cinquanta. Guido Orsini (“Sorpresa: se fosse Papa Ratzinger il rivoluzionario?” in Il Secolo d’Italia, 23/7/2010) riferisce che “Un brillante articolo di Paolo Rodari su Io Donna, […] rivelava che sono undici di loro [donne laiche] a lavorare nel posto di comando principale, ossia la Segreteria di Stato vaticana, quella che supervisiona e amministra le relazioni internazionali del Santo Padre: cinque, invece, si trovano nella Dottrina della Fede, ossia l’ex Santo Uffizio. Trentacinque nella Biblioteca Apostolica, 23 in Radio Vaticana e a Propaganda Fide. Infine una giornalista donna, la prima in un secolo e mezzo di storia, è stata assunta dall’Osservatore Romano, per scelta del nuovo direttore (dal 2007) Gian Maria Vian: lei è Silvia Guidi, ex vice-capo degli esteri a Libero, oggi impegnata nelle pagine di cultura del quotidiano vaticano. Nella sua stanza, in redazione – ha raccontato Rodari – è appesa una frase del filosofo e teologo russo Pavel Evdokimov, a suo tempo osservatore ortodosso nell’ultima sessione del Concilio Vaticano II. La frase è questa: ‘Il mondo fondamentalmente maschile nel quale la donna non ha alcun ruolo è sempre più un mondo senza Dio, poiché senza madre Dio non può nascervi’”.



L’inedita apertura verso il ruolo della donna si è manifestata accanto al persistere di chiusure su temi sensibili come quelli discussi, ad esempio, dagli studi di genere (gender studies). Su questi ultimi – definiti da una precisa corrente del pensiero cattolico, “teoria del gender” (o “ideologia del gender”), il Pontefice ha mostrato una posizione ferma: “la teoria gender è espressione di frustrazione e rassegnazione che mira a cancellare la differenza sessuale perché non sa più confrontarsi con essa. Eh, rischiamo di fare un passo indietro. La rimozione della differenza, infatti, è il problema, non la soluzione”. “Come tutti sappiamo, la differenza sessuale è presente in tante forme di vita, nella lunga scala dei viventi…..”. Nella sua enciclica “Laudato Sì”, il papa ha avuto modo di ribadire il suo pensiero: “…Anche apprezzare il proprio corpo nella sua femminilità o mascolinità è necessario per poter riconoscere sé stessi nell’incontro con l’altro diverso da sé. In tal modo è possibile accettare con gioia il dono specifico dell’altro o dell’altra, opera di Dio creatore, e arricchirsi reciprocamente. Pertanto, non è sano un atteggiamento che pretenda di “cancellare la differenza sessuale perché non sa più confrontarsi con essa” (III. Ecologia della vita quotidiana, 155.). Le parole del Santo Padre sulla “teoria gender” (“sbaglio della mente umana che 4 fa tanta confusione”), si sono mostrate inflessibili e liquidatorie: quella teoria è “nemica dell’ordine naturale”. Altrettanto liquidatorie sono state le sue parole a proposito del femminismo: “Una filosofia che corre il rischio di trasformarsi in maschilismo in gonnella”.



Nel corso dell’udienza dedicata al tema della complementarietà tra uomo e donna, come preparazione al Sinodo sulla famiglia, il papa ha sottolineato che la differenza tra i due generi “non è per contrapposizione, o subordinazione, ma per comunione e generazione, sempre a immagine e somiglianza di Dio”. Per il Santo Padre, infatti, “per conoscersi bene e crescere armonicamente l’essere umano ha bisogno della reciprocità tra uomo e donna. Quando ciò non avviene, se ne vedono le conseguenze. Siamo fatti per ascoltarci e aiutarci a vicenda. Possiamo dire che senza l’arricchimento reciproco in questa relazione, nel pensiero e nell’azione, negli affetti e nel lavoro, anche nella fede, i due non possono nemmeno capire fino in fondo che cosa significa essere uomo e donna”. Papa Francesco afferma che non dobbiamo e possiamo sfuggire alla complessità ma dobbiamo affrontarla positivamente scommettendo sulla polarità capace di promuovere il bene comune contro ogni facile unilateralità.



Un’alleanza, quella tra uomo e donna, che – secondo papa Francesco – va costantemente rinnovata, e che oggi non può non tener conto della necessità di abbandonare luoghi comuni e falsi miti, come quello, ad esempio, della “donna tentatrice dell’uomo” (istigatrice di peccato, fonte di provocazione). Questa definizione della figura femminile – ha più volte sostenuto il pontefice – è un “falso”, è “ingiusta, superficiale e offensiva, e lede la dignità della donna sotto tutti i punti di vista”. Uno per tutti – ha sostenuto ancora il papa – valga l’esempio “dell’Apocalisse, in cui la donna corre a difendere il figlio dal drago e lo protegge”. “Lavoriamo, quindi, per allontanare ogni elemento che possa ridicolizzare il matrimonio, ogni forma d’ingiustizia e disuguaglianza, in particolare nei confronti della donna; operiamo per stabilire una nuova alleanza tra l’uomo e la donna che si basi sul rispetto, sull’uguaglianza e sull’amore. “Ci deve essere spazio per una teologia della donna che sia all’altezza di questa generazione di Dio”.



Il papa si è espresso contro il sacerdozio femminile, ma ha affermato che la Madonna (la Regina, la Madre di tutto il Creato) è più importante degli apostoli, dei vescovi, dei diaconi e dei preti: “Una Chiesa senza le donne è come il collegio apostolico senza la Madonna. E la Madonna è più importante degli apostoli. La Chiesa è femminile perché è sposa e madre. Si deve andare più avanti, non si può capire una Chiesa senza le donne attive in essa. Nella Chiesa si deve pensare alla donna in questa prospettiva. Non abbiamo ancora fatto una teologia della donna. Bisogna farlo. Per quanto riguarda l’ordinazione delle donne, la Chiesa ha parlato e ha detto no, Giovanni Paolo II si è pronunciato con una formulazione definitiva, quella porta è chiusa. Ma ricordiamo che Maria è più importante degli apostoli e dei vescovi, e così la donna nella Chiesa è più importante dei vescovi e dei preti”.



Il Vaticano mantiene salda l’idea che gli uomini e le donne abbiano ruoli differenti e complementari. Il problema sta nel fatto – dice papa Bergoglio – che si è sempre ritenuto superiore il ruolo degli uomini, mentre non lo è. Le donne non hanno bisogno di un ruolo sacerdotale. Non tutti i cattolici condividono il punto di vista del papa (e del Vaticano). Kate McElwee, direttrice dell’organizzazione americana “Women’s Ordination Conference” a Roma, che è a favore del sacerdozio femminile, sostiene che la posizione della Chiesa su questo punto mostra una concezione apertamente “sessista. Dire che le donne sono più spirituali, materne, comprensive, permette di giustificare il fatto che l’autorità, le posizioni di potere, siano date agli uomini”. Nel mondo cattolico anglosassone e atlantico, molte sono le associazioni cattoliche (es: dalla National Coalition of American Nuns a Pax Christi, da Noi Siamo Chiesa sino a quelli di Corpus) che lavorano per l’ordinazione delle donne alla ricerca di una Chiesa che sia inclusiva e responsabile. Per tali 5 associazioni, la Pontifica Commissione Biblica, nel corso d’una disamina, aveva semplicemente concluso che non esistevano validi motivi scritturali per negare l’ordinazione alle donne.



Sulla crisi del matrimonio e della famiglia, papa Bergoglio è stato molto chiaro: “Non è vero che ciò accade per l’emancipazione della donna: è un’ingiuria, è una forma di maschilismo”. Papa Francesco ha denunciato ancora una volta i danni che compie il maschilismo nella nostra società, partendo dal luogo comune per il quale la crisi della famiglia tradizionale, con il portato della diminuzione dei matrimoni, è colpa dell’emancipazione femminile. “Questa – ha scandito il pontefice – è un’ingiuria, ed è una forma di maschilismo: l’uomo che sempre vuol dominare”. “Così facciamo la brutta figura di Adamo, che per giustificarsi di aver mangiato la mela ha risposto al Signore: ‘Lei me l’ha data’”. Eva, cedendo alle tentazioni del diavolo-serpente, avrebbe convinto Adamo ad assaporare il frutto proibito. Per “colpa” di Eva (Adamo, in verità, non è stato mai giudicato con analoga severità), le donne sono state sempre guardate, per oltre 2mila anni, con sospetto, fino a diventare carne da macello per roghi e supplizi di vario genere decisi dai tribunali nei secoli bui della storia della Chiesa.



Per papa Bergoglio, il cristianesimo non può essere maschilista: “Il Vangelo – infatti – ha sconfitto la cultura del ripudio abituale, quando un marito poteva imporre il divorzio anche con i motivi più pretestuosi e umilianti”. “Dobbiamo difendere le donne!”, ha detto papa Francesco. Negli ultimi decenni per le donne si sono aperti “nuovi spazi e responsabilità” e “auspico vivamente possano ulteriormente espandersi”. È necessario che la donna non solo sia più ascoltata, ma che la sua voce abbia un peso reale, un’autorevolezza riconosciuta, nella società e nella Chiesa. È una strada da percorrere con più creatività e più audacia per valorizzare il genio femminile (ved: catechesi del pontefice sulla famiglia dedicata alla complementarietà tra l’uomo e la donna). L’apporto del genio femminile nel lavoro e nella sfera pubblica è importante, così com’è altrettanto importante il ruolo della donna nella famiglia – che è insostituibile.



In occasione del suo viaggio negli USA, il pontefice ha tenuto un memorabile discorso davanti al Congresso di Washington in seduta congiunta, durante il quale ha menzionato alcuni personaggi che hanno reso grande l’America, poiché “hanno dato forma a valori fondamentali che resteranno per sempre nello spirito del popolo americano”. Si tratta del presidente degli Stati Uniti, Abraham Lincoln, del leader antirazzista Martin Luther King, del monaco trappista Thomas Merton e dell’attivista sociale Dorothy Day. Grandi americani, di cui onorare la memoria – ha affermato il Pontefice – poiché “nonostante la complessità della storia e la realtà della debolezza umana, questi uomini e donne, con tutte le loro differenze e i loro limiti, sono stati capaci con duro lavoro e sacrificio personale, alcuni a costo della propria vita, di costruire un futuro migliore…la loro visione continua a ispirarci”.



Un filo conduttore tiene insieme questi paladini dell’amore per il prossimo, dell’avanzamento sociale e dell’incarnazione dei principi del Vangelo. Abraham Lincoln abolì la schiavitù, Martin Luther King fu il portavoce dei diritti dei neri, Thomas Merton sfidò le certezze del suo tempo, aprendo nuovi orizzonti per le anime e la Chiesa e facendosi promotore di pace e di dialogo tra popoli e religioni, infine, Dorothy Day lottò a favore dei poveri e per l’uguaglianza sociale, fondando nel 1933 il “Catholic Worker Movement” (il movimento dei lavoratori cattolici).



Il pontefice, in diretta mondiale, sotto la scritta in “God We Trust” (che sovrasta l’aula del Congresso degli USA), ha proposto questi quattro grandi figli dell’America come modelli di vita da seguire: “Una nazione può essere considerata grande quando difende la libertà, come ha fatto il presidente Abraham Lincoln”; “quando promuove una cultura che consenta alla gente di ‘sognare’ pieni diritti per tutti i propri fratelli e sorelle, come Martin Luther King ha cercato di fare”; quando 6 “lotta per la giustizia e la causa degli oppressi, come Dorothy Day ha fatto con il suo instancabile lavoro”, frutto di una fede che “diventa dialogo e semina pace nello stile contemplativo di padre Thomas Merton”.



Nel Pantheon dei personaggi esemplari menzionati dal Papa c’è, dunque, anche una donna, che durante tutto l’arco del Novecento fu prima attivista sociale anarchica, militante suffragista, pasionaria dei diritti delle donne, poi figura di spicco del cattolicesimo sociale statunitense. Dorothy Day incarna a pennello il nucleo del pensiero e dell’azione di Bergoglio. Sostiene il pontefice: “In questi tempi, in cui le preoccupazioni sociali sono così importanti, non posso mancare di menzionare la serva di Dio, Dorothy Day, che ha fondato il “Catholic Worker Movement”. Il suo impegno sociale, la sua passione per la giustizia e la causa degli oppressi, erano ispirati dal Vangelo, dalla sua fede e dall’esempio dei santi”.



Dorothy Day piace a papa Bergoglio per il suo conservatorismo sui valori della fede e rivoluzionarismo nel sociale. Dorothy Day è conosciuta per aver cambiato radicalmente idea sulla liberazione sessuale delle donne: in gioventù – erano gli anni ‘20 – si batteva per la parità di genere e l’indipendenza femminile che doveva passare anche attraverso il controllo delle nascite. Poi, l’esperienza drammatica di un aborto illegale mutò il percorso della sua vita, tanto che negli anni ‘60 e ‘70 si scagliò contro il sesso libero e l’aborto. Nel 1974, quando la Suprema Corte americana legalizzò l’interruzione volontaria di gravidanza, firmò una lettera pubblica per condannare quella decisione: “Rifiutiamo categoricamente la posizione della Suprema Corte secondo la quale l’aborto è una questione esclusivamente privata tra la donna che potrebbe diventare madre e il suo medico. Protestiamo contro la logica e probabilmente inevitabile diffusione di una pratica che, sebbene abbia origine da un contesto personale, è presto diventata una politica sociale che coinvolge cliniche finanziate dalle casse pubbliche”.



Il Pontefice Bergoglio cita più volte Dorothy Day, e lo fa anche quando discute davanti al Congresso americano della difesa della vita “in ogni fase del suo sviluppo”, poiché questa figura femminile è stata una fervente paladina e difensora di uno di quei principi non negoziabili che già Benedetto XVI aveva posto come primo bastione contro il relativismo etico. Non è certo casuale che il papa menzioni proprio questa “serva di Dio”, pentita di aver commesso il peccato di aborto, ora che in occasione dell’Anno Giubilare straordinario, che mette al suo centro la misericordia di Dio, il papa stesso ha deciso di concedere a tutti i sacerdoti la facoltà di assolvere dal peccato di aborto le donne veramente pentite, poiché “il perdono non può essere negato a nessuno, soprattutto quando con cuore sincero una persona si accosta al sacramento della confessione per ottenere la riconciliazione con il Padre”.



Papa Francesco, il primo dal Sud America, conosce bene la povertà – grande piaga dell’umanità. Sa che avvicinarsi ai poveri non è una questione teorica, ma un’esperienza reale “di cuore”. Il povero è una persona “ferita”, che va liberata “dall’oppressione” : “la misericordia sarà sempre necessaria, ma non deve contribuire a creare circoli viziosi funzionali a un sistema economico ingiusto. Si richiede che le opere di misericordia siano accompagnate dalla ricerca di una vera giustizia sociale volta a migliorare il livello di vita dei cittadini, promuovendoli come soggetti attivi del proprio sviluppo”, e anche dal “peccato”, se fame, miseria, disperazione (o altre cause) l’hanno spinta a scelte “estreme”. Ecco! Qui sta l’applicazione del metodo induttivo per l’elaborazione di un’antropologia affermativa del principio ermeneutico: “Gesù è il punto di partenza per comprendere l’umano […]; ma soprattutto è da accogliere il metodo per entrare in dialogo con gli umanesimi odierni assumendo un metodo quello induttivo che cerca di salire, insieme con l’uomo a Dio, dalla natura al creatore. La Chiesa si mette in dialogo con il mondo a 7 partire dall’antropologia […]” (teologo don Antonio Mastantuono, docente della Pontificia Università Lateranense).



Il papa “classifica” tra i peccatori le donne che hanno abortito (stupratori, pedofili e assassini messi sullo stesso piano di chi interrompe una gravidanza?). Tuttavia, sulla scia della narrazione dominante dell’aborto come “esperienza dolorosa”, e come tale avvertita dalla donna intimamente con senso di colpa, come “peccato” (anche solo in senso laico), ci sono poi quelle, dice il papa, che non avevano altra strada da percorrere, “ma a queste ultime forse dovremmo chiedere scusa noi”. “(…) Il dramma dell’aborto è vissuto da alcuni con una consapevolezza superficiale, quasi non rendendosi conto del gravissimo male che un simile atto comporta. Molti altri, invece, pur vivendo questo momento come una sconfitta, ritengono di non avere altra strada da percorrere. Penso – prosegue Francesco – in modo particolare, a tutte le donne che hanno fatto ricorso all’aborto. Conosco bene i condizionamenti che le hanno portate a questa decisione. So che è un dramma esistenziale e morale. Ho incontrato tante donne che portavano nel loro cuore la cicatrice per questa scelta sofferta e dolorosa. Ciò che è avvenuto è profondamente ingiusto; eppure, solo il comprenderlo nella sua verità può consentire di non perdere la speranza”. A questo punto, sorge una semplice domanda: e per chi non si è pentita? Si prospetta la dannazione eterna e/o lo stigma sociale di chi non si è adeguata, appunto, alla narrazione dominante dell’aborto come “grande dolore”?



Beninteso, non ci si può aspettare da papa Bergoglio – in linea, del resto, con tutta la Chiesa -, una strenua difesa dell’autodeterminazione femminile, ma le parole del papa appaiono indulgenti e piene di comprensione verso quei “peccatori”, che mostrano reale pentimento e che chiedono il perdono. Indice un giubileo, che significa perdono e remissione dei peccati, una visione della Chiesa accogliente e misericordiosa. “Desidero – afferma ancora Bergoglio – che l’indulgenza giubilare giunga per ognuno come genuina esperienza della misericordia di Dio, la quale a tutti va incontro con il volto del Padre che accoglie e perdona, dimenticando completamente il peccato commesso”.



Sebbene sia un conservatore, un tradizionalista, papa Francesco è compassionevole, più concentrato sulla testimonianza che sull’antagonismo contro l’ordine sociale secolarizzato. […] …se una persona, laica, prete o suora, commette un peccato e poi si converte, il Signore perdona. E quando il Signore perdona, il Signore dimentica. […] Se una persona è gay e cerca il Signore e ha buona volontà, chi sono io per giudicarla? Il catechismo della Chiesa cattolica dice che queste persone non devono essere discriminate ma accolte. Il problema non è avere queste tendenze, sono fratelli, il problema è fare lobby: di questa tendenza o d’affari, lobby dei politici, lobby dei massoni, tante lobby… questo è il problema più grave. […].



Ripartendo dal Vangelo, il pontefice sta cercando di portare aria nuova e pulizia, ridare vigore alla fede e rendere la Chiesa un punto di riferimento sostanziale per quanti vogliano costruire un futuro diverso da quello che i potenti hanno immaginato. Ma per realizzare la sua missione, dettata anche dalle circostanze storiche, ci vuole la tempra dell’innovatore rispettoso della tradizione.

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