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La Corte Edu condanna la Francia per aver violato l'articolo 10 della Convenzione nel caso dell'atti

La Corte Edu condanna la Francia per aver violato l'articolo 10 della Convenzione nel caso dell'atti

Ha sollevato molte polemiche la sentenza sul ricorso n. 22636/19, dello scorso 13 ottobre, della Corte Edu la quale, in accoglimento del ricorso dell'attivista Eloïse Bouton, ha ravvisato nella condanna per esibizione sessuale della ricorrente, una viola

Lunedi, 14/11/2022 - Il caso risale al dicembre 2013, allorquando l'attivista femen, con in dosso solo un velo azzurro e una corona di spine, seguita da un gruppo di giornalisti e di fotografi appositamente chiamati, si recò nella chiesa di Sainte-Marie-Madeleine, in Parigi, e in corrispondenza del tabernacolo, rappresentò l'aborto dell'embrione di Gesù, deponendo un pezzo di fegato di manzo, sull'altare, come fosse un feto. Sul dorso nudo della donna la scritta : “Natale è cancellato” ( sarà successivamente reso noto sul sito Femen-France, lo slogan completo: “ Natale è cancellato dal Vaticano a Parigi, sull'altare della Chiesa della Maddalena la Santa Madre Eloise ha abortito Gesù”), e all'altezza del ventre un'altra scritta recante lo slogan: “343ème salopes”, richiamante il manifesto – apparso su Le Nouvel Observateur e scritto da Simone De Beauvoir, delle 343 donne che, nel 1971, avevano dichiarato di aver abortito, chiedendo il riconoscimento legale del relativo diritto ed autodenunciandosi (“Un milione di donne abortisce ogni anno in Francia. Lo fanno in condizioni pericolose a causa della clandestinità a cui sono condannati, mentre questa operazione, effettuata sotto controllo medico, è molto semplice. C'è silenzio su questi milioni di donne. Dichiaro di essere uno di loro. Dichiaro di aver abortito. Così come chiediamo il libero accesso ai contraccettivi, chiediamo l'aborto gratuito ").
Nel gennaio dell'anno successivo, la donna era stata sottoposta a custodia cautelare e, qualche mese dopo, condannata dal tribunale parigino, ad un mese di reclusione ed al risarcimento dei danni morali al rappresentante della chiesa nella quale erano stati compiuti gli atti incriminati, perchè ritenuta colpevole del reato di exhibition sexuelle di cui agli articoli 222-232 del codice penale francese, che puniscono il fatto oggettivo dell'esibizione di nudità in pubblico, senza alcuna ragione giustificatrice. Decisione confermata anche nei gradi di giudizio successivi. In particolare, la Corte d'appello evidenziava che il secondo comma dell'art. 10 della Convenzione, prevede che l'esercizio della libertà di opinione e di espressione comporta dei doveri e delle responsabilità dirette, tra le altre cose, alla protezione della salute o della morale e alla protezione dei diritti altrui e, pertanto, con la condanna inflitta in primo grado, non era stata in alcun modo limitata la libertà di espressione dell'attivista ma, al contrario, era stata lei stessa ad aver arrecato un grave danno alla libertà di pensiero di altre persone e ad aver violato la libertà religiosa in generale.
L'attivista proponeva ricorso innanzi la Corte Edu eccependo la violazione dell'art. 10 della Convenzione in quanto il fine della sua dimostranza non era l'arrecare disturbo ai fedeli presenti in quel momento, bensì protestare nei confronti della dottrina della Chiesa cattolica che condanna l'aborto favorendo il radicamento di una latente ostilità nei confronti di un diritto inviolabile delle donne.
La Corte Edu ha accolto il ricorso, coerentemente alla linea seguita in altre decisioni in materia, sottolineando che la libertà di espressione è un principio cardine in una società volta alla difesa del pluralismo democratico, prescindendo dal contenuto dell'opinione manifestata. La condanna penale inflitta alla donna ha rappresentato un'ingerenza ingiustificata del potere pubblico nell'esercizio del suo diritto di libertà, non ricorrendo i motivi legittimi richiamati dal secondo comma dell'art. 10.
In particolare ha sottolineato che la nudità del seno in un luogo di culto, non può ricevere specifico ammonimento perchè parte integrante dell'intera performance, volutamente provocatoria e finalizzata a tenere accesa l'attenzione sui diritti delle donne ed in particolare sul diritto all'aborto. Comminare una pena detentiva per un reato di espressione del pensiero in ambito politico potrebbe essere compatibile con la libertà di espressione garantita dall’articolo 10 della Convenzione solo in circostanze eccezionali, come, ad esempio, nelle ipotesi di discorsi di incitamento ad odio e violenza. Nel caso de quo, invece, alla ricorrente non è attribuibile alcun comportamento offensivo perchè ha semplicemente voluto contribuire al dibattito pubblico sui diritti delle donne.
Sulla base di questa considerazione, i giudici francesi, a parere della Corte, hanno ignorato la finalità del gesto attribuendogli solo una connotazione sessuale commettendo, con la condanna della donna, una illegittima ingerenza nella libertà di espressione dell'attivista: “à examiner la question de la nudité de sa poitrine dans un lieu de culte, isolément de la performance globale dans laquelle elle s’inscrivait sans prendre en considération, dans la balance des intérêts en présence, le sens donné à son comportement par la requérante. En particulier, les juridictions internes ont refusé de tenir compte de la signification des inscriptions figurant sur le torse et le dos de la requérante, qui portaient un message féministe en référence au manifeste pro-avortement de 1971 dit manifeste des 343 salopes”.
La Cedu, dunque, ha ritenuto sussistente la violazione dell'art. 10 della Convenzione riconoscendo il risarcimento della somma di € 2000,00 in favore della donna, per danni morali e di € 7.800 per le spese sostenute per tutti i gradi di giudizio.

Avv. Francesca De Carlo

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