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Femminismo e cittadinanza

Femminismo e cittadinanza

Di Emma Baeri Parisi “Dividua - Femminismo e Cittadinanza” (ed. Il Poligrafo) conferma il carattere 'indisciplinato' dell'autrice

Domenica, 09/11/2014 -
Dopo “Isola mobile (nipoti, gatti, scritti)” (Giuseppe Maimone Editore), libro autoprodotto uscito nell’ottobre del 2012 e dato in dono a tante, che intreccia efficacemente narrazione storica, riflessione politica, parola poetica, lettere, foto di gatti e infine pezze di stoffa disposte a diventare linguaggio emozionato ed emozionante, Emma Baeri Parisi ha pubblicato nell’ottobre del 2013 “Dividua - Femminismo e Cittadinanza” (ed. Il Poligrafo) nella collana “soggetti rivelati – ritratti, storie, scritture di donne”. Un libro denso, ricco di riflessioni teoriche e proposte politiche scritte dal 1997 al 2013 con letture finali fatte da due giovani donne: Elena Caruso Raciti e Antonia Cosentino Leone.

Lo stile comunicativo di Emma, che ha affascinato tante di noi a partire dal suo ormai lontano “I Lumi e il cerchio” (Editori Riuniti, Roma 1992), ne rivela il carattere indisciplinato: un posizionamento eccentrico il suo rispetto innanzitutto alla disciplina storica, guadagnato negli anni settanta grazie alla pratica dell’autocoscienza. Quel cerchio di soggetti femminili consapevolmente incarnati, che smentivano con la fedeltà alla propria differente esperienza ed intelligenza anche le categorie fondanti la Storia ufficiale, dava inizio ad un nuovo sguardo, a pensieri e gesti inediti.



Le motivazioni di questa pubblicazione le spiega la stessa Emma nell’introduzione quando scrive ”Voglio qui raccontare un lembo di terra natale del pensiero femminista su un tema ambizioso, la cittadinanza, terra natale come pratica, come metodo, come lievito”. Perché su questo, lei aggiunge, molto è stato scritto e disperso, molto pensato e non scritto, molto parlato e non registrato. La responsabilità politica della memoria del femminismo e la necessità della iscrizione femminile nella cittadinanza si intrecciano nelle 294 pagine in cui interventi, appunti, lettere, poesie e alcuni saggi già presenti in riviste e libri, vanno a formare un mosaico colorato e complesso fatto di figure, luoghi, appartenenze. Le figure sono le donne del femminismo, i luoghi sono Catania e la sua Università dove ha insegnato Storia moderna e Palermo, Roma, Milano, Pontignano, Bergamo, solo per citarne alcuni. Tra le appartenenze ci sono il movimento studentesco antiautoritario della fine degli anni sessanta, il gruppo di autocoscienza, la Società Italiana delle Storiche, Le Voltapagina. I vari capitoli sono legati insieme da una acuta sensibilità e da una autentica passione politica che smuove nello stesso tempo sentimenti e ragione ponendoli al di fuori di rigide e improprie polarizzazioni.



La scelta di ragionare radicandosi nelle interconnessioni superando logiche contrappositive come nel caso di emancipazione/liberazione e uguaglianza/differenza, la porta a evitare il rischio di arrivare ad un pensiero perfetto a livello logico, ma inadatto a dare conto della complessa verità dell’esperienza umana. Pur nel riconoscimento pieno del valore della differenza e della necessità di una sua risignificazione, ribadisce di rimanere affezionata al concetto di uguaglianza, in controtendenza da sempre rispetto ad una parte del femminismo italiano. Con coraggio espone a volte la propria fragilità e insicurezza attraverso un linguaggio “materno” e divertenti contaminazioni dialettali; questo le consente di entrare con piede leggero anche nei grovigli irrisolti e nelle ambiguità della soggettività femminile contemporanea.



In uno dei primi capitoli del testo Emma ricorda quando nel 1997, nell’ambito di un corso triennale di formazione sulla ricerca per una didattica nella trasmissione della Storia, scrive un Preambolo alla Costituzione italiana, pubblicato nel 1998 anche su “Il foglio del paese delle donne”, per riprendere “quel filo del discorso spezzato dalla ghigliottina che nel 1793 cadde sulla testa di Olympe de Gouges” la quale aveva fatto precedere proprio da un Preambolo la sua “Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina”. Il Preambolo scritto da Emma -da lei riproposto anche l’anno scorso alla scuola politica dell’Udi- non intende modificare la nostra Carta Costituzionale, ma si pone come premessa per iscrivervi a pieno titolo il genere femminile su quattro punti essenziali: affermazione della sovranità delle donne sul proprio corpo; inviolabilità del corpo femminile; ridefinizione della parola lavoro come “lavoro di cura e cura del lavoro” a garanzia della felicità privata e pubblica delle donne e degli uomini; affermazione dell’uguaglianza come equità nell’accesso alle risorse e come equivalenza nell’iscrizione del diritto di cittadinanza.



Più avanti un intero capitolo, costruito sulla base di appunti per una relazione all’Istituto di Storia Contemporanea di Mantova del 2010 rielaborati e integrati due anni dopo durante un ricovero all’ospedale di Catania, ritorna sul tema del genere nella Costituzione. Il resoconto di una malattia seria -che non riesce per fortuna a toglierle la gioia di essere viva, di godere del cibo o dell’incanto per un pettirosso oltre le grate della finestra- introduce il testo “politico” e lo attraversa in più punti restituendoci l’intima umanità di Emma, il forte legame con la madre e l’infanzia, l’autoironia, la voglia di gioco e di magia, la sua capacità empatica nelle relazioni e nel rapporto con i tanti gatti della sua vita, il suo calore mediterraneo e vulcanico (il mare, l’Etna restano suoi elementi costitutivi), infine la grande capacità di connettere personale e politico. La sua è una attenta rilettura della vicenda politica legata alla cittadinanza femminile a partire da Olympe che “concettualizza un’idea di tutela priva di qualsiasi connotazione di mancanza, di inferiorità, di minorità e inventa un senso nuovo, universalmente valido infine, all’eguaglianza.” Riferendosi al lavoro di altre due storiche, Annarita Buttafuoco e Anna Rossi Doria, ci ricorda come il neofemminismo, nella legittima necessità di prendere le distanze dalle donne dell’emancipazione di fine ottocento-inizio novecento e dall’Udi, abbia trasformato la distinzione in una cancellazione e delegittimazione, mentre invece lei è convinta che “La singolare soggettività corale nata col femminismo sarebbe (….) impensabile prima della cosiddetta emancipazione femminile, se non individualmente e sporadicamente da parte di alcune”. Prosegue con alcuni passaggi nel pensiero di Carla Lonzi che ha prodotto secondo lei la prima autentica riflessione femminista sull’eguaglianza. Riporta i primi tre articoli della Costituzione formulati durante un seminario “Oltre la democrazia” del 1994 organizzato a Roma dal Centro culturale Virginia Woolf e conclude affermando che se negli anni settanta e ottanta le femministe hanno ripensato la differenza oggi è giunto il tempo che vecchie e nuove generazioni femministe ripensino l’eguaglianza. In “Paestum, o della gratitudine” ripropone l’intervento al Convegno di Paestum già apparso su Primum vivere.it nel 2012 in cui parla di precariato, di nesso sessualità-lavoro, di educazione sentimentale nelle scuole e si rammarica per il mancato riconoscimento del lavoro politico sul versante della cittadinanza fatto da realtà come l’Udi e l’Mld.



C’è tanto ancora e un’intera vita femminista che si snoda lungo i vari capitoli di questo libro: il percorso di una “dividua” nella sua ricca singolarità di soggetto che può dividersi a partire dal corpo fecondo e ricomporsi nella pratica di relazioni molteplici, sempre alla ricerca di senso anche di fronte alle sfide che in una realtà fortemente mutata pongono le giovani donne di oggi, come si può vedere leggendo i suoi due ultimi capitoli del libro dai titoli emblematici: “Post porno per vecchie signore” e “Contaminazioni”, entrambi del 2013. Contaminazione è parola chiave per una trasmissione dell’esperienza che voglia lasciare spazio all’interrogazione: le due giovani che chiudono con i loro testi questa pubblicazione, entrambe del gruppo “Le Voltapagina” nato a Catania nel 2011, leggono questi scritti a partire da una relazione di gratitudine fondata su un reciproco riconoscimento. Per questo risultano lecite tutte le domande che pongono e resta feconda l’ interlocuzione. Emma Baeri Parisi, che non a caso ha deciso di aggiungere al suo cognome quello della madre, ci mostra la costruzione di una trasmissione e di una genealogia al di fuori delle gerarchie, perché nell’incontro ognuna ha ricchezze da portare e condividere. Ritengo questa una grande lezione da tenere da noi tutte in memoria con cura.

Rosanna Marcodoppido

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