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Articolo 8 CEDU e obblighi in tema di violenza domestica.

Articolo 8 CEDU e obblighi in tema di violenza domestica.

Etichettata come "genitore non collaborativo" e denunciata per violazione dell'art. 650 c.p.,la madre che si oppone all'incontro dei figli con l'ex coniuge in ragione di ripetuti atti di violenza domestica subiti.

Giovedi, 20/04/2023 - La CEDU, nella vicenda oggetto della sentenza 25426/20 - nel caso I. M. e altri c. Italia – ha ravvisato una violazione dell'art. 8 ( “ 1. Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza. 2. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell'esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell'ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute e della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui”), da parte delle autorità interne italiane, per aver mancato di garantire e di proteggere il diritto al rispetto della vita privata e familiare di una donna e dei suoi figli. Nello specifico: si è consentito, per ben tre anni, che gli incontri dei minori con il padre, soggetto tossicodipendente e maltrattante, avvenissero senza tutte le cautele idonee a garantire la protezione richiesta. La vicenda sottoposta all'attenzione della Corte, fa emergere un contesto familiare fortemente compromesso, caratterizzato dalle violenze continue dell'uomo nei confronti della ricorrente, sfociato in un procedimento penale per maltrattamenti in famiglia e minacce. Nel corso dell'udienza, il P.M. aveva richiesto l'adozione di un provvedimento urgente di sospensione della potestà genitoriale a carico dell'uomo e l'adozione della modalità protetta per gli incontri – futuri – tra lo stesso e i figli. Pur avendo, il Tribunale, accolto la richiesta, i servizi sociali informavano circa la impossibilità di procedere in tal senso a causa della carenza delle risorse economiche e pertanto gli incontri venivano organizzati senza le prescritte modalità di garanzia. Già dai primi incontri, i servizi sociali, rilevavano che il padre aveva rivolto, a più riprese, osservazioni offensive e sprezzanti nei confronti della di loro madre. A distanza di qualche mese, il Tribunale disponeva la sospensione della potestà di entrambe i genitori evidenziando che la donna si era più volte rifiutata di condurre i figli agli incontri e che il padre era stato rinviato a giudizio per maltrattamenti e minacce ( nei confronti della donna!). Due anni dopo - siamo nel 2018 – i servizi sociali rilevavano che, in occasione di altro incontro con i figli, l'uomo era stato allontanato perchè violento sia nei riguardi dei bambini che verso il personale preposto a presenziare. Il Tribunale decideva per la sospensione degli incontri. Solo un anno dopo, a seguito di una relazione di aggiornamento sulla situazione della ricorrente ad opera della psicologa, il Tribunale disponeva il ripristino della potestà genitoriale della donna confermando la sospensione per l'uomo.
Decisione confermata in appello.
Nel caso di specie, la Corte ha ravvisato una violazione dell'art. 8 CEDU e ciò in quanto il diritto al rispetto della vita privata e familiare richiede, agli Stati aderenti, non solo obblighi negativi di astensione da interferenze illecite nella vita privata degli individui ma anche un ruolo attivo che si esplicita nell'adottare tutte quelle misure in grado di prevenire e di reprimere le condotte che vìolano detti principi. La Corte ha rilevato che i minori hanno incontrato il padre in luoghi non idonei a garantire la loro incolumità e senza il supporto di uno psicologo nonostante i servizi sociali avessero esplicitato e richiesto al Tribunale l'urgenza di intervenire in quanto tali incontri avevano provocato sui bambini un'alterazione dell'equilibrio psicologico ed emotivo. Per oltre quattro mesi non è stata offerta alcuna risposta e, a corredo dell'inerzia, si è aggiunta la sospensione della potestà genitoriale della madre, la quale ben consapevole che ai figli non fossero state offerte tutte le garanzie di protezione, si era opposta agli incontri. Per questo motivo è stata etichettata come “genitore ostile al ristabilimento del rapporto padre-figlio” e, dopo tre anni dalla sospensione della potestà, i giudici non hanno motivato sufficientemente le ragioni della scelta ma sono giunti ad una decisione sulla base di un presunto comportamento ostile nei confronti degli incontri ( non protetti!) e della co-genitorialità da parte del padre. Alla luce di ciò, la ricorrente aveva denunciato di aver subito una seconda vittimizzazione a causa della decisione, in quanto considerata una genitrice non all'altezza del ruolo, pur avendo agito solo per proteggere i figli. La Corte di Strasburgo ha sottolineato che nelle ipotesi di rapporto conflittuale tra genitori, le autorità statali devono attivarsi prontamente per individuare ed adottare tutti i provvedimenti necessari ad assicurare la prosecuzione del legame familiare. Nonostante il preminente interesse del minore a crescere in un ambiente sano ed equilibrato, rientri tra i diritti fondamentali annoverabili nelle garanzie di cui all'art. 8 CEDU, il suo diritto a mantenere un legame con la sua famiglia biologica anche in ipotesi di situazioni familiari precarie, deve essere sempre garantito.

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