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La tragedia del piccolo Giuseppe di Cardito, morto di botte a 7 anni

La tragedia del piccolo Giuseppe di Cardito, morto di botte a 7 anni

L'uccisione di Giuseppe massacrato a calci, pugni e bastonate e il ferimento della sorellina Noemi, il dolore e qualche riflessione

Lunedi, 04/02/2019 - 32 PPP in libertà Giuseppe Perdonaci ..
A Cardito, un paese vicino Napoli, Giuseppe (7 anni) è morto massacrato a calci, pugni e bastonate mentre giocava con la sorellina Noemi. E’ stato ucciso  Tony, convivente della mamma Valentina, un uomo di 24 anni ,in preda alla bestialità cieca. E’ morto prechè, giocando con Noemi sul letto appena comperato, disturbava il sonno di Tony. E’ morto perché sua madre è rimasta impietrita, travolta dalla violenza che l’ha circondata, dall’impotenza di soccorrerlo, dalla paura. Non è riuscita a sottrarre Giuseppe da quel baratro di orrore né a chiedere aiuto. Giuseppe è morto, racconta la cronaca, dopo una notte di agonia, rimanendo accanto a Noemi, ferita non mortalmente, e all’altra sorellina di 4 anni che la mamma era riuscita a nascondere sotto una copertina "prima di perdere conoscenza" ha raccontato. La morte è arrivata per Giuseppe all’alba di domenica.
La storia di Giuseppe e della sua breve vita per qualche giorno ha riempito le pagine della cronaca di qualche giornalw, vita di cui non sappiamo nulla, stroncata dal male che ha preso corpo nella violenza cieca e da “un irreparabile sfregio dell’umanità” ,come ha detto l’Arcivescovo di Pompei Tommaso Caputo al funerale.
Un errore dell’informazione che si ripete, su fatti che vanno letti oltre la cronaca e che richiederebbero attenzione, riflessioni, proposte quale riconoscimento che la società, le Istituzioni, l’umanità deve a Giuseppe, a Noemi, alla piccola di 4 anni e a tanti altri bambini vittime degli adulti.
Bambini che rappresentano vicende anche di altre famiglie dove la violenza uccide innocenti. Notizie ed eventi e che meriterebbero non la cronaca nera ma le prime pagine pagine per comprendere disavventure di una società in enorme sofferenza di civiltà. ” Non è roba che può venire dagli umani !“ ha detto l’Arcivescovo di Pompei.
Come pensare a Noemi e alle sue sorelline orfane di Giuseppe, che non possiamo immaginare come riusciranno a “elaborare” la perdita del fratellino, la violenza e l’orrore che hanno vissuto di cui quel terribile fine settimana è stato solo il tragico epilogo di una situazione che probabilmente durava da tempo. Così si spiegano le parole di Noemi che, dolorante e traumatizzata,  ha detto all’infermiere che l’ha portata in ospedale:”finalmente me ne vado da quella casa!”. Ma qual è il futuro di Noemi, apolide rispetto all’appartenenza una famiglia?
Alla madre Valentina e al padre naturale Felice (di cui non sappiamo nulla), ovviamente direi, è stata sospesa la potestà genitoriale e non sappiamo a chi Noemi potrà appoggiarsi nel suo bisogno di cure morali, fisiche e d’amore per disegnare una vita degna nonostante quanto successo.
I funerali svoltisi a Pompei, come richiesto Felice che vive lì, hanno rappresentato un momento di dolore senza risposta e Valentina, la madre, è stata protetta dalle forze dell’ordine per ripararla da ogni insulto e giudizio già definitivo della folla presente. Lei assente, in un altro mondo ancora impietrita e attonita,  chiusa nel suo dolore e chissà in quali pensieri e condanne che lei senza bisogno di altri ha dentro e di cui non sappiamo. Lei che sa, senza che qualcuno senza pietà glielo ricordi, di non essere stata capace di salvare Giuseppe rendendosi complice dell’orrore che lo ha ucciso. Lei lo sa senza bisogno che la terribile mancanza di pietà che sempre di più si fa oggi protagonista, in diverse occasioni, si esprima con cattiveria. E oggi il bisogno di pietà o ancor più della latina pietas potrà permettere di affrontare il suo immenso dolore.
L’esigenza che sento oggi - e sicuramente insieme a tanta altra umanità - è capire, interrogarsi come sia possibile che sia reale una tragedia come quella dei figli di Valentina e Felice che segnalano il degrado, la miseria umana e culturale, accanto, ma non solo,  a quella economica e non sempre per questa.
Interrogarsi per trovare le risposte di quanto si dovrebbe e potrebbe fare per combattere l’orrore che riguarda troppe famiglie e troppi innocenti che,  se non muoiono, hanno comunque un futuro incerto e difficilissimo a cui pensare.
La cieca violenza che cresce e che viene segnalata dalla cronaca, e che pagano i più deboli, richiede che queste notizie siano considerate termometri di un malessere del paese che è profondamente “culturale” nella ricchezza a cui tale termine rimanda, ricordando per la seconda volta in queste righe le parole dell’Arcivescovo ossia che la morte di Giuseppe è irreparabile sfregio all’umanità. Ed è quella parola irreparabile che merita attenzione pensando alle conseguenze su Noemi e al suo futuro .. e a quello di Valentina,  una madre che non riusciamo a immaginare come riuscirà a farsi una ragione di quanto successo e a trovare, da sola dentro di sè la strada per attivare azioni e parole per rispondere all’orrore trasformandolo in energia attiva e positiva.
Qualunque futuro di queste persone - di Valentina in primis - del padre Felice e persino dell’omicida devono partire dal tentativo di rapportarsi interrogando e capendo per rispondere a eventi orribilmente violenti sempre più frequenti.
Il dolore per Giuseppe lo accostiamo nella sua morte ma ancor più lo percepiamo nell’impossibilità di accettare, immaginando le sue ultime ore di vita, quale sofferenza, solitudine, paura, abbandono, disperazione, dolori fisici e dentro di lui il piccolo abbia potuto provare in un sabato e domenica in cui solitamente i bimbi pensano che in assenza di scuola si possa, appunto, con allegria giocare ridere gioire.
Tutto questo ci impone di pensare, sperando che Valentina oramai senza più figli, trovi una strada, pur convivendo con un passato troppo tragico, per immaginare affrontabile la sua via crucis, partendo dal riflettere come abbia potuto scambiare per amore quello di quell’uomo che in nome dell’odio le ha ucciso un figlio e le ha - almeno per ora - tolto le altre due bambine.
Ancora è l’appello alla pietà che,  sgombra dai giudizi e pur non negando le incancellabili conseguenze e pene, a cui possiamo appellarci riflettendo nelle famiglie, nella scuola, fra la gente, nelle istituzioni per trovare azioni e risposte, a cui la società può e deve dedicare la propria progettualità.
I bambini sono i più deboli, avrebbero diritto di essere difesi e di diventare grandi; per non dire quanto sia inaccettabile che muoiano per la leggerezza degli adulti e in un crescendo di una folle abitudine al male che ci fa diventare indifferenti e impedisce di cogliere i momenti in cui si può precipitare o far precipitare nel baratro come è avvenuto per Giuseppe per mano di Tony, che mi chiedo come potrà mai darsi pace dell’orrore con cui ha ucciso con cattiveria e inusuale violenza un bimbo di 7 anni che voleva solo giocare.
Proprio a Pompei, dove Giuseppe è sepolto, abbiamo imparato che neppure i secoli possono cancellare l’orrore della storia e della memoria e come sotto la cenere del vulcano torna, dopo secoli, la storia di un popolo; così sicuramente nella memoria di chi “ha vissuto” con Giuseppe e di chi lo ha conosciuto il dolore non sparirà mai e si potrà, c’è da sperare,  solo trasformarsi in una spinta energica e motivata al combattere cose simili - se ci impegneremo in tante e tanti - oltre ogni fuga nell’indifferenza.
Paola Ortensi 4 febbraio 2019

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