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Proteggiamo i nostri figli, se disabili proteggiamoli di più

Proteggiamo i nostri figli, se disabili proteggiamoli di più

Essere madri e caregiver familiari ai tempi del Coronavirus, cronaca di un isolamento

Domenica, 22/03/2020 - Mi è stato chiesto cosa significhi essere una mamma caregiver familiare di due giovani donne con autismo al tempo del Coronavirus. È una follia!
Follia è lo stare tutto il giorno chiuse in case per paura d’esser contagiate. Neanche l’ora d’aria. Vallo a spiegare a due picchiatelle! Libero accesso ai parchi comunali e alle spiagge per le persone con disabilità, dico io, tanto a noi non si avvicina nessuno, siamo abituate alle uscite in solitaria. Invece, nessuno parla di noi, un silenzio e un abbandono che rende la nostra una folle responsabilità. E dire che il carico era già così insostenibile. Quante volte mi son sentita chiedere: “Ma come fai?” Voglio loro un grande bene, ecco come faccio. Chi me lo avrebbe detto?! Chi lo avrebbe detto al mondo intero che nel 2020 un virus avrebbe attentato alla salute di tutti, messo in ginocchio le nostre economie e limitato le nostre libertà individuali? E folle è questo isolamento imposto, ma anche autoimposto, tutto il santo giorno, e la notte, perché noi caregiver non sempre si dorme, e chissà quanto durerà. Loro ed io, io e loro, a farci da specchio: Chiara a me e io a lei, io ad Arianna e lei a me, Arianna a Chiara e lei ad Arianna, il loro autismo a me e io al loro autismo, ma non basta, il Coronavirus fa da specchio a noi, alla fragilità della nostra situazione, alle mie figlie, alla fragilità della loro condizione, e a me, alla mia grande fragilità. Come fare da specchio a lui? Isolandoci! Crepa!, bastardo in agguato nel mio simile. È una follia! A volte, scendo a fare un giro all’inferno, come martedì sera: una crisi di nervi di Arianna, alle 19:00, ci ha precipitato nel fondo, siamo riemerse alla una di notte. Per lei è difficilissimo tutto questo, il rinunciare ai suoi programmi, ai suoi piani. Chissà cosa le passa per la testa? Chissà cosa avranno pensato i nostri vicini di quel mio tentare di parlar piano, “Abbassa la voce, Arianna”, e del trambusto. Su e giù per scale: camera soggiorno, soggiorno camera. Apre il frigorifero, tolgo l’allarme, esco fuori, tolgo il gancio nero del quadro, non le piace, non si toglie, riscendo in cantina a prendere gli attrezzi, svito il gancio con la pinza e avvito la vite dorata col cacciavite a stella, il cacciavite nero, quello arancione non le piace, capisco che non le piaceva il gancio perché le piace la vite, quella sì che è bella, sarà, a me pareva più indicato il gancio, vuole i cornflakes, pochi però, li scaldo nel microonde, lavo la ciotolina, la mette a posto, nel posto stabilito, in modo preciso, sbatte l’anta del pensile, un giorno o l’altro si romperà, le cucine costano, cambia gli asciugamani, il colore non va bene, vuole quelli bianchi, quelli sì che sono belli, vuole la maionese con la confezione blu, io ce l’ho, ma l’ho nascosta e non gliela do, ha già mangiato, s’ingrassa, non voglio che ingrassi di più, noi donne, superato un certo peso, andiamo in amenorrea e poi viene meno la salute, ho paura, non voglio perdere il controllo, e adesso non ci si può neanche muovere liberamente, consumare calorie, ma le prometto che l’indomani comperiamo la maionese e devo ripeterglielo all’infinito, non si fida, eppure sono una che fa quello che dice, quando dorme, se dormirà, tirerò fuori la maionese dal nascondiglio, toglie i bastoncini di pesce dal congelatore, li metto nella teglia nel piano frigo, domani bastoncini&maionese, quella blu, sembra essere importante che la confezione sia blu, accende il computer, mette il video dell’attrazione di un parco a tema, Indiana Jones e il Tempio Maledetto, accidenti a quando l’ho portata a Disneyland Paris, è pure un posto caro arrabbiato, come arrabbiata è Arianna, Arianna che sta cercando di riprogrammare le sue giornate ora deprogrammate dallo stramaledetto Coronavirus. Giù e su, su e giù per le scale. Alle 11:30 saliamo in soffitta, fortunatamente, non scopre il nascondiglio del cibo non deperibile, cerco di calmare la sua agitazione insostenibile, anche perdendo la pazienza e con essa le forze e i buoni propositi, menomale che il mio cuore regge, penso che forse fare le scale fa bene al cuore, con tutto questo stress, il solito bicchiere mezzo pieno, mi sento sola, eppure non soffro di solitudine. Siamo tutti soli nelle circostanze estreme della vita, estreme come quelle di questa pandemia senza cura e in certi casi mortale. Estreme come quelle della disabilità mentale dei nostri figli, delle mie figlie. Ho capito perché io mi senta improvvisamente più sola, perché adesso, siamo anche isolate. L'isolamento pesa. Nonostante il rifiuto del mondo, ho sempre accuratamente evitato l'isolamento e curato la mia solitudine. Negli ultimi trentaquattro anni ho visto la gente sparire: si viene abbandonati, come per una selezione naturale e, a volersi attenere ai numeri, pare che anche il Coronavirus ragioni così: elimina i più deboli. Bastardo: l’invisibile figlio del male dalla forma d’un fiore, i cui petali sono ventose rosse, il fiore del male che ci sta strappando agli affetti più cari dopo averci gettato in una solitudine di disperazione! Come non proteggermi, come non proteggere Chiara e Arianna? I telegiornali e le conferenze stampa della Protezione Civile, che ogni giorno tutti aspettiamo davanti al televisore alle 18:00, sono bollettini di guerra, e in tempo di guerra si salvi chi può! Le mie figlie ed io ci salveremo dal contagio? Lo spero. Se il Coronavirus ci contagiasse, non so come potrei gestire la mia situazione familiare. Tutto questo è una follia: se ci separassero impazzirei, almeno credo, perché nelle situazioni ci si deve trovare per conoscersi, e anche questo io lo so bene. E anche quest’ultima è una folle paura, quella di conoscermi in una situazione di guerra contro un virus, che ne so, magari in un ospedale da campo, dicono che non ci sono abbastanza respiratori, che potrebbero esser messi nelle condizioni di scegliere chi rianimare, o forse già lo sono, e no, io non voglio conoscere la me che affronta pure questo. Ho visto abbastanza. Non voglio rischiare nulla. C’è sempre tempo per morire. Voglio aspettare ancora per conoscere quella me. Ce la farò? Mica lo so! E subito, per riuscire a farcela, perché una come me deve farcela, io comincio a immaginarmi in una vita le cui restrizioni diventino più stringenti di quanto lo siano state fino ad oggi. Mia madre mi chiama Mandrake. Non so chi sia Mandrake, l’ho sentito nominare però. Dice: “Ma chi sei Mandrake?” Deve essere uno fortissimo, uno con i superpoteri. Immagino di essere Mandrake, quella fortissima con i superpoteri. Arianna adesso sembra cominciare a raccapezzarsi in questa nuova situazione, abbiamo una cineteca di film di animazione, abbiamo colori, abbiamo musica, abbiamo libri, abbiamo un giardinetto, abbiamo una veranda, abbiamo una piccola terrazza panoramica, il sole sorge nel soggiorno e tramonta in cucina, Arianna si sta riorganizzando le giornate ora disorganizzate e in certo senso le organizza anche a noi. A me sta bene e anche a Chiara, basta che stia tranquilla, a me basta che non picchi sua sorella: vorrebbe picchiare me, ma non ha mai superato IL LIMITE, e allora mena Chiara, forse sa che così mi farà altrettanto male, e me lo fa. I figli se la prendono sempre con le madri, ma sono anche gelosi di loro. Chiara sopporta, si lascia menare, io vorrei che reagisse, le ho chiesto perché non lo faccia, dice che quando Arianna era piccola lei la picchiava di nascosto. Ci sarebbe da impazzire: è una follia. Il pomeriggio facciamo un po’ di ginnastica e alla fine recitiamo l’OM. Alle ragazze piace molto intonare l’OM, e anche a me: OM, la sacra sillaba. In realtà, a una come me questa sacrosanta distanza sociale imposta a tutti non impressiona più di tanto: con le mie figlie, da sempre cerchiamo luoghi poco affollati e se vediamo qualcuno deviamo. Strada facendo ci siamo distanziate, prendendo sempre più le distanze da un mondo dal quale siamo stufe d’esser fissate per poi essere ignorate, noi camminiamo a dieci metri di distanza, noi viviamo la distanza e le sue conseguenze, ci hanno abituato così, ci hanno scaricato, ma noi tre abbiamo bisogno di aria, di spazi aperti per muoverci il più liberamente e agevolmente possibile in un mondo in cui la collettività si è organizzata per vivere e si comporta con scarsa considerazione delle differenze individuali, figuriamoci della disabilità di cui ancora pare meravigliarsi per poi disinteressarsi, e siamo ancora al tempo in cui anche le eccezioni confermano la regola. Dei disabili importa poco o niente ai più: i socialmente inutili! Nessuna polemica, le cose stanno così: integrazione, accessibilità, figuriamoci l’inclusione, in barba alla convenzione ONU, sono parole più che realtà, e sempre le eccezioni confermano la regola. Martedì scorso, già prima che i Centri Diurni venissero chiusi con un decreto, sebbene con non poca resistenza, per la paura di sapere già a cosa stavo andando incontro cosi facendo, decisi, come molti tra noi genitori caregiver ancora in grado di farlo, di stare a casa con le mie ragazze: di isolarci dal mondo. Impossibile nei Centri Diurni rispettare la distanza. Ce la farò? Mica lo so! L’ultima follia con cui rispondo, quindi, alla domanda su cosa significhi in concreto essere caregiver familiare di due ai tempi del Coronavirus di persone con disabilità gravissima è coraggio: quel genere di follia del cuore che fa sopportare il peso di una tale responsabilità, la paura della sofferenza che verrà nel portare avanti da sola questa situazione in isolamento forzato, ma anche autoimposto: il solito coraggio. Non a caso ci chiamano madri coraggio e coniamo oggi il termine caregiver coraggio. Siamo in tante e in tanti in queste condizioni, lamentarmi sarebbe banale. Ce la farò? Mica lo so! È un salto nel buio, come tutte le folli ragioni del cuore. Ma no, no e no! Io non voglio che Chiara e Arianna prendano il Coronavirus, e non posso prenderlo io. Chi si occuperebbe di loro ai tempi del Coronavirus? Mia figlia maggiore Chiara, la quale in passato è stata anche lei malissimo, ma adesso, dopo tanta riabilitazione, è più saggia di tanti tra noi, oddio quanto è cara, dice di sua sorella: “Arianna leva la pelle!” È simpatica Chiara. E, poi, sollecitata a esprimere cosa le passi per la testa in questo momento di isolamento, anche in relazione al Coronavirus, scrive velocemente tutto d’un fiato, il punto solo alla fine e rigorosamente in stampatello, con evidente riferimento al suo bisogno compulsivo di mangiare:

"SUL VIRUS E DI QUELLO CHE HO IN TESTA IO SUCCEDE UN MACELLO POTENTE E BISOGNA ESSERE BUONI E NON MANGIARE TROPPO PER L'IMPULSO E PER STARE BENE ANCHE L'ANNO PROSSIMO IO DEVO ASPETTARE I NEGOZI SONO CHIUSI PERCHÉ C'È LA MALATTIA E BISOGNA STARE A CASA TRANQUILLI OGGI MIA MADRE MI HA PREPARATO LA COLAZIONE CON UN SORRISO TUTTA CONTENTA IO STATA FORTUNATA NON SI DEVE SCONVOLGERE LA VITA DEGLI ALTRI DI QUELLO CHE MI PASSA PER LA TESTA IO DEVO CAPIRE CHE NON DEVO MANGIARE TROPPO PER IL MIO BENE NOI ABBIAMO LA MASCHERINA IL MIO NERVOSISMO HA IN UN IMPATTO SCORRETTO E DEVO PENSARE A ME STESSA ALLA MIA PERSONA E QUANDO MI SONO ALZATA CON UN ATTEGGIAMENTO SCORRETTO NOI ABBIAMO PASSATO UNA BRUTTA GIORNATA SCONVOLGERE LA GIORNATA AGLI ALTRI NOI USCIAMO PER ANDARE A FARE LA SPESA MA TORNIAMO SUBITO A CASA CI VEDIAMO IL FILM NEL POMERIGGIO PER PASSARE LA VITA TRANQUILLA DI QUELLO CHE MI PASSA PER LA TESTA NON DEVO PENSARE A MANGIARE IO DEVO PENSARE A CURARMI I DENTI DAL DENTISTA E NON DEVO ALZARE LE MANI A NESSUNO PERCHÉ È BRUTTO E SI DEVONO ABBRACCIARE LE PERSONE CON UN BACIO E ANCHE PER DISCUTERE DEVO AVERE UN PO' DI PIETÀ."

Deve essere molto difficile per Chiara non impiegare il proprio tempo del Coronavirus mangiando. Sono molto fiera di lei, è profonda mia figlia. E niente, io ho fatto la spesa per una settimana. In casa, ho provviste per tre. Per me, con le ragazze, potrebbe essere problematico uscire per gli approvvigionamenti alimentari: richiedono tempo a causa delle lunghe file, nei punti vendita si entra due persone alla volta. Rifarò la spesa lunedì prossimo: una volta a settimana. Le ragazze resteranno in macchina nel piazzale del supermercato. Fuori dalla macchina gli assistenti domiciliari a controllarle, rigorosamente a distanza e dall'esterno. Il Coronavirus mi ha reso ossessiva, lo so, anche questo intendo quando parlo di follia, e dire che non sono mai stata apprensiva, che non sono ipocondriaca, solo attentissima all’igiene: pulisco parecchio io. Dicono gli assistenti domiciliari che lunedì scorso le ragazze, aspettandomi in macchina, non hanno fatto un fiato, che quando hanno provato a parlare con loro li hanno salutati con la manina, sanno essere due principesse le mie piccole donne, per certi versi sono cresciute, quindi hanno chiuso il finestrino, che era leggermente aperto, e pure la sicura. Mi hanno aspettato dalle 15:50 alle 17:15 (fila e spesa), compostamente. Premio di fine attesa: gelatino e coca zero. Quando uno è bravo è bravo. VOGLIO CHE NESSUNO SI AVVICINI ALLE MIE FIGLIE, PER NESSUN MOTIVO. Tengo la gente lontana con il forcone, per il bene comune, per il bene di Chiara e Arianna di più. Ho rinunciato alla assistenza domiciliare per il resto della settimana: non faccio entrare nessuno in casa. Mi stancherò, lo so. Ce la farò? Mica lo so. Dell’aiuto dell’assistenza domiciliare (piantoni a distanza come lunedì scorso) mi avvarrò solo per le urgenze. Chiara, dopo avere ascoltato una serie di notiziari, ha dedotto: “Adesso bisogna che ce ne stiamo a casa, altrimenti succede un macello.” Arianna, vedendo le immagini in televisione dei personaggi da 2001 Odissea nello Spazio, le città deserte, la gente intubata distesa nei letti d'ospedale (ospedali che lei ahimè ben conosce), ha gridato, perché Arianna molto spesso grida: “A casa! Bua no!” Portando la mano alla fronte. Arianna compirà 25 anni il 30 di questo mese: La bua no! Se si ammalasse e avesse bisogno di un ricovero e nel peggiore dei casi della rianimazione … non ci voglio neanche pensare: è una bambina piccola Arianna, le persone con autismo sono tutti bambini, anche se sotto certi punti di vista crescono. Ma la nostra è una delle tante storie. Ce ne sono di situazioni drammatiche e di sofferenze, di tragedie che si consumano dietro gli usci chiusi delle case in questi giorni di guerra contro un nemico invisibile ai cui attacchi ci si può sottrarre solo stando distanti gli uni dagli altri. Cosa è d'altro canto, come per tutte le faccende umane, la disabilità se non tante storie da raccontare? Problemi di ogni genere: domestici, psicologici, psichiatrici, di salute, affettivi, familiari, finanziari, esistenziali. Ciò che ci accomuna tutti è che si viene lasciati indietro, abbandonati: i socialmente inutili, noi con i nostri figli. E adesso c’è il nemico invisibile, quello che decima i più fragili e si nasconde dentro di noi e dicono che, forse, non potranno salvare tutti, nonostante il personale sanitario si stia facendo in quattro. Allora, stiamocene a casa, ostacoliamo il Coronavirus.
Care e cari tutti, proteggiamo i nostri figli, se disabili proteggiamoli di più!

Marina Morelli
Roma, sabato 21 marzo 2020 ore 18:35, mentre Chiara ascolta i Quenn e Arianna disegna.

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