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Vivere con l'HIV nel sud del mondo. La storia di Clara Banya e di come si è salvata

Vivere con l'HIV nel sud del mondo. La storia di Clara Banya e di come si è salvata

La donna, attivista del Malawi, ha scoperto nel 2004 di aver contratto il virus e si è potuta curare grazie ai programmi del Fondo Globale contro AIDS, tubercolosi e malaria.

Martedi, 12/07/2016 -

Clara Banya viene dal Malawi, un piccolo stato africano di 16 milioni di abitanti. Il 10,3% di loro è affetto da HIV, uno dei livelli di diffusione della malattia più alti di tutto il continente. Sono proprio le morti per AIDS che determinano un'aspettativa di vita di 54 anni e otto mesi come media nazionale. Tradotto per noi significa che in Malawi si muore quando normalmente in Italia si hanno davanti ancora venticinque, trent'anni di vita. 



Clara di anni ne ha 37 e, nel 2004 ha scoperto di aver contratto il virus. "Lavoravo in una clinica per pazienti sieropositivi e malati di AIDS. Ho pensato di fare anche io il test e purtroppo ha confermato le paure che avevo ma che speravo fossero infondate. Ero scioccata e ci ho messo del tempo ad accettarlo. Ho aspettato tre mesi prima di parlarne con mio marito. Temevo molto in una sua reazione negativa perchè in Malawi dieci anni fa lo stigma nei confronti delle persone sieropositive, e in particolare delle donne, era ancora molto alto. Invece con mio grande sollievo lui mi ha detto “D’accordo, cosa facciamo adesso?”.



Clara è arrivata in Italia pochi giorni dopo la conferenza stampa di rifinanziamento del fondo globale per l’AIDS, la tubercolosi e la malaria che dal 2002, anno della sua istituzione, ha salvato 17 milioni di vite, che al termine dell’anno in corso saranno diventate ben 22 milioni. La sua storia è la testimonianza concreta che senza le cure fornite dal fondo globale non sarebbero bastate le premure del marito e la sua straordinaria forza interiore a salvarla. 



“Quando mi sono ammalata io, lo stato del Malawi seguiva delle linee guida restrittive per ottenere l’accesso alle cure, e io non ero considerata idonea a riceverle perché non avevo ancora sviluppato la tubercolosi, né la diarrea, né altre infezioni. Nonostante questo apparente stato di buona salute generale, io sentivo di non stare bene, e chiedevo di essere curata. Per farmi accettare ho dovuto fare un esame, in un centro a 400 km da dove vivevo, che attestava che le mie difese immunitarie erano crollate e avevo diritto alle cure. Grazie al fondo globale ho potuto iniziare a prendere le medicine che da sola non avrei potuto pagare". 



Oltre a fornire le cure, il fondo globale si impegna nel miglioramento della consapevolezza e della partecipazione delle popolazioni negli Stati in cui interviene, con programmi dedicati anche alle donne e alla salute materno-infantile, operando con una logica di gender mainstreaming, ovvero applicando la prospettiva di genere in tutti gli interventi programmati, favorendo la scolarizzazione delle donne e la partecipazione della popolazione femminile nei processi decisionali. “Non è una questione solo di prendere le pasticche per curarsi – continua Clara - Nulla accade senza il nostro coinvolgimento in prima persona. La partecipazione nei processi di cura e di conoscenza della malattia, attraverso le iniziative del fondo globale, ci ha permesso come società civile di fare pressione sul governo perché garantisca la trasparenza e il monitoraggio dei risultati delle cure. In Malawi fattori socio-culturali ci pongono, come donne, ancora a un livello ancora molto basso nella società. E rispetto all’hiv, abbiamo tre volte di più la possibilità di contrarre il virus." 



Come accade in molti altri paesi anche in Malawi ci sono politiche e leggi che sulla carta garantiscono la gender equality, ma nella pratica la strada da fare è ancora molta. "Abbiamo fatto dei passi avanti, anche grazie alla ex Presidente Joyce Banda e alle donne ministre che hanno fatto un enorme lavoro. Ci vorrranno ancora molto tempo e molta pazienza per raggiungere una piena gender equality, ma ce la faremo. La cosa più importante è che le donne accedano all’educazione, perchè ancora troppe ragazze non studiano." L'educazione come chiave dello sviluppo umano e come protezione da malattie è ancora una volta la strada da percorrere insieme alla necessità di garantire i finanziamenti al fondo globale per il prossimo triennio. 


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