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Ursula Hirschmann, convegno dell'8 gennaio 2021. Intervento di Mita Marra

Ursula Hirschmann, convegno dell'8 gennaio 2021. Intervento di Mita Marra

Bando alla timidezza! Ursula Hirschmann e la politica per l’Europa paritaria. L'intervento di Mita Marra al convegno dell'8 gennaio 2021

Domenica, 10/01/2021 - Bando alla timidezza! Ursula Hirschmann e la politica per l’Europa paritaria
Mita Marra, Università di Napoli “Federico II”
Intervento al Convegno organizzato da Noi Rete Donne e MinervaLab l'8 gennaio 2021
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video versione integrale del convegno
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video integrale su facebook
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Mi accosto alla vicenda di Ursula Hirschmann con un rispetto quasi reverenziale; il periodo vissuto, la sua storia personale, i suoi legami familiari hanno generato in me da quando ero poco più che ventenne un misto di deferenza e soggezione. Ho sempre considerato le vicissitudini di Ursula e Albert Hirschman, Eugenio Colorni e Altiero Spinelli come l’epitome della grande tragedia del Novecento. Tuttora, viviamo gli strascichi laceranti di quella tragedia in un contesto politico in cui nazionalismo e spinte autoritarie scuotono le democrazie occidentali. Ma la loro sofferenza è anche testimonianza di riscatto, di faticosa costruzione intellettuale e politica cui dobbiamo le conquiste scientifiche e democratiche odierne.
La figura di Ursula è stata sullo sfondo della mia formazione sin da quando, a partire dagli scritti di Albert Hirschman e Eugenio Colorni, studiavo politica economica e economia dello sviluppo con Luca Meldolesi e Liliana Bàculo all’Università di Napoli. Leggevo allora quei testi avidamente ove, in seguito, avrei rinvenuto il significato scientifico e politico del lavoro di ricerca e di insegnamento che svolgo ormai da diciassette anni. Eppure all’epoca avvertivo un vuoto che non riuscivo a decodificare. Ho capito cosa fosse quel vuoto e come affrontarlo dopo i trent’anni — con un figlio e una separazione dolorosa alle spalle e con la riflessione e l’esperienza professionale in
ambito accademico internazionale. Era il vuoto che percepivo quando, pur scavando nelle letture a me più care, non riuscivo a rinvenire una sensibilità, un punto di vista o un’esperienza che cogliessero fino in fondo la mia condizione di studiosa alla ‘ricerca’ di un orientamento politicoculturale in un mondo male-dominated.
È allora che ho cominciato a chiedermi quale fosse l’esperienza di Ursula nel legame affettivo con il filosofo Colorni e il politico Spinelli e quale fosse il rapporto che la univa al fratello Hirschman — eminente economista e scienziato sociale del Novecento. L’occasione fu la mia visita ad Albert e alla moglie Sarah Hirschman a Princeton nella primavera del 1998. Nonostante avessi già letto alcune lettere a Eugenio, fu nell’incontro con Albert che vidi, per la prima volta, sulla sua scrivania, il libro di Ursula “Noi senzapatria”; un titolo che ai miei occhi alludeva ad una condizione esistenziale di dignitosa sofferenza. Albert Hirschman me lo mostrò discretamente, interrogativo e bonariamente inquisitorio, quasi volesse verificare se mi fossero familiari i racconti della sorella. Ne rimasi ‘intimidita’: conoscevo la frequentazione di Albert con Eugenio Colorni e il suo impegno antifascista clandestino con l’amico Varian Fry, l’emigrazione verso gli Stati Uniti, ma non avevo approfondito i suoi rapporti con Ursula e non ebbi il coraggio di chiedere ulteriori ragguagli né l’ardire di manifestare la mia curiosità. Mi procurai il libro dopo il nostro incontro, ma in quella fase della mia vita da expatriate — nell’allora dorato mondo dei giovani italiani all’estero in cui la parità uomo-donna era fin troppo scontata — non volevo e non potevo comprendere il dramma dello sradicamento vissuto da Ursula, donna, figlia, madre, sorella e moglie prima e dopo la seconda guerra mondiale. Lo archiviai — sintomatico del fatto che talvolta rimuoviamo o rifiutiamo certi argomenti per scansare possibili fonti di dolore.
Più recentemente, Meldolesi (2019) e Aniello (2019) rievocano Ursula ipotizzando il suo ruolo di sparring partner, allieva, o ‘sollecitatrice’ di Colorni tra il 1936 e il 1942, partendo dall’ “entusiasmo dell’accordo in tutti gli altri campi” che attutiva inizialmente le insoddisfazioni di
cui la stessa Ursula ci parla (Hirschmann, 1993), mentre la ricostruzione storica di Boccanfuso (2020) enfatizza l’impegno politico, al fianco di Altiero Spinelli, ma anche nell’attività autonoma che ella ha intrapreso nell’ambito dell’iniziativa Les femmes pour l’Europe.
Oggi, rileggo il suo libro — intimo, sincero, senza sconti né per sé né per i suoi familiari, incluso Albert e Eugenio — e apprezzo l’unicità della sua storia di donna e l’importanza dell’azione politica che ella ha svolto; un esempio a proseguire e perseguire la causa delle Madri dell’Europa.
Tant’è che mi ha colpito il passaggio illuminante in cui mi sono imbattuta nell’articolo del 1975 (“L’Europa può cambiare?”), in cui Ursula affronta il tema dell’emancipazione femminile e del contributo delle donne alla costruzione europea, affermando:
[…] Esiste l’illusione del «prima» e del «dopo». L’idea del «prima occupiamoci soltanto della nostra liberazione individuale», «formiamo prima delle coscienze» sta all’inizio di ogni processo di liberazione. (I primi gruppi operai organizzati hanno pensato di lottare solo per il miglioramento delle loro condizioni di vita e i negri, all’inizio della loro presa di coscienza hanno pensato soltanto ai loro diritti civili). I primi hanno lasciato la gestione del potere in mano alla borghesia, i secondi ai bianchi. Si tratta di forme di timidezza ancora fortemente radicate in tutte noi. Prima di deciderci ad agire politicamente vorremmo imparare sempre e sempre di più, comprendere sempre meglio, avere a disposizione tempo supplementare per accumulare conoscenze e raggiungere una maggiore maturità… E nel frattempo diventiamo madri e nonne!
Mi colpisce lo sprone all’azione per l’empowerment femminile — per usare un’espressione inglese. Ursula mi suggerisce un’idea processualista: il ‘fare’ è un processo emancipativo che non scaturisce dalla conoscenza della condizione femminile in astratto, ma dal confronto con la realtà per vincere le resistenze del mondo fuori e dentro di noi.
L’attenzione al processo riecheggia evidentemente le conversazioni che Ursula ha intrattenuto con Albert e Eugenio. L’idea della sequenza e della sequenza invertita — nella Strategia dello sviluppo economico di Albert Hirschman — richiama l’analisi su «come
una cosa conduce ad un’altra e dura nel tempo». Anche l’ironica formulazione hirschmaniana della Mano che nasconde induce ad agire, rimboccandosi le maniche difronte al probabile fallimento delle umane iniziative individuali e collettive (Marra, 2020).
Nella riflessione epistemologica di Eugenio Colorni, il rapporto tra conoscenza e azione è centrale: la conoscenza non è verità assoluta, ma tensione morale, uno scopo utile che orienta l’agire umano per superare le illusioni antropomorfiche, coltivate anche inconsciamente nel nostro foro interno. E il passo dei Dialoghi di Ventotene (cfr.Meldolesi, 2018) tra Commodo (Eugenio Colorni) e Severo (Altiero Spinelli) — in cui Commodo afferma: «[…] non siamo capaci di uscire da noi stessi, […] il conoscere per noi non può realizzarsi che sotto la forma di apprendere, cioè di adattare ai nostri organi di presa» — mi sembra il presupposto alla critica che Ursula retoricamente muove a San Paolo nello stesso articolo sopraccitato:
[…] Quel grande antifemminista che era San Paolo parlava con disprezzo delle «femminucce che apprendono in continuazione e non pervengono mai alla conoscenza».
Sono convinta che ciò che Ursula, Eugenio e Albert condividono è un’idea di una conoscenza che sottende l’azione per la ‘liberazione’ — dai pregiudizi che gli altri nutrono verso di noi, dalle illusioni che noi proiettiamo sugli altri, dalle ingannevoli percezioni dei nostri sensi. E la timidezza cui fa riferimento Ursula — e che mi colse impreparata al cospetto di Albert a Princeton — è l’indizio di un’insufficiente comprensione della realtà che ci chiama all’impegno per il cambiamento. Come non cogliere in questa predisposizione politico-cognitiva l’abbandono di qualsiasi forma di intellettualismo idealista e scientismo positivista, per coltivare curiosità e apertura alla sperimentazione e all’apprendimento dall’esperienza?
Ne traggo tre spunti utili alla costruzione dell’Europa in un frangente di elevata incertezza, ma anche di rilancio dell’idea federalista che non può prescindere dal contributo delle donne.
L’azione politica richiede uno sforzo di comprensione degli interessi in gioco e delle sfide che ci attendono nella formulazione e, ancor di più, nell’attuazione delle politiche che daranno corpo al Next Generation EU. Realizzare investimenti per la sostenibilità ambientale e sociale impone concentrazione, analisi e coraggio per vincere la timidezza e entrare nella mischia — come Ursula afferma:
[…] Impariamo dagli uomini che dai 30 anni in poi si buttano a giudicare le situazioni (senza limitarsi a rifletterci su), e decidono senza preoccuparsi se le loro informazioni siano complete o no, commettono errori su errori per poi correggerli di volta in volta: in una parola agiscono. Comportiamoci allo stesso modo, ne abbiamo il diritto e il dovere, proviamo il coraggio di giudicare, di agire, di commettere gli errori necessari (Hirschmann, 1975).
Il rischio è che l’azione politica ci ponga difronte a compromessi, un mondo di paure e difese e conquiste — sosteneva Commodo (Colorni), che pure concludeva che:
[…] Chi fa, è necessariamente più aggressivo, meno aperto, meno disponibile, meno libero di chi non fa. Deve in certa misura farsi sordo e cieco, per quello che sta al di fuori del suo fare, amarlo di un amore esclusivo, concentrato, egoistico, meschino. Perciò, se umanamente provo un grande rispetto e affetto per gli uomini completamente disinteressati e disponibili la cui essenza si compensa più nel vivere che nel fare, pure non posso fare a meno di trovare utili anche gli altri. Più utili? Non so, perché i primi hanno una grandissima utilità appunto come amici, come conversatori, come lievito. Ma anche dei secondi c’è bisogno […] (Colorni in Meldolesi, 2018).
Il possibilismo di Albert — il fratello coraggioso, versato secondo Ursula nel ‘fare’, ma anche incline alla riflessione (cfr. più oltre) — è un modus pensandi et agendi che potrà aiutarci a contemperare conoscenza e azione per un’Europa unita e paritaria.
[…] Mio fratello era più coraggioso e partecipò presto alle discussioni. Ma notavo in quel che diceva uno sforzo di semplificazione, non solo del linguaggio ma anche del pensiero [...] egli non voleva fare troppa mostra delle sue conoscenze per non apparire come un «intellettuale» davanti ai compagni”(Hirschmann, 1993).
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Riferimenti bibliografici
Aniello, V. (2019). Donne invisibili e pratiche possibiliste, in Meldolesi L. (a cura di) Taccuino italiano n. 1, Rubbettino.
Boccanfuso, S. (2020). Ursula Hirschmann. Una donna per l’Europa, Ultima spiaggia.Colombo, D. (2020) Uusula Hirschmann ispiratrice delle politiche per le donne in Europa, Noi Donne, https://bit.ly/38pS5Xd
Colorni, E., Spinelli A., Pozzi, G. (1943). Sull’azione, in Meldolesi, L. (a cura di) I dialoghi di Ventotene, Rubbettino, 2018.
Hirschman, A. O. (1958). The strategy of economic development, New Haven: Yale University Press.
Hirschman, A. O. (1967). Development projects observed, Brookings Institution.
Hirschmann, U. (1975). L’Europa può cambiare?, in Effe, https://bit.ly/3nqzIFU
Hirschmann, U. (1993). Noi senzapatria, Il Mulino, Bologna.
Marra, M. (2020). Contingent Learning in Times of Crisis: How Can Hirschman’s Hiding Hand Help Policymakers Face Current Pandemic?, JESP, European Social Policy Blog, https://bit.ly/35lgcEm
Meldolesi, L. (1998). Il coraggio dell’innocenza, La città del sole.
Meldolesi, L. (2019). Ursula, in Meldolesi, L. (a cura di) Taccuino italiano n. 1, Rubbettino.
 

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