Noi Rete Donne presenta il libro di Marilisa D'amico, evento on line mercoledì 9 dicembre. Interventi di Antonella Anselmo e Laura Onofri
Sabato, 05/12/2020 - Noi Rete Donne presenta il libro di Marilisa D'Amico "Una parità ambigua" (Raffaello Cortina editore). Evento on line mercoledì 9 dicembre ore 18,30
Insieme all'autrice partecipano: Daniela Carlà (introduce), Antonella Anselmo, Mia Caielli, Daniela Cantisani, Laura Onofri, Antonella Ida Roselli (intervengono)
Video dell'evento alla fine di questa pagina, oppure:
Video su Facebook
Video su Youtube
- - - - - -
Intervento di Antonella Anselmo
Una parità ambigua di Marilisa D’Amico
Incontro Noi Rete Donne del 9 dicembre 2020
Una parità ambigua, tra passato e futuro.
Marilisa D’Amico ha un grande merito: riesce a coniugare la sua attività accademica con l’impegno civico e la professione forense, rendendo il diritto vivo e sempre animato dallo spirito costituzionale.
Una parità ambigua, dal titolo a dir poco provocatorio, aiuta alla riflessione critica, è un ponte ideale tra passato e futuro dei diritti delle donne. a. Il passato.
Fin dalle prime pagine dedicate alle radici culturali delle discriminazioni,emerge un approccio che definirei binario, che separa anche i pensieri femministi: semplificando al massimo, le teorie della differenza, da un lato, e i movimenti egualitari e intersezionali, dall’altro.
E allora mi sono chiesta se quell’ambiguità, quella difficoltà che noi tutte viviamo quotidianamente di fronte al monopolio maschile,non trovi una ragione profonda anche nell’impossibilità concreta di riuscire a definire il nostro essere donne.
Prendendo le mosse dal pensiero di Eva Cantarella, l’Autrice indaga sulle origini delle discriminazioni di genere nella cultura greca, su quanto quella narrazione abbia inciso nella costruzione della polis. Ebbene,sulla base della differenza naturale e biologica tra i sessi, il pensiero grecoriserva la sfera pubblicaai soli uomini.
Le donne, in quanto esseri naturalmente subalterni, sono relegate nell’oikos, la sfera domestica, per dedicarsi esclusivamente alla riproduzione.Destino, non scelta.
Il pensiero grecoelabora categorie, perché vuol mettere Ordine, così come faranno anche le religioni monoteiste.
Sappiamo tuttavia che esisteva un mito più antico, quello sulla Dea Madre, che rifletteva società anteriori al patriarcato. Un bellissimo testo junghiano,Le dee dentro la donna di Jean Bolen, spiega gli archetipi femminili in relazione alla specificità delle organizzazioni sociali, dandoci il senso della complessità dell’essere donna.Una complessità, che nel concreto, risulta “indescrivibile”.
Ad ogni modo, il pensiero greco, in quanto espressione di un’organizzazione sociale fondata sul patriarcato, equipara la naturalità dei corpi all’inferiorità sociale.
Dunque crea concetti astratti e linguaggi discriminatori.
Ma è un’operazione politica, prima che culturale, peraltro non sempre riuscita: si pensi alla grandezza di figure come Antigone o a personaggi come Aspasia, moglie di Socrate, alla quale si deve l’arte oratoria e il metodo socratico.
Dunque è la narrazione ad essere ingiusta, perché discriminatoria e politicamente orientata, non le differenze, in sé inenarrabili, perché concrete, vive, personali.
È questo il punto centrale della mia riflessione.
È la naturalità dei nostri corpi che dobbiamo negare, come stereotipo, ovvero la costruzione politico culturale che su di essa unadata società elabora? Le differenze sono causa o effetti delle discriminazioni? E inoltre, esistono differenze tra uomini e donne, sia pure eguali nella comune cittadinanza?
Oggi assistiamo ad una divaricazione radicale, ad una polarizzazione all’interno dei femminismi sulle definizioni di sesso e identità di genere, sui diritti sessuali e riproduttivi, che non aiuta affatto le donne.
Anzi!
In qualche modo quella divisione apre una breccia ad attacchi sessisti sui diritti umani, quelli fondati sul ripristino del cd. Ordine Naturale…
E allora mi sono chiesta, per superare l’ambiguità, è giusto accettare l’approccio binario: cultura contro natura, sesso contro genere, corpo contro mente o cultura?
E ancora, è giusto negare la propria diversità anche corporea (biologica, ormonale, genetica) in nome di costruzioni teoriche solo ed esclusivamente culturali? Si possono combattere stereotipi, pregiudizi con sistemi altrettanto astratti?
E come la mettiamo quando parliamo di diritti sessuali e riproduttivi? O di maternità? Si pensi alla questione sul cognome materno, che attende ancora una riforma organica dalla sentenza della Consulta del 2016 e che ha un valore simbolico contro il patriarcato, veramente rivoluzionario.
L’Autrice indica la via.
Ricorda a noi tutte la piattaforma rivoluzionaria che unì le madri costituenti, le quali,pur di diverso orientamento politico, erano unite sulle questioni che riguardavano il futuro delle donne italiane, in famiglia, nella società.
Ecco, io credo che lì si possa trovare la risposta.
Non è opportuno definirci come donne, ma essere unite, nella democrazia. Un passaggio importante, politicamente, è non pretendere di normare tutto, e soprattutto i contenuti delle libertà, specie quelle che riguardano le donne.
Dovrebbe essere la nostra strategia.
Emblematico il richiamo che opera l’Autrice sul dibattito in sede costituente in merito alla formulazione dell’art. 51 della Cost..
Il riferimento alle attitudini, inserito nella proposta iniziale, da determinare confutura legge ordinaria, avrebbe messo a rischiol’accesso effettivo delle donne alle cariche pubbliche, specie in magistratura. In altri termini, detto inserimento avrebbe legittimato deroghe al principio generale di eguaglianza e non discriminazione tra i sessi.
L’eliminazione di ogni riferimento, anche quello afferente le donne, fu dovuto all’arguzia dell’On Federici. Quella mossa garantì alle donne l’accesso alle carriere pubbliche, anche in magistratura, sia pur con enormi ritardi.
Quando si affrontano temi etici, come quelli del bio-diritto, o questioni che toccano le donne in quanto donne- la prostituzione, la gestazione per altri, la comunicazione sessista, la violenza di genere - i valori fondamentali della nostra Carta costituzionale ci indicano la strada per affrontare le sfide del futuro. E in qualche modo le donne italiane mostrano di essere custodi di quei valori: solidarietà, eguaglianza, dignità della persona.
Per questo motivo la prima battaglia su cui impegnarci è quella della democrazia paritaria: essere nei luoghi delle decisioni politiche e di gestione della res publica, per vigilare, migliorare e custodire i valori costituzionali. b. Il futuro.
L’altro punto che ho trovato di estremo interesse è quello dedicato alla finta neutralità dell’Intelligenza Artificiale, entità destinata a governare sempre più le nostre vite reali.
Sappiamo che gli algoritmi di ultima generazione sono in grado di “manipolare” la mente umana, condizionando i comportamenti sociali, e di trasformarsi mediante l’autoapprendimento continuo.
Il che pone un dilemma degno della migliore fantascienza: fino a che punto l’umanità governerà le I.A.? Quale sarà il fine ultimo delle I.A., in sé prive di etica, di capacità di discernimento tra valori?
Sappiamo che il linguaggio matematico è in sé è asessuato, dunque neutro, ma lo stesso si inserisce all’interno di relazioni umane, dunque sia nel momento della programmazione sia nel momento di applicazione (e di autoapprendimento), l’algoritmo si nutre costantemente di discriminazioni sessiste, di stereotipi, di pregiudizi.
Ma il problema maggiore consiste nel fatto che gli algoritmi operano con una velocità e una quantità di dati inimmaginabile per il cervello umano.
Dunque il processo di esasperazione delle diseguaglianze opera a ritmi mai conosciuti prima.
Peraltro le I.A. sono diffuse in ogni ambito delle attività umane, anche quelle estremamente sensibili. Si pensi al settore giudiziario.
E allora il punto decisivo è di rendere accessibile e trasparente la modalità di programmazione e di funzionamento dell’algoritmo, il sistema di trattamento dei big data, come già indicato dalla Commissione Europea.
Ma non solo.
Occorre condividere dall’alto il processo di gestione tecnologica, senza discriminazioni di genere.
L’enfasi che giustamente si pone affinché le bambine e le donne si dedichino a materie matematiche e scientifiche non basta, se poi le donne sono sostanzialmente escluse dai processi di gestione e di controllo all’interno dei boarddi colossi come Google, Fecebook, Alibaba...
Al più relegate in ambiti operativi, le scienziate potranno denunciare le discriminazioni sul web e perdere il posto di lavoro, come purtroppo la cronaca giornalistica di questi giorni ci racconta.
Neppure è convincente la narrazione dello smartworking come conquista e progressione delle donne in ambito lavorativo. Specie ove manchi nel concreto la libertà di scelta e l’alternativa.
Nel conflitto globale in atto, in cui la posta in gioco è il controllo tecnologico dell’intera popolazione mondiale,le donne dove si collocano?
La questione è tutta politica e occorre porsela fin da oggi.
Una parità ambigua ci pone anche questa domanda.
Antonella Anselmo
- - - - - - - - - Intervento di Laura Onofri Una parità ambigua, libro di Marilisa D’Amico
Noi Rete Donne, presentazione del 9 dicembre 2020
Ringrazio per l’opportunità di approfondire con voi i tanti temi interessanti del saggio di Marilisa D’Amico. Un libro che appassiona e che oltre che da studentesse e studenti universitari, può e deve essere letto da donne e uomini che vogliono ripercorrere tutto il percorso fin qui fatto per raggiungere la parità, percorso molto accidentato e che come sappiamo bene è ancora lungo.
Quando trattiamo il tema dell’immagine nella comunicazione ci accorgiamo immediatamente quanto la parità sia ancora ambigua e sicuramente non realizzata.
Il tema della comunicazione sessista è centrale, a mio avviso, per far emerge quanti stereotipi ancora esistano e quanto la disparità di potere in tanti ambiti, domestici, lavorativi, politici sia il nodo cruciale per comprendere tanti fenomeni, tanti nodi irrisolti: la violenza domestica contro le donne, quella nei luoghi di lavoro, la non compiuta democrazia paritaria in politica e nei luoghi di potere
La pubblicità, alcune trasmissioni televisive e certa informazione trasmettono spesso immagini stereotipate e degradanti delle donne: gli esempi non mancano certo, basta sfogliare una rivista, guardare cartelloni pubblicitari o assistere a trasmissioni come Detto Fatto, in cui un tutorial su come fare la spesa ha creato grande indignazione per l’immagine stereotipata e sessista della donna che emergeva rendendola un oggetto da passerella.
Nel nostro Paese, purtroppo non esistono ancora strumenti utili per poter efficacemente contrastare questo fenomeno; e per giustificare certe immagini e questo tipo di messaggi si invocano i principi costituzionali che in generale tutelano la manifestazione del pensiero e di espressione contenuti negli art. 21 o la libertà di impresa nel 41 della Costituzione, ma che cozzano invece con l’ essenza e la sostanza dell’art 3 che garantisce la parità fra donne e uomini.
Questo stesso problema dell’equilibrio e del bilanciamento dei principi costituzionali si è ripresentato in questi ultimi tempi rispetto al disegno di legge Zan relativo alla legittimità della compressione della libertà di manifestazione del pensiero che la proposta di legge contiene e, quindi, della compatibilità della riforma con i principi di cui agli artt. 21 Cost. e 10 CEDU.
E’ ormai però affermato da varie sentenze della corte di Cassazione che il diritto di manifestare il proprio pensiero incontra alcuni limiti nel caso in cui esso si ponga in contrasto con il principio di pari dignità di tutti i cittadini di cui all’art. 3 Cost. (v. Cass., Sez. III, n. 37581/2008 nonché Cass., Sez. V, n. 31655/2001).
Al contrario nel diritto internazionale il tema della comunicazione sessista è ben evidenziato e tutelato. Se ne comincia a parlare sin nella piattaforma di Pechino nel
1995 non solo come affermazioni di principio ma individuando il preciso obiettivo della promozione di un’immagine della donna equilibrata e non stereotipata e si continua poi con il Codice internazionale di autodisciplina in materia pubblicitaria e varie risoluzioni Europee tutte enucleate nel testo di Marilisa D’Amico e che ci fa capire ancora una volta quanto sia importante per noi il diritto dell’ Unione Europea, che ha sul tema della parità e delle politiche antidiscriminatoria un ruolo centrale e non solo di indirizzo.
In Italia, al contrario di altri Paesi europei che hanno regolamentato puntualmente il fenomeno, tutto rimane a livello di autoregolamentazione. Grazie allo Iap, Istituto di autodisciplina pubblicitaria, abbiamo un Codice di autodisciplina della comunicazione commerciale che è stato adottato dagli enti e dai soggetti che riconoscono il Codice. Nel 2013 grazie ad associazioni femminili e femministe, e in particolar modo grazie a l’Officina, associazione di cui faccio parte e di cui è Presidente Elena Rosa, all’interno del Codice è stato inserito il riferimento esplicito alla discriminazione di genere ed è stato ribadito che il corpo delle donne non può essere utilizzato a fini pubblicitari in modo sessista, volgare e offensivo della loro dignità
Io credo che, a fronte di tante iniziative locali di buone pratiche in questo ambito, sia necessaria una normativa precisa e puntuale per supplire il vuoto legislativo.
Così come credo sia necessario, anche in questo campo un cambiamento culturale che parta dalla scuola e specialmente da quegli Istituti che formano i comunicatori di domani.
Lascia un Commento