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STILL ALICE, un film recensito da Maria Cristina NASCOSI SANDRI

STILL ALICE, un film recensito da Maria Cristina NASCOSI SANDRI

Still Alice suona un po’ come still life che, in lingua inglese sta per ‘natura morta’, ma, letteralmente, si potrebbe tradurre come ‘ancora in vita’....

Sabato, 14/02/2015 - STILL ALICE and LIFE





Still Alice suona un po’ come still life che, in lingua inglese sta per ‘natura morta’, ma, letteralmente, si potrebbe tradurre come ‘ancora in vita’.

E così anche Still Alice può esser tradotto in ‘Alice morta’ o ‘Ancora Alice’ o ‘Alice (ancora) viva’, nonostante l’Alzheimer che, ottuso nemico, si porta via la vita, il vissuto, l’intelligenza di un eccellente e pensante essere umano e ne fa sparire ogni traccia, fatto salvi gli affetti suoi più cari e vicini, il marito, le figlie, i nipoti.

Rimane, dunque, l’amore – questa è la fine del film, rigoroso, fedele nei confronti della tematica narrata, opera a quattro mani della coppia Richard Glatzer e Wash Westmoreland, trasposta dal romanzo best-seller omonimo del 2007 della neurologa Lisa Genova - come ultimo viatico, tra il cosciente e l’inconscio di una bella mente che s’allontana per sempre col sorriso ormai dell’assenza dalla scena della vita attiva, appagante che aveva avuto, per entrare in una definitiva non-vita.

E’ vero, senza ricordi non c’è presente – il che si riallaccia molto bene con l’ebraico Il passato l’abbiam davanti…

Still Alice è un buon film, ben interpretato da un’ottima e ben documentata Julianne Moore che dà prova di grande sensibilità e maturità artistica in ascesa, non a caso candidata all'Oscar di quest’anno come miglior attrice, dopo aver vinto il Golden Globe.

Giusto, corretto e ben narrato il plot dell’iter verso l’abyme, la discesa agli inferi della malattia conclamata, solo a brevi tratti un tantino poco credibile.

Ma l’aver condotto quello stesso iter anche con un pizzico d’ironia – più, forse, auto-ironia – riscatta quelle piccole perdonabili ridondanze.

Sì, Still Alice può ancora dare speranza, nel suo narrare tanta disperazione: ancora in vita, dunque, dopo l’arrivo della malattia, non ‘non più vita’.

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