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Sguardi sulla Medicina Predittiva

Sguardi sulla Medicina Predittiva

Parliamo di Bioetica - Oggi la nozione di malattia non riguarda piĆ¹ solo una condizione attuale, ma si proietta nel futuro come previsione di 'maggior rischio' di ammalarsi. Nasce la nuova categoria sociale degli 'inalati virtuali'

Monica Toraldo di Francia Domenica, 30/03/2014 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Aprile 2014

Il crescente espansionismo sociale della medicina contemporanea può trovare oggi supporto nella trasformazione subita dalla nozione di malattia, la cui applicabilità non riguarda più solo una condizione attuale, ma si proietta nel futuro come predizione, o come previsione di 'maggior rischio' di ammalarsi. Questa trasformazione, dalle conseguenze etico-sociali ancora non pienamente valutabili, è il portato dei grandi progressi avvenuti nell'ambito della genetica umana che hanno permesso l'emergere e il consolidarsi di una nuova branca del sapere medico: la `medicina predittiva' o `prospettica', capace di "definire la probabilità che un evento patologico si determini in un soggetto che non mostra segni clinici di malattia".



Strumento privilegiato della medicina predittiva sono i test genetici in grado, sulla base dell'analisi del DNA di un individuo fenotipicamente sano, vuoi di effettuare una vera e propria previsione dell'insorgenza della malattia, nel caso sia determinata dalla mutazione di un gene specifico - malattia i cui primi sintomi potranno comparire anche molti anni dopo, come accade per le cosiddette malattie genetiche 'ad insorgenza tardiva' - vuoi di identificare numerose varianti genetiche responsabili di un'aumentata suscettibilità del soggetto a sviluppare nel corso della vita determinate patologie. In quest'ultimo gruppo rientrano le vulnerabilità ereditarie a evolvere malattie cardiovascolari, certe forme di tumore, di diabete, di malattie neurodegenerative, come ad esempio l'Alzheimer. E la lista si allunga ogni giorno. Ad oggi, tuttavia, solo per poche malattie genetiche ereditarie la diagnosi precoce permette l'adozione di misure preventive efficaci, o l'applicazione di cure risolutive, mentre, per quanto riguarda la maggior 'suscettibilità' individuale a contrarre malattie comuni multifattoriali, troppo poco ancora si sa sulle complesse interazioni fra fattori genetici e fattori ambientali (compresi quelli concernenti la fisiologia dell'organismo nel suo complesso e quelli ambientali esogeni: condizioni di vita e di lavoro, alimentazione, particolari suscettibilità ad agenti nocivi ecc.) perché tali informazioni possano rivelarsi realmente utili sotto il profilo preventivo.

Per quanto riguarda l'impiego delle nuove conoscenze genetiche nell'ambito delle decisioni procreatine, molti sono gli interrogativi etici che pone l'incremento della gamma dei test genetici prenatali, o effettuabili, grazie alle tecniche di fertilizzazione in vitro, sugli embrioni prima del trasferimento nell'utero della madre. In quest'ultimo caso, la possibilità esistente per le coppie a rischio di trasmissione di malattie genetiche gravi di determinare il sesso dell'ovulo fecondato - alcune delle più gravi malattie ereditarie colpiscono soprattutto bambini maschi, essendo legate al cromosoma X - o di individuarne eventuali 'difetti' genetici di altra natura, rende già praticabile una selezione embrionale che desta preoccupazione perché, si dice, potrebbe aprire la strada a un nuovo 'eugenismo' e alla ricerca del 'bambino perfetto'. Ma anche in questo settore si dovrebbe evitare il ricorso all'argomento retorico del 'pendio scivoloso' per legittimare l'adozione di leggi punitive e proibizionistiche, del tipo esemplificato dalla legge italiana in materia di procreazione medicalmente assistita (la legge 40), e la conseguente imposizione di crudeli sofferenze oggi evitabili. Le nuove conoscenze recano con sé, inevitabilmente, nuove responsabilità nei confronti della 'qualità di vita' che si prospetta per i nascituri, responsabilità che comportano l'onere di tracciare delle distinzioni - sempre difficili, provvisorie e rivedibili sulla base della specificità di ogni nuovo `caso' - fra scelte che devono rimanere di esclusiva competenza dei soggetti più direttamente coinvolti, in primo luogo della madre che dovrà mettere al mondo il nuovo 'essere umano', e scelte che dovremmo invece cercare di contrastare, non necessariamente ricorrendo alla norma giuridica. Ritengo tuttavia che si debba anche stare attenti a che il discorso medico sull'importanza della conoscenza del proprio sé biologico e sulla 'prevenzione' non perda di vista la sua finalità, che è quella di migliorare la qualità della vita dei singoli, e si rovesci in un processo di più o meno occulta medicalizzazione dell'intera esistenza, frammentandola in una serie di età e di situazioni 'a rischio', così da rendere ancora più arduo pensare la propria continuità biografica in modo progettuale proprio a partire dall' accettazione del fatto che ognuno di noi ha un tempo finito da vivere.



Se questo discorso a livello generale può apparire astratto e preconcetto, credo che possa acquistare di spessore quando passiamo a considerare più da vicino quelli che, a mio parere, sono i risvolti più problematici della medicina prospettica. Con la ridefinizione e l'ampliamento del concetto di malattia, la cui applicabilità viene estesa nel tempo, la medicina predittiva ha costruito una nuova categoria sociale, quella dei 'inalati virtuali', o `unpatients': una categoria, in progressiva crescita, di persone classificabili, sulla base del profilo genetico, come soggette a maggior 'rischio' di ammalarsi e, pertanto, più esposte a forme di discriminazione nell'inserimento nel mercato del lavoro, nella vita di relazione, nell'accesso alla fruizione di beni quali l'assicurazione sanitaria e sulla vita.



Come si può intuire, gli aspetti critici di questi sviluppi sono molteplici e non affrontabili in queste note; qui mi limito solo ad accennare a una questione che mi sta particolarmente a cuore. Troppo spesso ci si preoccupa solo di come impedire, o regolamentare l'accesso ai dati genetici 'sensibili' da parte di terzi, per evitare le peggiori derive discriminatorie nei confronti di questa nuova categoria di cittadini particolarmente vulnerabili. Adoperarsi per garantire la massima riservatezza dell'informazione genetica è certamente necessario, ma non sufficiente. Ci dovremmo anche chiedere quanto la conoscenza della propria predisposizione o suscettibilità genetica a evolvere determinate malattie ed il percepirsi, ed essere percepiti da chi è più vicino, come soggetti 'a maggior rischio' - o predestinati a un destino infausto e a una morte precoce, rispetto alle aspettative di vita media - si rifletta su e condizioni lo sviluppo del proprio senso di sé, della propria autostima e identità; ovvero, quanto l'informazione prospettica possa influire negativamente sulla costruzione del proprio mondo affettivo e relazionale, coartando le scelte di vita ed inibendo il libero sviluppo della personalità, in società quali le nostre. Vorrei dire in un mondo in cui la fragilità psichica e l'insicurezza ontologica sono sempre latenti e le certezze di immagine, come di accettabilità sociale, vengono in misura crescente a dipendere dalla capacità di adeguamento ai modelli dominanti di efficienza corporea, di salute, di 'normalità' fisica e psichica. A questo proposito, e a conclusione di queste note, voglio ricordare gli studi della femminista foucaultiana Iris Marion Young (Young 1990) sulle fonti di oppressione sociale che sono il portato di norme, abitudini, stereotipi e rappresentazioni simboliche la cui forza risiede nel non essere mai messe in discussione. Anche nelle odierne società liberal-democratiche 'ben intenzionate' è latente lo 'stigma', spesso retrocesso dal livello discorsivo e cosciente a quello dei comportamenti pratici e del linguaggio dei corpi: battute, lapsus, gesti, varie reazioni irriflesse che denotano l'istituzione di una tacita gerarchia fra corpi ed un disagio nei confronti di chi, l'Altro, viene identificato con un 'corpo' imperfetto, difettoso o 'differente' rispetto a un sottointeso modello di normalità e di accettabilità sociale.

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