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Senza comunità non c’è democrazia

Senza comunità non c’è democrazia

Partimmo dal voto / 4 - Il diritto al voto presume consapevolezza e capacità di scelta in base agli interessi comuni e non personali. Intervista alla filosofa Nicla Vassallo

Bartolini Tiziana Sabato, 28/05/2016 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Giugno 2016

  Filosofa eclettica dai multiformi interessi e dalla imponente produzione scientifica, Nicla Vassallo è una intellettuale che non corre il rischio della banalità. L’abbiamo interpellata per raccogliere alcune considerazione in occasione dei 70 anni del voto alle donne. Ci porge un punto di vista assai (e saggiamente) poco celebrativo.

Stiamo vivendo una profonda crisi della democrazia rappresentativa. Cosa ha determinato questa situazione?

Da filosofe e filosofi abbiamo riconosciuto che vige un sistema non in grado di garantire a cittadini e cittadine gli strumenti, cognitivi e conoscitivi, per votare con ragionevolezza. La nostra non solo non è più una democrazia rappresentativa, rispetto a quanto vorremmo, ma forse non rappresenta neanche una qualche democrazia. Direi ormai che egoismo e individualismo dominano in molti e molte: ne segue, quando ci si reca alle urne, che ci si esprima, non pensando al bene comune o alla democrazia, bensì agli interessi prettamente personali e privati.




Avendo smarrito il senso della comunità, le persone pensano di bastare a se stesse. Da ciò deriva che la crisi non è riconducibile ad un certo sistema elettorale o ai (tanti) casi di corruzione della politica. È più un problema di fondo, che precede le forme organizzative della rappresentanza o della giustizia…

Sì, concordo. E dal punto di vista strettamente filosofico, parecchi intellettuali di area anglosassone sono della medesima opinione: chi va a votare lo fa privo di una corretta coscienza delle esigenze di una società democratica, delle esigenza della cittadinanza, del punto in cui ci troviamo e di quello che si intenderebbe raggiungere.




C’è quindi il tema della partecipazione, parola abusata ma di cui abbiamo smarrito il senso autentico…. in fondo il voto è solo una delle tante modalità di partecipazione

Pensiamo al referendum sulla fecondazione assistita… non ha raggiunto il quorum perché molte persone e molte coppie non hanno tenuto presenti, in quel momento, le necessità di altri. Mi sembra immorale che ciascuno consideri solo se stesso o se stessa; mentre un sistema democratico dovrebbe poggiare sull’idea di comunità. E quindi non abbiamo alcuna scusa di lamentarci, se la politica non dà le risposte che attendiamo o quelle che occorrono. Mi chiedo in quale democrazia e in quale società viviamo, nel momento in cui non ci si indigna di ignoranze, egoismi e individualismi.




 


Le donne possono avere un ruolo in questa crisi, possono contribuire a recuperare questo deficit di democrazia?

Si pensi alla rivoluzione francese. Inizialmente, il ruolo delle donne pareva potesse fiorire, con i Cahiers de Doléances des femmes in cui venivano ben espressi i diritti delle donne. Diritti rivendicati anche da Olympe de Gouges nel suo romanzo Le prince philosophe. Eppure questa richiesta di diritti è cessata quando Olympe inizia a criticare il buon Robespierre. Destino segnato: ghigliottinata! Ci sono donne (si pensi alle suffragette) che hanno lottano, ottenendo riforme in parecchi paesi del mondo. D’altra parte, ci sono donne che non hanno mai recepito alcuna esigenza di democrazia, o assunto una qualche opinione sull’attuale crisi politica, poiché preferiscono una vita puntellata di appuntamenti estetici (unghie, capelli, cerette ecc.). Dunque, vi sono donne pensanti e donne non pensanti, donne consapevoli e donne non consapevoli, per cui un qualche loro ruolo può risultare addirittura deleterio al fine del recupero del deficit. Ma sappiamo che nel mondo ci sono donne che a questo recupero hanno donato molto. Da noi, invece, nonostante le apparenze, rimangono gli uomini a dominare la scena pubblica, anche se talvolta mostrano in televisione alcune loro ‘belle rappresentanti’: la realtà è che molte donne non sono indipendenti e lo attestano proprio quando sono interpellate sul loro agire in ambito democratico.




Vede strade da percorrere per ritrovare il senso di comunità e riprendere il bandolo di una matassa che appare parecchio intricata?

Va detto, a proposito del suffragio universale, che le donne sono state giudicate incapaci di votare per un presunto deficit razionale o di conoscenza politica, mentre è stato concesso a tutti gli uomini, indipendentemente dalle loro capacità cognitive o dalla loro preparazione. Oggi come oggi? Spiace dirlo, ma si stanno elaborando teorie contrarie al voto a tutti, perché non tutti hanno la cognizione dell’importanza del voto quale espressione di idee per il bene comune. La mia speranza è che questa ignoranza cessi, tramite un’adeguata istruzione, permettendo che si instauri una vera e propria democrazia per cui i cittadini e le cittadine giungeranno a non credere più ai troppi clown di cui siamo circondati.




La sua è un’analisi impietosa non priva di elementi forti. Tra chi il voto lo vende e chi lo svende, quasi quasi è meglio chi non va a votare...

È un'ipotesi, certo. Rispetto al qualunquismo, che detesto, il non voto come ribellione ha più senso.




La ricorrenza dei 70 anni del voto alle donne stimola molte celebrazioni e riflessioni. Dal suo punto di vista che tipo di sollecitazione può venire, appunto, dalle donne?

La cosa opportuna, oggi, sarebbe che le donne, quelle pensanti, prendessero coscienza della loro capacità di modificare sia il voto, sia la democrazia senza impiegare mezzi ‘femminili’, intesi nel senso della seduzione o della dipendenza sessuale e culturale dagli uomini. Penso, ad esempio, alle statistiche che hanno mostrato come le donne siano state le maggiori elettrici di Berlusconi. Ma non intendo accusare gli uomini e dunque conto davvero in donne più consapevoli. Occorre guardare in faccia la realtà con i nostri occhi e le nostre menti, senza subire strane influenze, e considerare che, quando andiamo a votare, lo dobbiamo fare per una comunità, non per le nostre unghie o i nostri capelli. Dobbiamo andare a votare anche per i diritti civili e umani, inclusi quelli omosessuali, che le donne, purtroppo, non stanno prendendo più in grande considerazione.




 


La filosofia e il rigore

Nicla Vassallo (http://www.niclavassallo.net/ - http://unige-it.academia.edu/NiclaVassallo), specializzatasi al King’s College London, è attualmente professore ordinario di Filosofia teoretica presso l’Università di Genova. Il suo pensiero e le sue ricerche scientifiche hanno innovato e rinnovato settori dell’epistemologia, della filosofia della conoscenza, della metafisica, dei gender studies. È autrice, coautrice e curatrice di ben oltre centocinquanta pubblicazioni in italiano e in inglese e pubblica nelle maggiori riviste e quotidiani nazionali. Tra i volumi più recenti: Filosofia delle donne (Laterza 2007), Teoria della conoscenza (Laterza 2008), Knowledge, Language, and Interpretation (Ontos Verlag 2008), Donna m’apparve (Codice Edizioni 2009), Piccolo trattato di epistemologia (Codice Edizioni 2010), Terza cultura (il Saggiatore 2011), Per sentito dire (Feltrinelli 2011), Conversazioni (Mimesis 2012), Reason and Rationality (OntosVerlag 2012), Frege on Thinking and Its Epistemic Significance (Lexington–Rowman&Littlefield 2014), Il matrimonio omosessuale è contro natura: Falso! (Laterza 2015), Breve viaggio tra scienza e tecnologia con etica e donne (Orthotes 2015), Meta-Philosophical Reflection on Feminist Philosophies of Science (Springer, New York 2016). Attualmente sta lavorando su differenti aspetti dei rapporti affettivi e amorosi, in relazione alle istituzioni, specie eteronormative, oltreché sul problema dell’ignoranza conoscitiva e i modi per porvi rimedio. Ha vinto il premio di filosofia “Viaggio a Siracusa” nel 2011.




 


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