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Sangue vergognoso e male-detto. In cartellone al Drama di Modena

Sangue vergognoso e male-detto. In cartellone al Drama di Modena

"L'ultima volta che ho visto il mio sangue" va in scena (in appartamento) dal 16 al 18 novembre. Voluto dall'Assessorato Pari Opportunità del Comune

Giovedi, 25/10/2018 - L’ultima volta che ho visto il mio sangue, di Drama Teatro, va in scena dal 16 al 18 di novembre in appartamento (via Cesare Battisti 34 a Modena). Lo spettacolo è riservato a 25 persone per replica (gli orari sono il venerdì e il sabato alle 21 e la domenica, alle 18 e alle 21). In scena Magda Siti e Stefano Vercelli, il testo è di Elena Bellei. Fa parte del programma che il Comune di Modena (Assessorato Pari Opportunità) ha dedicato al mese contro la violenza di genere. Il monologo è nato in parte da un’ intervista ad una donna non più giovane, e in seguito dalle suggestioni generate da fatti di cronaca (edulcorati per scelta stilistica). In scena un uomo e una donna, emotivamente distanti, asimmetrici nel rapporto con la parola e il ricordo. La protagonista, a partire dalla coscienza della fine della sua vita feconda, racconta episodi del passato lasciando affiorare, in un flusso di coscienza, sensazioni e domande attorno alla vita del suo sangue e al significato ad esso attribuito. Il compagno punteggia la narrazione con poche parole. Entrambi si rivolgono al pubblico, senza creare tra loro nessuna comunicazione né complicità.

“Abbiamo cercato una nuova pista di ragionamento di fronte al dramma della violenza maschile sulle donne - dicono gli autori - Spiegarlo come una forma estremizzata di possesso non ci bastava. Nemmeno ci dava risposte convincenti l’amore umiliato e frustrato che si trasforma nel suo contrario. Abbiamo provato a cercare nell’essenza della differenza stessa, in ciò che c’è di più intimo e nello stesso tempo più universale. E’ uscito da questa ricerca, supportata dalla lettura di testi recenti di sociologia femminista, un monologo sul sangue femminile, vero e proprio tabù ancora in un epoca che sembra aver dato parola e rappresentazione ad ogni argomento “disturbante”. Non c’è apparentemente un nesso diretto tra sangue femminile e violenza, ma il connubio basta a portare alla luce i secolari sentimenti di vergogna legati al sangue delle donne. Ottenere la vergogna della natura biologica delle donne indebolisce la loro differenza e offre in definitiva grandi vantaggi. Produce un capovolgimento di forza a vantaggio del maschile”.

La scelta di non rappresentare L’ultima volta in teatro ha voluto rendere più evidente la dimensione segreta del tema, l’intimità dell’argomento che si rovescia nella sua universalità Non c’è niente di più intimo e di più universale del sangue delle donne Un argomento taciuto. Un vero e proprio tabù sociale. Il lavoro preparatorio al testo prova a cercare l’origine della violenza sulle donne oltre il concetto di amore inespresso che si converte in violenza, oltre l’interpretazione mediatica del raptus (punto di esasperazione del maltrattante). Cerca un’ origine nell’essenza stessa della differenza femminile. Il finale, inatteso e cruento, non è da intendersi come forma di rivalsa o di vendetta ma come gesto definitivo e simbolico che cancelli l’errore della Storia.

In sintesi la premessa di contenuto potrebbe essere detta nella maniera seguente: violenza/sangue risulterebbe essere un connubio scontato. Per ogni gesto violento che il corpo subisce, per ogni aggressione intenzionale che procura ferite, avviene una fuoriuscita di sangue. Si tratta in questo caso di sangue esibito, trattato, ampiamente rappresentato. Il sangue viene associato al male, alla disgrazia. Le immagini del sangue, le immagini di guerra, i modelli televisivi e cinematografici veicolano senza reticenza una rappresentazione di sangue di violenza. Spostare la parola nel suo ambito naturale ci fa al contrario pensare ad un fluido caldo e vitale, unito intimamente al corpo in cui è contenuto. Facendo un ulteriore passo avanti e adottando un punto di vista di genere, ci fa ragionare sul sangue esclusivamente femminile che per secolari distorsioni patriarcali diventa sangue nascosto e peccaminoso, tanto da non essere nominato. Un sangue non detto o detto male, dunque male-detto. Il sentimento di rifiuto sociale del sangue femminile si traduce in vergogna. A cosa serve, chiederebbe l’antropologia, la psicoanalisi, coprire di vergogna il sangue vaginale? La vergogna è forse la condizione essenziale che assicura la vittoria. Si tratta certamente di una vittoria simbolica. Ottenere la vergogna della natura biologica delle donne indebolisce la loro differenza e offre in definitiva grandi vantaggi. Produce un capovolgimento di forza a vantaggio del maschile. Il monologo fa riferimento al sangue vaginale (mestruale, placentare, ombelicale) quello che sta nei pressi della vita non della morte. Dall’antropologia sappiamo che al sangue femminile le religioni monoteiste e le società patriarcali hanno attribuito significati diversi, funzionali alla sopravvivenza della comunità e alla conferma del potere maschile. E’ come se, nel corso nei secoli, gli antichi rituali sacrificali si fossero ripresentati in forme rinnovate. La vergogna, così come la definizione arbitraria della colpa, ha un costo minimo per chi la infligge ma offre molto beneficio (potere), soprattutto se condivisa socialmente. Produce per contro a chi la subisce danni incalcolabili. Paradossalmente lascia una via d’uscita: la cancellazione della colpa, il pentimento, ovvero la tua auto punizione. Tocca a te pulire!

Potremmo pensare che l’apparato simbolico prodotto per tenere a bada il corpo delle donne si stia rivoltando e faccia enormemente paura. Forse da qui l’ipotesi di una recrudescenza di violenza maschile. (Il teatro è ricerca, tentativo, sperimentazione…) Per prenotare: 328 182 7323



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