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Quando è una legge a fare la rivoluzione

Quando è una legge a fare la rivoluzione

Focus - Diritto di famiglia, 40 anni dopo/3 - Per le donne che lavoravano nelle imprese familiari senza riconoscimenti, soprattutto nell’agricoltura, la legge 151 del 1975 fu un cambiamento epocale. Il ricordo e le riflessioni di Paola Ortensi

Bartolini Tiziana Domenica, 06/09/2015 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Settembre 2015

 Il mondo dell’agricoltura ha dato un contributo decisivo al dibattito e alla definizione dei principi, diventati poi norma, che hanno mutato profondamente la società italiana. La riforma del diritto di famiglia (legge 151/1975) è stato per le donne lo strumento di riscatto dalla condizione di subalternità formale e giuridica in cui vivevano nelle aziende di famiglia. Negli anni Settanta Paola Ortensi era responsabile femminile della Federazione del Partito comunista di Latina, una provincia dove l’agricoltura e le sue donne avevano un peso enorme ed è passata poi ad occuparsi delle donne delle campagne. Le abbiamo chiesto un ricordo di quella fase dal suo specifico punto di vista. “Al culmine di anni di dibattiti parlamentari, elaborazioni, manifestazioni e grande protagonismo femminile, nel maggio del 1975 il Senato approvava in lettura definitiva la legge 151, un corpus di 240 articoli che modificavano profondamente il Codice Civile rispetto alle regole della famiglia, appunto. La legge, di fatto, riconosceva ‘la dignità’ e ‘la responsabilità’ della donna superando quello che fino a quel momento era stato un ruolo riconosciuto e codificato di sua completa sottomissione al potere maschile rispetto ai diritti propri, dei figli e delle scelte familiari. Un articolo come questo ‘Con il matrimonio il marito e la moglie acquistano gli stessi diritti e assumono gli stessi doveri’ costituiva la nuova spina dorsale dell’idea di famiglia, un principio che comportava logiche conseguenze. Solo per citarne alcune: l’eliminazione della patria potestà, obbligo di concordare la residenza della famiglia secondo le esigenze dei coniugi, istituzione della comunione dei beni, il passaggio dal concetto di usufrutto al diritto di eredità di metà del patrimonio”. Insomma una rivoluzione. “È stata una legge importantissima anche per il cambiamento culturale che ha messo in moto”. Ci interessa mettere a fuoco l’impatto nel mondo del lavoro, nello specifico dell’impresa agricola familiare.



“Per comprendere l’importanza dell’impatto dei cambiamenti nel mondo agricolo e poi dell’artigianato e del commercio, vanno sottolineati alcuni antefatti che danno il senso e il valore alla norma. Già nei primi anni ‘60 nell’Alleanza dei contadini, organizzazione contadina di sinistra, in particolare per merito di intellettuali e dirigenti come Emilio Sereni, Ruggero Grieco, (che ha scritto anche ripetutamente su Noi Donne) o di Alessandro De Feo, si aprì un approfondito dibattito sulla famiglia/impresa contadina. L’argomento principe partiva dalla donna e dall’esigenza di riconoscerne concretamente ruolo e funzione sociale ed economica. Il confronto portò nel 1964 ad una proposta di legge presentata da Emilio Sereni, che proponeva di “organizzare”, appunto, l’impresa familiare come luogo contemporaneamente di affetti e di interessi economici. Di fatto si aprì la strada ad una proposta, inedita per quel tempo, di parità per le donne delle campagne. I temi che l’Alleanza sostenne, con dovizia di elaborazioni di alto livello, erano presumibilmente troppo avanzati, sia per il tempo in cui maturavano rispetto al dibattito femminile in particolare legato alle contadine, sia rispetto alla considerazione minima che la società civile e politica aveva per il ruolo dell’agricoltura”. Era l’Italia del boom economico legato all’industrializzazione e dell’abbandono delle campagne…. “Ricordo una frase dell’epoca che rende bene il sentimento delle donne della terra: ‘siamo donne, lavoratrici e contadine, siamo la sintesi massima delle difficoltà’. Ciononostante, la giustezza e la forza della tematica aprì un confronto che andò avanti e coinvolse anche la Coltivatori diretti, forte organizzazione che a quel tempo contava anche su decine di parlamentari. La questione si dimostrò assai complessa perché, se parlava di famiglia, parlava anche di impresa, di interessi e gestione dell’impresa identificata in una famiglia allargata al di là del semplice nucleo di marito, moglie e figli. La famiglia patriarcale cercava di affrontare un salto di qualità che ‘giovava’ in modo speciale alla donna-moglie e non solo, anche se è ovvio che la norma parli sempre di coniuge o familiare”.



Quindi ci furono molte resistenze. “Proprio la sua modernità rese impossibile che una legge su tale materia potesse essere approvata e, per sintesi massima, si arrivò al nobile compromesso di immettere il tema, sintetizzato, in un articolo (l’89) del nuovo diritto di Famiglia, divenuto 230 bis del Codice civile, in cui viene riconosciuto il ‘diritto al mantenimento’ per il familiare che ‘presta in modo continuativo la sua attività di lavoro nella famiglia o nell’impresa familiare e partecipa agli utili dell’impresa familiare e ai beni acquistati..’ accanto all’esplicita dichiarazione che ‘il lavoro della donna è considerato equivalente a quello dell’uomo’, un passo avanti gigantesco!”. Soprattutto se consideriamo che dal tempo della legge Serpieri negli anni Trenta era accettato l’assunto secondo cui il lavoro delle donne e dei bambini valeva molto meno rispetto a quello degli uomini. “Da subito si capirono anche i limiti, perché all’affermazione del principio dovevano necessariamente seguire norme attuative. Non mancarono i dissensi come quello della Confagricoltura, che non si riconosceva nell’impresa contadina, ma l’impatto fu importante anche nelle imprese artigiane e del commercio. L’impresa familiare ebbe poi un ‘riconoscimento giuridico’ importante quando, anni dopo, la legge 203 per la trasformazione della mezzadria in affitto obbligò che le domande di trasformazione fossero firmate da tutti i componenti della famiglia/impresa”.



Consideri l’impianto normativo della legge 151 ancora adeguato all’attuale situazione delle imprese agricole italiane? “Molto è cambiato e quelle agricole sono imprese complesse in cui le donne sono divenute capo azienda, imprenditrici, coimprenditrici di valore, sono state protagoniste di un’evoluzione straordinaria. Quella legge, o meglio quell’articolo 230 bis, è ormai datato e non risponde più alle nuove esigenze, credo che la norma andrebbe rivista ma senza tradirne lo spirito innovatore”. Puoi fare qualche esempio per far comprendere il senso di questa osservazione? “Ai tempi della legge 151 l’apporto delle donne era calcolato sulla base anche dell’impegno casalingo, per quanto ‘la casa famiglia’ fosse fattore di produzione dell’azienda stessa. Oggi si parla di multifunzionalità dell’agricoltura, di mercato, di esportazione, di innovazione, di compatibilità ambientale, di biodiversità. Ci sono anche nuovi soggetti sociali impegnati per un’agricoltura organizzata e moderna. Forse bisognerebbe ripartire dall’impresa familiare per fare il punto su quanto è cambiato in quaranta anni in modo che questo ‘compleanno’ non sia una celebrazione ma occasione di nuove riflessioni”. Ha ragione Paola, il contesto in quattro decenni è mutato completamente, da qualsiasi angolazione lo si osservi e, mai come in questa occasione, un traguardo può diventare sfida per un futuro in cui le donne in particolare, e le persone in generale, sono e saranno presenza imprescindibile e condizione di ogni prodotto di qualità.

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