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Quando il corpo della donna è una questione di … Il caso dei Paesi dell’area MENA

Quando il corpo della donna è una questione di … Il caso dei Paesi dell’area MENA

In occasione della 60ma sessione della commissione delle Nazioni Unite su condizione donne nel mondo, 57 organizzazioni hanno richiesto modifiche legislative

Lunedi, 21/03/2016 -
Il Cairo. L’organizzazione egiziana Nazra for feminist studies si è fatta portavoce di queste richieste ed in una dichiarazione, sottoscritta dalle organizzazioni provenienti da Egitto, Siria, Libano, Palestina, Iraq, Yemen e Libia, mette nero su bianco i punti su cui lavorare per realizzare una società che sia veramente paritaria e che riconosca i diritti femminili in occasione della seduta delle Nazioni Unite incentrata sullo stato della condizione femminile nel mondo.

La dichiarazione diffusa il 16 marzo scorso, affrontando non solo problemi di natura culturale e tradizionale, e parlando anche della mancata attuazione di leggi volte a sradicare la violenza di genere, fornisce alcuni spunti di riflessione su questioni note e meno note. In tutto il documento è chiaro il riferimento ad una cultura patriarcale e maschilista che ha relegato le donne di questi Paesi al rango di cittadine di serie B.



“La violenza contro le donne è basata su una discriminazione sistematica di genere che è profondamente radicata nelle tradizioni e nelle culture dell’area che tendono a ricreare di volta in volta le dinamiche di una società patriarcale all’interno della quale il rapporto tra un uomo e una donna si declina solo sulla disparità fra i due generi”.
Ed è proprio un contesto del genere che si presta al moltiplicarsi delle diverse forme di violenza. Si parla di stupro, di molestie di massa nei luoghi pubblici, di matrimonio precoce, di mutilazioni genitali femminili e di violenza domestica.



Non si tratta solo di una questione culturale, perché laddove la cultura si ferma, è invece la mancanza di un quadro legislativo unitario ad autorizzare il ripetersi di queste violenze, non solo fisiche, ma anche psicologiche nei confronti delle donne. “Le leggi che si occupano di violenza sessuale sono molte e sono inserite all’interno dei singoli Codici sulla persona di ogni Paese. Ci devono essere invece delle leggi ad hoc contro la violenza sessuale”. Si tratta di un vuoto legislativo che non può e non deve essere giustificato perché colpisce le donne incessantemente quando “la definizione di stupro è limitata alla sola penetrazione dell’organo femminile e non considera stupro anche quello anale, orale, o quello perpetrato con le dita e gli oggetti”.



C’è una legislazione nebulosa anche per il reato di molestia fisica o verbale. Ad eccezione dell’Egitto, la Tunisia, il Marocco e l’Algeria, gli altri Paesi dell’area non hanno ancora promulgato delle leggi che puniscono severamente i carnefici e tutelino le vittime. Per non parlare del fatto che questi Paesi sono ancora molto lontano dal riconoscere alle donne il sacrosanto diritto di decidere del loro corpo quando si parla di aborto. “Ad eccezione della legge tunisina che permette l'aborto incondizionatamente, tutte le altre leggi lo criminalizzano. Ci sono solo poche eccezioni: salvare la vita della madre in Giordania, o evitare la nascita di bambini malati in Egitto. Oppure portare a termine una gravidanza dopo uno stupro, a condizione che avvenga entro i primi quattro mesi di gestazione in Marocco”.



Nell’affrontare il problema della violenza di genere in ogni sua forma, per la prima volta con questo documento si chiede anche la depenalizzazione dell’aborto.
Perché, al di là delle motivazioni che portano una donna a decidere per una interruzione di gravidanza, si tratta di un diritto femminile quello di decidere del proprio corpo. Ed in quanto tale, essendo un diritto appunto, non può essere negato e tanto meno può essere condannato, neanche in questa parte di mondo.



Vignetta di Doaa Eladl

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