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Quando educazione e tasse sono paritarie

Quando educazione e tasse sono paritarie

- Una sentenza della Corte di Cassazione sancisce che le scuole private devono pagare l’ICI

Stefania Friggeri Domenica, 04/10/2015 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Ottobre 2015

 Nel maggio scorso la Corte di Cassazione ha dichiarato legittima la richiesta del comune di Livorno del pagamento dell’ICI da parte di due scuole rette da religiosi, condannandole inoltre al pagamento degli arretrati. Anche se l’art.7 del decreto legislativo 504/1992 dice che sono esentati dall’imposta immobiliare solo “ i fabbricati destinati esclusivamente all’esercizio del culto”, la sentenza ha fatto scandalo, come se l’imposta venisse applicata non all’immobile ma al progetto educativo religioso. Ma perché le sentenze 14225 e 14226 della quinta sezione civile della Corte di Cassazione hanno creato un caso mediatico di grande risonanza? Perché hanno messo un punto fermo (si spera) su di una questione lungamente dibattuta sostenendo che il fatto stesso di far pagare una retta agli studenti assoggetta gli istituti ad una attività di carattere commerciale, ovvero: la Corte di Cassazione ha stabilito che l’attività scolastica, ancorché senza scopo di lucro, se svolta dietro corrispettivo, è un’attività commerciale. L’argomento prioritario giocato dalle gerarchie cattoliche a favore dell’evasione fiscale deriva dall’innovazione introdotta dal ministro Berlinguer, cioè dalla legge 62/2000 che riconosce alle scuole private il ruolo di scuole “paritarie”, ovvero pari a quello delle scuole statali nell’erogare un servizio pubblico. Ma essere fornitori di un servizio pubblico non rende enti pubblici, non dà diritto né a sgravi fiscali né a sovvenzioni statali, per tacere dell’art. 33 della Costituzione che dice: “Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole e istituti di educazione, SENZA ONERI PER LO STATO”. E tuttavia l’espressione linguistica del termine “paritarie” e il richiamo continuo alla “sussidiarietà” hanno consolidato negli anni la situazione di privilegio di cui godono le scuole private, ma anche creato situazioni paradossali come avvenne nel 2012 quando l’UAAR ha denunciato pubblicamente la differenziazione di trattamento all’interno delle stesse scuole private: le scuole laiche erano obbligate al pagamento dell’Imu, le cattoliche ne erano esonerate. Nel clima mediatico esacerbato dopo le due sentenze della Corte di Cassazione di Livorno (il 63% degli istituti dell’infanzia sono religiosi) Gabriele Toccafondi (NCD) ha dichiarato “ molte (scuole) aumenteranno le rette o chiuderanno”, e dunque ha riconosciuto, anche se indirettamente, che in Italia lo Stato subappalta la scuola dell’ infanzia alle scuole private. Spinto da motivazioni strettamente ideologiche, Toccafondi, sottosegretario della Repubblica italiana, e con lui i suoi sodali, finge di ignorare che la Repubblica ha l’obbligo tassativo di istituire scuole di ogni ordine e grado affinché i giovani, formati sui principi della Costituzione, divengano cittadini rispettosi dei valori che hanno ispirato il dettato costituzionale nato dalla Resistenza: libertà, uguaglianza, solidarietà. Laddove il progetto educativo delle scuole private religiose rispecchia quello dei genitori degli studenti, cioè di un numero ristretto e selezionato di persone che, convinte di agire per il meglio, chiudono i figli in un orto delimitato dove non c’è confronto con altre idee, abitudini e stili di vita: una scelta più funzionale alla vita della comunità ecclesiale che non alla promozione dello spirito critico, della libertà di scelta e della solidarietà civico-politica. Se dunque i principi ispiratori delle scuole promosse dai privati sono diversi da quelli che stanno a fondamento della scuola pubblica, va riconosciuta la radicale, insuperabile diversità fra i due tipi di scuola, l’impossibilità di trattare da “pari” il pubblico e il privato. Nonostante il “sistema paritario integrato” introdotto da Berlinguer. E ci piacerebbe ascoltare da un alto rappresentante del clero cattolico le parole pronunciate da Soheib Bencheikh, ex imam di Marsiglia (Micromega n. 4/2015): “Prima di tutto la fede non è la religione. La religione è un insieme di credenze accompagnate da una pratica rituale. … La fede no, la fede riguarda il mistero, è inintelligibile. La fede non scaturisce da un’attività cerebrale. Non è una scelta. Io non posso dire ‘Ecco domani deciderò di essere credente o meno credente o più credente’. No, è come un germe che nasce dentro di noi, è in noi, è più forte di noi.”

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