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Quale scuola per quale società?

Quale scuola per quale società?

Dal blog di Rosangela Pesenti, una riflessione sulla scuola

Domenica, 05/07/2020 - Paura, prudenza, coraggio: abbiamo bisogno di accompagnare la sequenza dei nostri sentimenti fino a ritrovare l’azione che nasce dal cuore, mantenendo il pensiero in sintonia con il ritmo della vita che misteriosamente prescinde dalle nostre decisioni eppure ne è sempre condizionato.
Ci si chiede da dove e come ripartire e la risposta dovrebbe essere ovvia: dalla scuola perché lì sta crescendo il futuro.
Provo a tracciare un disegno.

La riforma mancata
Scuola, nel senso originario greco di Skholé, significa tempo libero e in questa direzione è stato pensato e conquistato, per ora parzialmente, il diritto allo studio, che possiamo interpretare prima di tutto come tempo liberato dal lavoro, e quindi dal lavoro minorile, dalle incombenze domestiche, dagli obblighi della condizione sociale e familiare, dalle limitazioni della condizione personale.
La scuola dovrebbe essere la strada per trasformare la casualità della nascita nell’armonia della vita di cui si diventa titolari alla ricerca di un’esistenza libera e appagante, cammino sempre individuale e imprevedibile che la società può solo facilitare.
Il diritto a un tempo in cui crescere, individualmente e insieme, per trovare la propria strada nel mondo.
Quindi la scuola non avrebbe bisogno di aggettivi, ma in questo momento serve accostare l’aggettivo “democratica” per indicare la direzione, perché la direzione consente di vedere la strada e aprirla camminando quando non c’è.
Il nostro mondo è un paese democratico che si è unito ad altri paesi democratici in un territorio geografico diventato configurazione politica.
La democrazia, come espressione di cittadinanza progressivamente egualitaria per tutta la popolazione abitante, è stata conquistata nella seconda metà del Novecento contro il progetto di una società gerarchica, sessista, classista, schiavista, razzista, che fascismo e nazismo pretendevano di sedimentare in Italia e in Europa, usando armi, violenza e guerra di conquista.
La repubblica democratica definita dalla Costituzione è nata dopo una guerra devastante, esito di vent’anni di regime fascista, a sua volta reso possibile da una forma di Stato tiepidamente liberale, diffidente nei confronti della libera espressione politica di contadini/e e operai/ie, cioè della maggioranza di popolo che pretendeva di rappresentare, ostile alla parità giuridica delle donne, (sempre più della metà di popolazione) che quindi sono state doppiamente sfruttate e ostacolate in tutti i mestieri esercitati, dall’agricoltura alle libere professioni, dalle lavandaie alle maestre.
La Scuola della Repubblica ha ereditato la struttura, i contenuti, l’impronta ideologica e l’impianto sociale definiti dalla legislazione dello Stato monarchico-liberale, ridefinita dalle riforme fasciste, espresse da un parlamento asservito alla dittatura, dopo l’espulsione e persecuzione di tutte le opposizioni e culminata nelle leggi razziste.
Gli aggiustamenti, che hanno percorso i settant’anni della Repubblica, risultato di sguardi lungimiranti, dibattito democratico, impegno generoso e diffuso di una parte significativa del ceto insegnante uscito dal laboratorio politico dell’antifascismo, hanno messo toppe, piccole o grandi, ma non sono riusciti a modificare l’impianto, rimasto sostanzialmente sessista, classista e perfino con aspetti razzisti, nei contenuti e nella struttura, tanto che non si sono stabilizzate le opportunità espresse dalla scolarizzazione di massa e le migliaia di buone pratiche introdotte, soprattutto negli anni ‘60-‘90 da un ceto insegnante competente, con generale convinzione democratica e convinte finalità socialmente egualitarie.

La controriforma strisciante
Sono bastate poche, ma determinanti, riforme strutturali (tra cui la riduzione del personale insegnante, l’accorpamento delle scuole, la gestione aziendale) e una campagna squalificante, fino al disprezzo, nei confronti degli/delle insegnanti per ridurre la scuola ad appendice del mercato e alla mercé delle famiglie, spesso disorientate e confuse, il primo assunto a regolatore delle vite considerate fin dall’infanzia capitale umano, le seconde incoraggiate a competere attraverso figli e figlie, ridotti a materia riproduttiva della posizione sociale raggiunta o sognata, responsabili dirette di successo o fallimento, con l’esito di un’enorme quota di lavoro invisibile attribuita, con un eufemismo politicamente corretto, ai genitori e alla loro genitorialità, di fatto alle madri.
La genitorialità e la famiglia, continuamente esaltate, sono state in realtà sottoposte a sfruttamento e a un controllo sociale che li ha resi terminali asserviti a supporto di tutte le carenze sociali.
Non stupisce che questo processo concorra a disincentivare il desiderio di mettere al mondo bambini e bambine perché il peso lavorativo per le donne, a fronte di tutte le incertezze, comprese quelle relative alla sicurezza del proprio lavoro, disegna un mondo al quale non si può mettere la toppa di qualche occasionale incentivo o bonus.
La scelta delle giovani donne è un implicito e collettivo giudizio politico sulla nostra società, esercitato anche grazie alla libertà di scelta conquistata dalle generazioni precedenti, di cui la scolarizzazione è stata motore, e segnala la permanenza di quel senso di responsabilità diffusa che ha contraddistinto la lunga storia femminile dentro la specie umana, esercitata in qualsiasi condizione.
Contemporaneamente su una scuola deprivata di personale e investimenti si sono riversate richieste educative impossibili aggiungendo vincoli e mandati in forma di progetti estemporanei (e miserabili salari aggiuntivi) che hanno ulteriormente deprivato il libero dialogo educativo con una costante mortificazione del ruolo insegnante.
Le generazioni cresciute a partire dagli anni ’90 hanno vissuto la ferocia dello slittamento da diritto allo studio a successo formativo camuffato sotto l’imperativo di efficacia ed efficienza, costrette/i dentro misurazioni di livelli, educate/i alla competizione, in corsa per quella selezione che la vita già di per sé impone con la sua onesta ferocia e che una civiltà democratica dovrebbe, appunto, correggere.
I tagli alle risorse scolastiche, in termini di personale prima di tutto e poi generati dall’omissione di interventi,
non hanno migliorato la tenuta economica del paese, anzi, il tesoretto risparmiato è stato completamente dissipato da molte pratiche deficitarie, per usare un eufemismo, sia pubbliche che private, con responsabilità politiche a cui si legano indissolubilmente quelle di tutta l’evasione fiscale e della criminalità organizzata.

Una scuola democratica
In una democrazia la scuola è il luogo centrale della riproduzione sociale, quindi uno spazio-tempo in cui imparare, insieme a tutti i linguaggi elaborati dalla cultura, la cooperazione, la gestione nonviolenta dei conflitti, il dibattito delle idee, l’esercizio dei diritti pari, le relazioni rispettose, l’accudimento e manutenzione dell’ambiente, la responsabilità del proprio agire e la cura delle persone con cui si vive, il rispetto per il lavoro a cominciare da qualsiasi lavoro di servizio.
Il rapporto tra spazio, tempo e persone, in relazione a ciò che una società vuole riprodurre, è il nodo cruciale che definisce la Scuola e ogni singola espressione dell’istituzione stessa che, accompagnando la crescita di bambini e bambine accanto a genitori famiglie territorio, offre un luogo egualitario che prescinde da ogni differenza di condizione, valorizzando l’unicità umana di ognuna e ognuno, la consapevolezza delle storie d’origine, la libertà come dimensione imprescindibile nel presente e nell’immaginare il futuro.
La scuola è prima di tutto relazione: tra collettività adulta e giuridicamente minore, in veloce mutamento tra infanzia e maturità; è un tempo della vita, ormai relativamente breve rispetto alla speranza di vita in Occidente, e una struttura del tempo; è costituita da luoghi, diffusi sul territorio, abitazioni e habitat formativo delle persone in crescita.
Quale società vogliamo è una domanda fondamentale per decidere come deve essere la scuola.

Una riforma che sia istituzione
È giunto il tempo di pensare a istituire la Scuola della Repubblica democratica e se, mentre mi accingo a scriverla, tremo, per la distanza tra la mia piccola vita comune, la limitatezza delle mie competenze e il compito che mi assumo, sento però di avere con me il bagaglio di tutto ciò che ho ascoltato da bambine e bambini, ragazze e ragazzi, colleghe e colleghi, i pensieri che abbiamo intrecciato, lo scambio tra le loro domande, perfino inespresse, e la pertinenza del mio sapere continuamente reinterrogato dalla realtà, le esperienze concrete vissute insieme, i progetti realizzati.
Ho imparato a scuola ad ascoltare e talvolta farmi argine contro l’invadenza di procedure persecutorie, persistenti e continuamente rinnovate anche se contraddette dal meglio del pensiero pedagogico e filosofico, disprezzato in nome di un aziendalismo che ha immaginato di ridurre la scuola a catena di montaggio per la selezione della forza lavoro adeguata e la scrematura di una classe dirigente asservita ai privilegi.
La scuola è centrale nelle pratiche riproduttive collettive della società perché è il luogo in cui si imparano regole procedure valori orientamenti linguaggi che si traducono in dispositivi inconsci del corpo e ne inducono i pensieri, riproducendo non solo i contenuti culturali in continuo mutamento ma le persistenze strutturali di una società, insieme alla percezione e definizione delle risorse che ne sostengono l’esistenza.
Le forme sono determinanti nell’espressione dei contenuti culturali, che sono mutevoli ma sempre risignificati dal contesto che li trasforma nell’agire umano.
Come in tutte le operazioni di riciclo si tratta di pensare un contenitore nuovo in cui riutilizzare, e al quale concorrono, tutte le pratiche che l’hanno già in parte prefigurato e perfino spesso realizzato nelle condizioni date.
Spesso le pratiche più utili alla crescita di una collettività democratica sono state realizzate nelle condizioni più difficili, costituendo un insieme di risorse che hanno sempre e comunque sostenuto il paese occupandosi con creatività della popolazione in crescita.

Abitare la scuola
La prima dimensione che conosciamo nella vita è lo spazio, il primo senso costantemente attivo, e che tale resterà per tutta la vita, è la percezione della pelle, quello che riduttivamente definiamo tatto, attivo anche mentre dormiamo, insieme all’olfatto che vive dentro il respiro, mentre gli altri sensi, vista udito gusto, riposano, e il nostro cervello rielabora la memoria insieme ai bisogni sognando.
Si nasce abitanti, della pancia di mamma, di una culla, delle braccia che ti sorreggono e dei supporti che le sostituiscono di cui fa esperienza varia il corpo. Poi via via abitiamo luoghi più grandi, impariamo a conoscerli e trasformarli, impariamo a inventarli, costruirli, perfino distruggerli, impariamo a nominarli, arredarli, renderli adeguati alla nostra vita reale e a ciò che ne pensiamo, perfino elaborando convinzioni che quella stessa vita, nostra o altrui, deformano e danneggiano.
Abitare è l’esperienza costante della vita umana e il nostro abitare ci rende anche nomadi tra case diverse e luoghi della socialità, lavorativa, di svago, di cittadinanza, che sono altrettanto fondamentali da abitare per la sperimentazione della libertà di esistenza.
Abbiamo imparato che lo spazio intorno a noi non è inerte ma habitat dentro cui muoviamo e interagiamo con la nostra esistenza costruendo la nostra storia.
Tra la coscienza fisica che abbiamo del nostro vivere e quello che definiamo ecosistema in senso lato, c’è la costante intercapedine dei luoghi che qualificano e definiscono il territorio abitato.
La scuola è un modello dell’abitare, istituzione recente e con accesso diffuso a tutta la popolazione da meno di un secolo, quindi interrogarsi sul modello dello spazio scolastico non è solo faccenda per architetti/e e vincoli di bilanci pubblici ma riguarda la forma materiale della riproduzione democratica.
Ad esempio se veniamo intruppati nella serialità dei banchi messi in file precise e rivolti alla cattedra per tutti gli anni dell’apprendimento scolastico impariamo che l’unico modo per esistere individualmente è quello di trovare collocazione nella scala delle valutazioni, in obbedienza alle pratiche correnti, o esprimere un ribellismo magari creativo ma poco incisivo con il rischio perfino di mutarsi in autolesionismo fisico o sociale, impariamo che la nostra esistenza più autentica è costretta a svolgersi sottobanco.
Se le aule colorate dai disegni, i lavori in gruppo, i banchi eliminati nel circle time, sono appannaggio della scuola d’infanzia ed elementare, man mano eliminati negli anni dalla scuola media alla fine delle superiori, la disciplina interiorizzata diventa anche una gerarchia delle discipline e l’indicazione di una gerarchia sociale tra lavori che diventa gerarchia delle intelligenze umane, delle competenze e alla fine riproduce la gerarchia sociale perfino contro il dettato Costituzionale che ha istituito la repubblica fondata sul lavoro, non sulla ricchezza o sul profitto e nemmeno sulla felicità, che può essere nobile auspicio ma resta responsabilità individuale e casualità della vita di cui la Repubblica deve garantire la possibilità comune e condivisa e non certificarne il diritto.

La scuola: una casa non una caserma
Nella scuola come luogo della riproduzione sociale lo spazio va ripensato tenendo conto della prima e fondamentale forma dell’abitare: la casa, dentro la quale la risposta ai bisogni individuali è sempre educativa Nella casa si modella il nostro modo di stare al mondo, stanze e mobili disegnano percorsi, danno forma ad abitudini che vengono rielaborate in convinzioni.
La separatezza delle case, luogo per eccellenza del privato, da tutti i luoghi pubblici, implica forme di convivenza famigliare e sociale spesso rigide, che riproducono perfino gesti e posture di regimi superati dalle leggi ma ancora operanti socialmente.
La scuola può diventare un modello che favorisce l’osmosi vitale tra spazi del privato, luoghi della socialità e luoghi istituzionali, favorendo inedite aperture e felici invenzioni.
Nelle nostre città e paesi ci sono molti edifici che sono stati riconvertiti a scuole e abbiamo già sperimentato che grandi ville e conventi sono più adeguati delle caserme o dei collegi progettati dal e sul modello militare.
La crescita è uno straordinario e stupefacente processo che muta il corpo in modo irreversibile nella sua capacità percettiva degli spazi che quindi devono essere adeguati alle fasi della crescita, che è sempre anche esperienza di connessione col mondo.

Scuola e conoscenza del territorio
La scuola può favorire la conoscenza del territorio attraverso lo scambio ospitale, mescolando le tante esperienze già presenti per il tempo libero e quelle dei periodi di studio, come il quarto anno dei licei in paesi stranieri, o come l’Erasmus universitario, generalizzando le esperienze per tutte e tutti come dimensione formativa con l’organizzazione stabile di momenti di scambio, in forma adeguata all’età e graduale come esperienza fin dal primo ciclo, con il coinvolgimento di tutta la comunità territoriale a partire dai Comuni e quartieri cittadini.
Le persone adulte conoscono il territorio attraverso la migrazione lavorativa o il viaggio per vacanze, la scuola può essere determinante per la conoscenza delle storie territoriali, che può ridurre gli stereotipi identitari e allargare gli orizzonti dentro cui pensare il proprio futuro.
Dalle passeggiate alla scoperta dell’ambiente in cui si vive all’apprendimento dell’uso dei mezzi pubblici in forma via via più autonoma per spostamenti nella provincia e regione, con un costante rapporto con le iniziative culturali, bambine e bambini, ragazze e ragazzi, possono crescere nella consapevolezza che tutti e tutte concorrono alla qualità della vita sociale, da cui derivano le opportunità di quella individuale.

Tempo
Il tempo, dimensione del nostro esistere nel mondo, è imprescindibile dalla spazialità e l’esperienza scolastica ne unisce inscindibilmente gli aspetti nella costruzione della nostra socialità.
Il tempo scolastico è una delle strutture portanti dentro cui siamo cresciute/i, a cui si assoggettano i sistemi famigliari e perfino, soprattutto un tempo, quelli produttivi, perché diventa una forma interiorizzata, una scansione dei giorni e delle stagioni, un ritmo dell’agire umano che, nel tempo della crescita, è anche passaggio da luogo a luogo.
Il tempo dell’esercizio del diritto scolastico deve essere di quindici anni, dai tre ai diciotto, senza interruzioni o ripetizioni, suddiviso in due cicli, dai tre ai dodici e dai dodici ai diciotto anni, con scansioni triennali che celebrano passaggi dell’età e costituiscono l’accesso a differenti apprendimenti.
Il diritto alla scuola deve essere connesso con un diritto educativo per i primi tre anni di vita, con l’organizzazione di nidi, con il diritto allo studio per la specializzazione in funzione lavorativa, per gli anni successivi, e con il diritto alla formazione permanente prevista e aperta a tutta la popolazione di ogni età e condizione.
Nella vita gli anni non si possono perdere né ripetere, come ben sappiamo, quindi lo stesso accade a scuola dove, come nella vita stessa, l’apprendimento resta anche responsabilità individuale, sempre e a qualsiasi età. L’insegnamento scolastico deve sostenere, favorire, sollecitare, consentire, stimolare, indurre, l’apprendimento, nella consapevolezza che ad ogni età si è responsabili della propria crescita.
La scuola dal lunedì al venerdì, dalle 9 del mattino alle 17 del pomeriggio, compreso il pranzo, come luogo in cui apprendere una socialità diversa e non contraria a quella famigliare, in cui scoprire il significato di regole condivise per la comune convenienza e non imposizioni autoritarie.
Rallentare i processi di apprendimento, rivedere i contenuti con il senso del limite e dell’opportunità sono le condizioni perché nella scuola cresca la cittadinanza democratica che necessita di un abbattimento delle procedure burocratiche e della funzione di controllo vincolante attribuito alle procedure.
I ritmi del lavoro scolastico devono consentire processi di verifica costanti, educativi e non assoggettanti o mortificanti, condivise e funzionali a possibilità di recupero e/o approfondimento in relazione alle storie individuali.
I ritmi scolastici devono liberare i genitori e tutte le figure che svolgono funzioni analoghe da vincoli di impegno e controllo mentre la legislazione deve prevedere l’adeguamento degli orari di lavoro di ogni genitore ai ritmi scolastici di figli e figlie.
Lo scambio tra famiglia e scuola non deve avere carattere valutativo ma solo affettivamente civile e celebrativo dei passaggi di età.
Il tempo scolastico è anche un tempo per la conoscenza del territorio, da quello più prossimo progressivamente a quello più lontano, della provincia, della regione, di altre regioni e di altri paesi.
Per la scuola è necessario un pensiero situato nel presente e in movimento verso quel futuro che ha continuamente sotto gli occhi chi svolge un mestiere che riguarda l’insegnamento.
In nessun luogo, come nella scuola, il passaggio del tempo è tangibile, i mutamenti imprevedibili nel succedersi delle generazioni, che presentano gli stessi bisogni nella straordinaria diversificazione individuale e connessione collettiva.

Spazio tempo soggetti
La dimensione delle scuole deve essere adeguata a un limite massimo e minimo di alunne e alunni in modo da consentire una gestione disegnata sul modello domestico e in relazione all’età.
Una divisione tra primo e secondo ciclo non deve significare separazione tra due mondi non comunicanti.
L’intero percorso scolastico va ripensato con scansioni temporali ma non in forme fisicamente segreganti.
Edifici vicini, anche con ambienti comuni, adeguati a gruppi classe con un rapporto di un/una insegnante per 4/10 bambine/i nel primo ciclo e di un/una insegnante per 8/15 allieve/i nel secondo ciclo.
Un modello architettonico più vicino al condominio che alla caserma, più gestibile anche sul piano della manutenzione e dei costi di funzionamento.
Non la scuola-fabbrica, separata dal territorio ma urbanisticamente inclusa.
L’esperienza del gruppo classe, che favorisce la collaborazione stabile, andrà accompagnata con lo scambio tra gruppi in relazione alle esperienze didattiche previste, anche con la costituzione di gruppi più piccoli e/o lavoro in compresenza, o incontri per gruppi costituiti da più classi fino alle assemblee generali, per le attività che lo richiedono.
Nell’arco della settimana vanno organizzate esperienze di mutuo aiuto, insegnamento, gioco, tra piccole/i e grandi e analogamente tra tutte le età per favorire la cancellazione della segregazione tra le diverse età della vita, favorire la responsabilità e la consapevolezza, promuovere l’apprendimento concreto di tutte le discipline umanistiche, che si misura e verifica nella capacità di dialogo maieutico a tutte le età.
Ogni scuola penserà l’organizzazione dell’esperienza del gruppo classe senza la costante segregazione tra le classi, con tempi spazi relazioni variamente condivise tra i diversi soggetti in relazione alle attività di apprendimento sia teorico che pratico.
Gli stessi piani annuali d’insegnamento andranno gestiti in modo da favorire lo scambio educativo tra le diverse classi di età, tra infanzia e adolescenza. Un’organizzazione del tempo scolastico in cui si diventa contemporaneamente allievi/e e insegnanti, coordinate/i e coordinatrici/coordinatori con rotazione dei ruoli in cui sperimentare inclinazioni, talenti, limiti e sempre responsabilità.
Uno spazio adeguato ad accogliere un tempo di gioco libero, compresa l’esperienza del gioco solitario e di gruppo, della noia e della libera invenzione, con una presenza adulta discreta e sempre relativa all’età dei soggetti che imparano la responsabilità di sé e del gruppo, la meraviglia delle scoperte e la frustrazione dei limiti alle risposte conosciute.
I mobili non devono diventare immobili, servono tavoli e sedie, ma anche tappeti cuscini divanetti poltroncine. Gli argomenti e apprendimenti non richiedono tutti la stessa postura e allenare la mente significa anche sperimentare il corpo.
Nella scuola occorre avere possibilità di un proprio spazio intimo senza dover essere segreto o segregato: un proprio armadietto, una sedia comoda, un appoggio per scrivere e un angolo per leggere. Non la serialità ma la creatività, compreso il riciclo di arredamenti e oggetti.
Le intuizioni praticate nella scuola dell’infanzia ed elementare possono trasformarsi a misura di corpi adolescenti e giovani senza perdere la qualità di attenzione e cura per l’ambiente, espressione della bellezza e delle storie di crescita e scoperta del mondo.
Igiene e sicurezza sanitaria non possono essere affidate solo a divieti e paure ma possono diventare abitudini di cura e rispetto che nascono da uno sguardo capace di vedere.
L’educazione ambientale, non si impara solo perché diventa parte integrante di programmi disciplinari, come qualsiasi nuovo modo di guardare il mondo, che sia scientifico, artistico, politico, può definire il modo di abitare la scuola, nell’uso e manutenzione degli spazi esistenti, nell’invenzione/ricerca di nuovi e inediti spazi, nella gestione condivisa degli spazi come bene comune di cui ogni soggetto può essere corresponsabile, nella connessione degli spazi, e quindi di chi li abita nel tempo scolastico, con il territorio in tutte le sue espressioni, sociali, culturali, economiche.
L’ambiente insieme all’uso del tempo e dello spazio sono la base del nostro vivere e quindi vanno sperimentati nella loro sostenibilità, utilità e libera apertura delle possibilità proprio nella scuola, luogo in cui si deve poter crescere con quella sicurezza e protezione di cui oggi si tende a vedere solo la dimensione difensiva, emergenziale e securitaria.
La passeggiata insieme alla scoperta del mondo, momento di studio nello svago e di svago nello studio, momento che consente la distrazione insieme alla concentrazione, il libero pensiero dentro il vincolo materiale della strada a cui fare attenzione, di compagne e compagni da sostenere o seguire, è esperienza fondamentale di sé e apertura alla conoscenza.
Giardinaggio, orto e cucina, nel paese del sole e del buon cibo, non possono essere solo discipline specialistiche e di indirizzo nella scuola superiore, ma il bagaglio culturale sviluppato e trasmesso nella vita quotidiana.
In ogni scuola sono necessari spazi adeguati ad accogliere momenti di studio, agito individualmente o liberamente insieme, secondo talenti inclinazioni desideri scelte personali.
Si tratta di trovare per ogni ciclo scolastico il numero aureo che consente ai soggetti di interagire e lavorare insieme cooperando nelle finalità educative.
Numero che riguarda il rapporto insegnati/allievi ma anche complessivamente il numero di persone che consente l’esperienza della gestione democratica e non verticistica, una dirigenza condivisa e collaborativa.
Allo stesso modo la gestione va ridimensionata, non grandi accorpamenti ma scuole piccole e diffuse sul territorio.
Noi, che pensiamo la scuola oggi, che destiniamo le risorse, non sappiamo nulla di ciò che quei bambini e bambine faranno della vita e per la vita ma abbiamo il dovere di rendere il loro meglio possibile, perché ciò che sapranno fare di meglio ci accompagnerà fino alla fine della nostra vita e sarà memoria di noi anche quando verrà dimenticato il nostro nome.

Condivisione e non segregazione dei percorsi
Un percorso unico fino ai 18 anni con spazi e tempi finalizzati a scelte autonome di approfondimento tra i 15 e 18 anni, senza nessuna segregazione classista o sessista tra scelte individuali e con progressiva sperimentazione del rapporto tra interessi personali e lavoro possibile alla fine del percorso, con percorsi di accesso a specializzazioni universitarie e non.
Una scuola che si fondi sulla convivenza e non sulla segregazione, con assunzione di responsabilità a tutti i livelli.
Condivisione di tutte le attività di manutenzione ordinaria e anche straordinaria, in relazione all’età, come momento di apprendimento guidato dal personale addetto.
Responsabilità condivisa nell’uso degli spazi, degli arredi e di tutto il materiale scolastico.
Ogni scuola dovrà avere una cucina e spazi per il pranzo gestiti con il contributo via via crescente dell’utenza come parte dell’apprendimento di autonomia personale e cura del proprio ambiente di vita, con momenti sempre più autonomi, in relazione all’età, di preparazione del cibo, che potrà essere variato in relazione ad una programmazione settimanale collettivamente gestita, come apprendimento della gestione domestica, che è lavoro indispensabile alla sopravvivenza.
Preparazione e consumo del cibo saranno inseriti dentro la conoscenza della filiera produttiva e delle forme di distribuzione, sperimentata anche direttamente nell’incontro col territorio e non solo veicolata dai testi.
In relazione con il territorio possono essere pensati anche piccoli ristoranti scolastici come luoghi di commensalità condivisa con la tipologia di popolazione che fruisce delle mense, lavoratori/lavoratrici, pensionate/i, amministratrici/amministratori, genitori ecc.

Essere/fare insegnante
Le/gli insegnanti avranno spazio e tempo per sé, oltre che collettivi, stanze personali e/o condivise in cui studiare, sperimentare e accogliere il gruppo con cui lavorare, dovranno quindi essere in numero adeguato perché il lavoro con la presenza di allieve e allievi non superi mai le due/quattro ore giornaliere per complessive 30 ore settimanali reali (con allieve/i e di lavoro personale), senza ulteriori incombenze da svolgere a casa se non per il proprio piacere e l’amore per il proprio lavoro.
Le responsabilità collegiali saranno elettive e a rotazione, con una permanenza di cinque anni al massimo in un ruolo di coordinamento, saranno sempre condivise da un minimo di due persone che lavoreranno in collaborazione con il personale amministrativo e tecnico, le/gli addette/i alla pulizia, manutenzione, servizio.
Nella scuola tutto il personale è insegnante, nel senso che ogni adulta/o ha responsabilità educative nei confronti di bambine e bambini, ragazze e ragazzi, sia dirette, nella comune collaborazione alla pulizia e manutenzione degli ambienti, affidata via via fino ad aspetti di completa autonomia dei soggetti con la sola supervisione del personale adulto, sia indirette, ad esempio nell’illustrazione e insegnamento dei criteri fondanti le procedure amministrative, la loro utilità e trasparenza, anche come funzione di indirizzo a future scelte professionali.
L’economia domestica, un tempo materia d’insegnamento che definiva la segregazione e identità femminili, è oggi fondamentale apprendimento di autonomia personale e capacità di cura del minuscolo ecosistema in cui materialmente viviamo.
Il personale delle pulizie organizza l’apprendimento pratico e i turni di collaborazione, quindi tutti i servizi entrano a far parte del percorso di apprendimento con distribuzione delle responsabilità.
In ogni attività relativa alle necessità quotidiane si sperimenta la collaborazione e la distribuzione dei compiti anche in relazione a inclinazioni e possibilità individuali, valutate insieme.
Non esistono disabilità e non esistono bisogni educativi speciali, solo riconoscimento delle differenze individuali e sostegno al loro sviluppo in tutte le forme e con le competenze conosciute. Il personale con specifiche competenze non svolge solo un lavoro specifico e segregante ma è risorsa per l’apprendimento comune.
L’apprendimento di ogni disciplina sarà inserito in un contesto di cura e sperimentazione della propria autonomia insieme allo sviluppo di manualità fine attraverso attività artistiche anche finalizzate alla vita comune nell’ambiente, dall’uso dell’ago per cucire e del martello per mettere un chiodo fino a tutte le tecnologie in continuo mutamento e sviluppo favorendo l’acquisizione delle competenze da parte del personale e/o l’assunzione di personale.

Corpo che sente, percepisce, pensa, agisce
Il corpo dev’essere protagonista dell’apprendimento nell’uso e manutenzione degli ambienti, nello sviluppo della manualità fine, che si apprende digitando una tastiera come imparando a scrivere con pennino e inchiostro in bella calligrafia, nella possibilità di sperimentare danza, canto, teatro, strumenti musicali, attività sportive, ma anche utilizzo di strumenti di lavoro nelle mille forme dell’artigianato, dell’edilizia, dell’industria, fin dall’infanzia e per tutta la durata della scuola, con possibilità di trovare occasione e supporto per sviluppare ogni talento anche con scambi tra scuole.
In particolare, l’esperienza e la scoperta del corpo non possono essere affidate solo alle attività sportive e lo sport non può coincidere solo con pratiche competitive, esperienze importanti che non possono diventare totalizzanti, quindi danza e teatro devono essere esperienze altrettanto fondamentali, come le molte tecniche manuali, anche tenendo conto della cultura italiana conosciuta ovunque.
Cantare in coro e suonare in un’orchestra, mettere in scena un lavoro teatrale, sono esperienze che non metaforicamente esprimono le aspirazioni della vita democratica nella percezione di sé dentro la collettività e richiedono una serie di lavori invisibili che possono invece diventare visibili nella loro necessità per la buona riuscita di un progetto.
Allo stesso modo la riflessione filosofica e le grandi domande esistenziali, così presenti proprio nell’infanzia e adolescenza, devono essere a disposizione di chi ha talento e inclinazione per ogni tipo di lavoro, da quello di cura e acconciatura dei capelli, per fare un esempio, a chi metterà mattoni in fila, o getterà asfalto sulla strada, come di chi sceglierà l’approfondimento speculativo che potrà diventare specifico lavoro.
Tutti i saperi, gli alfabeti, le arti, le scienze devono essere a disposizione, in una scuola dove si impara insieme la manutenzione dei sentimenti, il riconoscimento e la gestione di dolore e gioia, rabbia e paura, della vita nella sua dimensione di scoperta e mistero, dialogo e silenzio.
Il tempo dell’apprendimento ha un ritmo individuale che può essere prescritto solo in parte e va scoperto e sperimentato fino alla gestione autonoma, che significa anche capacità di riconoscere i propri limiti e la qualità d’intervento dell’insegnante.
Donne e uomini insegnanti nella scuola devono essere capaci di accompagnare allieve e allievi nell’apprendimento dei contenuti, delle discipline, dei saperi insieme alla scoperta di sé, della trasformazione di corpi, desideri, sentimenti, bisogni, aspettative, tra infanzia e adolescenza e fino alla maturità, capaci di accompagnarli nella scoperta e gestione delle differenze, a partire da quella fondamentale tra femmine e maschi fino a tutte quelle significative per i soggetti nel confronto costante con le narrazioni storiche e sociali delle differenze stesse.
Bambini e bambine, ragazze e ragazzi, devono trovare nella scuola il luogo accogliente e protetto in cui la scoperta di sé può misurarsi liberamente con i modelli sociali e famigliari, le storie di genere e di generazione, sperimentando sempre responsabilità e rispetto per la comune qualità umana dell’alterità.
Siamo sempre altra e altro dentro similitudini, uguaglianze, condivisioni della comune appartenenza umana.

Valore retribuito
La questione del denaro non è solo necessità per la vita ma anche indicazione di valore e riconoscimento sociale perciò è particolarmente complicata da definire, così come i criteri di assunzione e i ritmi di lavoro.
Mi limito a qualche tratteggio.
Le/gli insegnanti saranno assunti in relazione al ciclo scolastico, con le specializzazioni previste, e svolgeranno tre anni di tirocinio, il primo orientativo, per acquisire la conoscenza della scuola, il secondo e il terzo nella sede e nel ciclo scelto, con stabilità nello stesso posto per i tre anni successivi. Dal secondo anno l’assunzione sarà a tempo indeterminato.
La parola stipendio ha, nella storia etimologica, il significato di soldo pesante, ed era in origine la paga militare; nell’uso, ha uno sfondo da colletti bianchi, divisioni sociali tra classe operaia e ceto impiegatizio, bancari asserviti ai segreti immondi come i preti che un tempo, e ancora oggi, raccoglievano decime e prebende.
Militare e divisione sociale non vanno bene con la scuola democratica.
Compenso viene dal latino compensare, eguagliare nel peso e anche qui non ci siamo perché tutti i lavori della riproduzione non sono del tutto misurabili col denaro, che ha un’ascendenza di equivalenza materiale mentre i lavori della riproduzione hanno un valore sociale, che quindi va definito in relazione a ciò che la società considera valore da riprodurre.
I lavori della riproduzione tengono in vita, salvaguardano la vita, non danno profitto.
Nelle società schiaviste e classiste il valore delle persone non è identico, tanto che l’investimento economico per la scuola stessa è fortemente diversificato in ragione dell’appartenenza famigliare della prole. Attualmente continua ad esserlo, in forma implicita, perfino nella scuola dell’obbligo, con le differenze materiali delle scuole stesse.
Se vogliamo che la guerra esca davvero dalla storia, per restare solo nei libri come memoria delle orrende stranezze del passato, dobbiamo sfrattare il militare dalla lingua e dalle metafore.
La parola salario è più bella con il suo riferimento all’antica razione di sale come bene necessario, poetica e indispensabile cristallizzazione nascosta nella storia terrestre o disciolta nel mare di cui oggi abusiamo.
Retribuzione, sembra parola più pulita e adeguata: nel vocabolario Treccani è “il compenso a carattere continuativo corrisposto per la prestazione di lavoro subordinato, la cui misura deve essere, per dettato costituzionale, proporzionale alla quantità e alla qualità del lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare al lavoratore e alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa”.
Il significato così descritto va certamente specificato e approfondito: prima di tutto si tratta di lavoratrici e lavoratori, poi il riferimento alla famiglia dev’essere alle famiglie reali e non a quello stereotipo di padre lavoratore con moglie casalinga e figli a carico che ha coperto e rimosso la complessità già al tempo in cui è stato coniato; la proporzionalità in relazione alla quantità di lavoro è complessa ma risolvibile con la traduzione in tempo di lavoro, mentre per la qualità è molto più complicato.
Nell’idea corrente del lavoro l’attività di pulizia è qualitativamente inferiore all’attività notarile, anche se si può vivere senza notai, senza lavoro di pulizia no.
La qualità del lavoro a scuola sarà definita collettivamente secondo il meglio possibile, senza differenze nell’erogazione a favore di bambini e bambine, ragazzi e ragazze, le cui attività e benessere non possono essere affidate alla discrezionalità di qualche salario aggiuntivo.
Nella scuola il tempo di lavoro sarà stabilito in 25 ore settimanali da svolgersi in cinque giorni, che possono comprendere, in determinati periodi e/o per determinate attività, tutti i giorni della settimana con un’organizzazione adeguata a garantire sempre i cinque giorni settimanali lavorativi del personale.
La retribuzione iniziale sarà pari al valore della somma, ai costi correnti del mercato, di una quota per affitto e spese di abitazione, una quota per consumi quotidiani, una quota per spese annuali e/o ordinarie, una quota per spese straordinarie, una quota per ogni figlio a carico o altra persona di famiglia che non ha reddito proprio, una quota per ogni animale domestico a carico.
La retribuzione varierà solo con scatti di anzianità ogni cinque anni, in relazione all’economia generale del paese per quanto riguarda assistenza sanitaria e assistenza domiciliare dopo il pensionamento.
La retribuzione sarà uguale per ogni ciclo scolastico e mansione.
Nel corso del lavoro il personale potrà specializzarsi anche al fine della possibilità di cambiare ruolo e mansione ogni cinque anni. Il cambiamento sarà inizialmente parziale per consentire la riqualificazione e il passaggio di mansioni che dovranno essere sempre adeguate al benessere fisico di tutti i soggetti e alle loro relazioni, dentro una circolarità virtuosa del rapporto tra acquisizione e/o approfondimento di competenze e diverse età della vita.
Ogni dieci anni sarà previsto un anno “sabbatico” da dedicare alla scuola senza la presenza di allieve e allievi, che potrà essere utilizzato anche per apprendimento, ricerca, riqualificazione, libero studio.

Pensare e agire insieme
La collettività adulta organizza le attività definendo autonomamente il tempo necessario nell’arco del proprio tempo di lavoro e fuori dal tempo strettamente scolastico, che va definito anche in relazione alle differenze climatiche e territoriali dalle autorità preposte.
La frequenza scolastica deve essere gratuita per tutte e tutti, indipendentemente da qualsiasi condizione giuridica e sociale di nascita dai tre ai diciotto anni, compresi libri e altre dotazioni tecniche, che saranno assegnate in uso libero, in comodato d’uso o presenti nella scuola per utilizzo e consultazione collettiva.
Le dotazioni personali potranno essere liberamente usate e restituite solo se riutilizzabili. La cura di tutto il materiale sarà responsabilità collettiva come parte del processo educativo.
La qualità della scuola non è costituita da protocolli e procedure ma da linee guida chiare ed elastiche definite nel processo decisionale democratico di ogni scuola, dentro cui tutte e tutti concorrono alla lettura dei bisogni e alla progettazione.
Il modello domestico è un paradigma flessibile capace di rispondere alle esigenze costanti e continuamente mutevoli della sopravvivenza umana.
I termini aziendali e mercantili sono inadeguati nella descrizione di ciò che accade a scuola e in tutti i processi della riproduzione umana che sono continuamente divergenti rispetto alle previsioni.
Bambine e bambini hanno bisogno di uguaglianza di risorse e opportunità, non di ingabbiamento nella serialità.
Nell’apprendimento non c’è profitto ma piacere, e la fatica è sperimentazione delle proprie possibilità e limiti. Le persone investono ma non sono un investimento quindi non c’è rendimento e nemmeno crediti o debiti nel processo di formazione, che non è misurabile con modelli quantitativi ma valorizzabile solo qualitativamente.
La scuola è qualcosa che si fa, giorno dopo giorno, anno dopo anno, con responsabilità e cura, come parole che guidano e orientano.
La scuola è tempo libero dalla costrizione, dalla mortificazione, dall’emarginazione, dalla segregazione, dalla coazione al consumo, dall’aspirazione al successo, dalla competizione, dalla dipendenza, dai sensi di colpa, dai ricatti affettivi.
La scuola è un tempo liberato per il piacere di conoscere, stare insieme, scoprire, imparare, scambiare saperi ed esperienze, per inventare occasioni e incontri, per ascoltare e parlare, per condividere fatiche, emozioni, silenzi, storie, per costruire luoghi solidali e culture di pace, per conoscere, pensare, trasmettere, agire le culture cancellate delle donne a cominciare dalla memoria della tante esistenze individuali dentro le storie collettive e come genere nella specie umana, per scoprire dentro la storia ampia e complessa dell’appartenenza umana la possibilità di relazioni che interroghino le costruzioni identitarie e il potere che ne deriva.
Una scuola di donne e uomini che sanno riconoscere e riconoscersi, sperimentare il limite con il valore dell’accettare e superare, consapevoli del tempo nel suo divenire.
Una scuola democratica non garantisce né prescrive sentimenti o modi di essere, se non la libertà di ricerca accompagnando la scoperta della vita nella sua dolorosa, gioiosa e perfino noiosa complessità.

Un rapido processo di cambiamento
Una società non si cambia dal vertice, se non con progetti autoritari che non sono mai socialmente convenienti per la stragrande maggioranza della popolazione, come la storia ha dimostrato.
La scuola è l’istituzione che orienta il divenire sociale e prefigura ogni cambiamento.
La sostenibilità ambientale della vita umana, la convivenza pacifica, l’equa distribuzione delle risorse, il necessario riconoscimento dei conflitti e la loro gestione in funzione del bene collettivo e condiviso, la necessità di misurarsi con l’eredità di ingiustizie secolari che non possono essere semplicemente rimosse, la liberazione dallo sfruttamento nel lavoro e la liberazione del tempo umano dal lavoro, il riconoscimento di tutto il lavoro non riducibile e la sua ripartizione in tempi e attività non mortificanti dell’esistenza umana sono le grandi questioni del presente che le prossime generazioni dovranno affrontare attraverso il sapere scientifico e gli stili di vita, il sapere specialistico e il tessuto complesso e diversificato delle relazioni umane, i mezzi di comunicazione più innovativi e la consapevolezza delle connessioni vitali sul pianeta, a partire dalla mescolanza tra differenze genetiche nella gestazione e nascita da un grembo di donna.
La possibilità di affrontarli in modi non distruttivi è affidata a quanto avranno imparato nel tempo della loro crescita fino alla maturità e molta parte di quel tempo sarà a scuola.
Tutti i contenuti potranno essere oggetto di studio, compresa l’idea gerarchica e non egualitaria delle persone, ma non tutti i contenuti potranno ispirare le pratiche scolastiche, dalle forme dell’abitare la scuola alle relazioni interpersonali dentro i ruoli svolti. Una società democratica non può essere riprodotta da una scuola che nega la democrazia, l’uguaglianza dei diritti e delle possibilità, la libertà e dignità personale: sarebbe una pericolosa contraddizione.
La scuola come tempo libero fino alla maturità si aprirà a diventare scuola permanente con e dentro ogni territorio, occasione di costante confronto e approfondimento, dimensione del vivere nello scambio culturale che segna e modifica il vivere comune, sarà quindi in costante dialogo con i vari luoghi di cultura insieme a quelli dell’economia nell’ottica della sostenibilità ambientale, della sobrietà nei consumi, della bellezza condivisa.
Non sto scrivendo un astratto libro dei desideri ma un racconto del possibile che raccoglie dalla concretezza dell’esistente e chiede giustizia e giustezza delle scelte sulle quali convenire per comune e condivisa convenienza.
Se la scuola è il luogo delle generazioni possiamo pensarla dentro una crescente capacità generativa e allo stesso modo pensarne la trasformazione pur nell’urgenza del presente, che è storica prima che occasionale.
Da dove cominciare? Per prima cosa da un generale, diffuso e immediato adeguamento dell’organico e degli ambienti insieme al ripristino delle procedure democratiche cancellate dal modello aziendale costruito da continue e parziali deformazioni nell’ultimo ventennio, i cui esiti deleteri sono visibili nella diffusione delle dipendenze di ogni tipo malamente affrontate da interventi riparatori ad opera di un privato sociale non sempre limpido.

Davvero non è possibile?
Va cominciato da subito un processo costituente che si orienti sul dettato costituzionale e consenta la ricognizione di tutte le sperimentazioni e pratiche che hanno sostenuto la scuola in questa direzione.
Questo è solo un disegno tratteggiato, che va riempito di colore e dettagli.
Ri-formare la scuola significa adeguare gli asili nido e l’università con lo stesso modello e le differenze necessarie e lo stesso sarà per il lavoro dei genitori.
Il mondo del lavoro dovrà adattarsi alla scuola sia per quanto riguarda l’attività dei genitori di bambini e bambine, sia in un interscambio virtuoso con tutto il settore della mobilità, delle infrastrutture e le filiere produttive, dall’energia all’abbigliamento, dall’agricoltura alla cultura.
Se possiamo pensarlo significa che può diventare possibile; dobbiamo ricordare che volare è stato a lungo un vago sogno e impresa derisa e che qualcuno, solo pochi anni fa, disse che i computer non avevano futuro.
Per una Scuola democratica esistono già i microchip diffusi sul territorio, se vogliamo usare una metafora tecnologica che può rappresentare, nell’immaginario giovane, quell’energia vitale e creativa che già esiste dentro ogni singola scuola e nel futuro, sconosciuto, che già oggi sta crescendo accanto a noi.
Non si tratta di inventare qualcosa che non esiste ma di favorire processi che già vivono nelle nostre esperienze, intuizioni che pratichiamo, consentire lo sviluppo di ciò che tiene in vita già oggi perfino contro direttive che la mortificano e contrastano.
Affrontare la questione della disuguaglianza partendo dalla scuola significa sostenere concretamente famiglie in cui ci sono genitori con difficoltà, dai/dalle migranti a qualunque condizione in cui ci si trovi a vivere la genitorialità, favorendo processi di integrazione, abbassando il possibile contenzioso nelle separazioni, offrendo una condizione di eguaglianza a chi, per vari motivi, non convive con genitori.
Offrire una scuola di livello qualitativo alto e generalizzato significa abbassare il ricorso a scuole private che generano sempre differenze sociali e raramente promuovono esperienze di vita laica e democratica, significa quindi abbassare il tasso di ansia genitoriale, propria anche dei ceti più benestanti, favorendo un’assunzione di responsabilità depurata da fatiche inutili, investimenti impropri e confusione tra affetto e possesso.
Liberare i genitori dall’attuale prescrizione di accudimento scolastico, quasi sempre richiesto alle madri, e mantenimento agli studi, che dipende sempre dal reddito, può favorire una genitorialità più affettiva che costrittiva anche attraverso confronto e circolazione di esperienze.
Cominciare dalla scuola significa affidare la possibilità di una società egualitaria nei diritti al lavoro delle generazioni future attraverso una transizione morbida e creativa che non cancella i conflitti occultandoli ma ne consente una gestione non distruttiva e una risoluzione attraverso il rinnovamento delle soggettività in gioco.
Mettere la scuola al centro significa riprogettare la salute collettiva sul territorio in costante relazione con la produzione di risorse dentro un sistema produttivo e di servizio orientato alla sostenibilità ambientale e urbanistica, significa attivare tutte le risorse del territorio orientandole alla vita delle generazioni in crescita, che è l’unico modo per pensare davvero al futuro, di cui non sappiamo niente, ma possiamo immaginare.
Così come la mortificazione della scuola è stata determinante per l’aumento del precariato e delle disuguaglianze sociali in poco più di vent’anni, allo stesso modo potrebbe crearsi tra scuola e società lo stesso circolo virtuoso già innescato a suo tempo dalla scuola media unica e la liberalizzazione dell’accesso all’università, processi che hanno favorito una cittadinanza consapevole con progressiva richiesta di diritti e della loro esigibilità insieme a innovazione produttiva in molti settori artigianali/industriali e crescita competente in tutti i settori.

Pensare è un gioco forse inutile ma non distruttivo
Sono consapevole che misurarsi davvero con la riforma della scuola per la Repubblica democratica non può mai essere impresa individuale, anche perché richiede uno studio attento dei dati e una ricognizione delle tante differenze dentro l’enormità dei dati; inoltre vanno considerate tutte le compatibilità legislative insieme a tutta la dimensione contrattuale relativa al personale, che non può essere penalizzato, più di quanto non sia già, in corso d’opera.
Ho scritto rispondendo a una richiesta che ha sollecitato il mio desiderio di misurarmi con qualcosa che andasse oltre la mera critica dell’esistente, sempre decisamente più facile dell’immaginare qualcosa che non c’è.
Ho scritto per evocazione e a una prima lettura può sembrare davvero il mondo dei sogni, eppure questo mondo io l’ho visto realizzato, negli anni, in mille pratiche d’insegnamento capaci di opporsi in forma creativa alle imposizioni distruttive, alla mortificazione delle competenze insegnanti, alla distorsione della realtà a favore dell’apparenza, l’ho visto riprodursi nella contaminazione delle idee, nell’invenzione didattica, in una miriade di pratiche sommerse, nell’intelligenza di mille progetti, spesso quelli non esibiti nelle passerelle delle eccellenze ma realizzati e vivi nelle vite di ragazzi e ragazze, bambini e bambine, pratiche e progetti che hanno generato quel benessere socialmente equo che è la vera ricchezza di un paese e che vediamo diffusa nel nostro.
Mi trovo a scrivere in un momento storico in cui la realtà stessa costringe a ripensare il rapporto tra tutto il personale della scuola, il numero di allievi e allieve, gli ambienti scolastici: servono più aule, più insegnanti, più personale per le pulizie, più strumenti: dai giochi per la scuola d’infanzia ai computer.
I sogni sono sempre rielaborazione della realtà e, qualche volta, prefigurazione.
La salute, e la vita, che abbiamo collettivamente scoperto come priorità, non possono essere tutelate solo con pratiche di controllo e segregazione, ma richiedono altre forme organizzative e un addestramento costante e crescente alla responsabilità individuale e di gruppo.
Mi fermo perché non voglio passare da un bel gioco al delirio, non ho nessun potere e come insegnante sono un’ex le cui competenze sono considerate inutili, perché l’attuale segregazione per età non prevede un’uscita lenta dal lavoro con possibilità di trasmissione tra generazioni di insegnanti.
Ho un bel ricordo degli anni di insegnamento e delle mie classi, ma non mi mancano le generazioni di adolescenti, per le quali ormai ho l’età di una nonna; chiacchierando talvolta con giovani insegnanti mi rendo conto che potrei essere un utile servizio di consulenza e sostegno.
Rileggendo quanto ho scritto i pensieri si allargano perciò mi fermo, consapevole di buchi e lacune e soprattutto senza nessuna risposta in merito alla possibile utilità di questo esercizio di scrittura., ma questo vale per la maggior parte delle parole.
Una delle cose più importanti che ho imparato, e ho cercato di insegnare, è la domanda sulla credibilità.
Per capire il valore di una proposta dobbiamo sempre chiederci se viene avanzata da una persona credibile e la credibilità non è certificata solo dai documenti scolastici ed è molto più di un curriculum perché riguarda l’intera vita.
Sulla vita infatti non si può imbrogliare, per questo la credibilità, l’affidabilità, di una persona, non ha un punteggio, o c’è o non c’è, non può essere dichiarata da sé ma solo verificata da altre e altri e il giudizio è, di fatto, insindacabile.
In un tempo in cui i mezzi di comunicazione ci inducono a creare la nostra immagine, e valutarla con il numero di like, la ricerca della credibilità di una persona è simile al lavoro archeologico: fatica, tecnica e capacità di interpretazione. Serve una vera passione per l’umanità, non generica ma, per quanto mi riguarda, a cominciare dall’appartenenza a un sesso, quello femminile, su cui non smetto di interrogarmi. Ma questa è un’altra storia.

Articlo di Rosangela Pesenti pubblicato il 4 luglio 2020 nel blog 

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