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Polonia - La svolta a destra della 'Le Pen' polacca

Polonia - La svolta a destra della 'Le Pen' polacca

- Beata Maria Szydło, vicepresidente del partito polacco “Diritto e Giustizia” che ha vinto le elezioni politiche dell’ottobre 2015, è la nuova premier

Cristina Carpinelli Venerdi, 08/01/2016 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Gennaio 2016

Figlia di un minatore, Beata Szydło* era stata indicata da Jarosław Kaczyński (già premier dal luglio 2006 al novembre 2007 e gemello del defunto presidente Lech Kaczyński) come candidata alla presidenza del Consiglio dei ministri alle elezioni generali dell’autunno 2015. Dal 16 novembre è primo ministro della Polonia.

Ma chi è, e soprattutto cosa rappresenta per la Polonia, questa donna di umili origini, laureatasi in Etnografia all’Università Jagellonica di Cracovia nel 1989* e assurta ad una delle massime cariche del Paese dopo una brillante e rapida carriera politica? Con la sua nomina, a seguito della vittoria schiacciante del partito “Diritto e giustizia” (Prawo i Sprawiedliwość- PiS), la Polonia, non c’è dubbio, ha di nuovo svoltato a destra. “Diritto e Giustizia” è una forza politica ultra-cattolica, molto vicina al tradizionalismo dell’episcopato polacco. Di stampo nazionalista e populista, questo partito ha potuto contare su un movimento di base molto solido.

 Infatti, proprio a questo movimento di base - deluso dai centristi di Piattaforma civica, accusati di averlo escluso dai benefici del boom economico nazionale - Beata Szydło si è rivolta, promettendo di guardare alle campagne e ai cittadini più svantaggiati, spesso senza un lavoro, e non alle arricchite élite urbane. Dal 2004, anno dell’ingresso della Polonia nell’Ue, il Pil di questo Paese è quasi raddoppiato ed il volume delle sue esportazioni nel mercato comunitario è aumentato di tre volte tanto. Proprio per le performance della sua economia nell’ultimo decennio, la Polonia è stata definita la “Tigre dell’Europa centrale”. Eppure, alla crescita costante dell’economia non è corrisposta un’equa distribuzione della ricchezza: grandi profitti per le imprese trainate dall’export e bassi salari e stipendi per i ceti popolari. A questo si aggiunga che la Polonia rimane tra i Paesi europei con la più bassa spesa per la protezione sociale.

Allineata alle destre radicali europee, l’etnologa Beata Szydło ha impostato la sua campagna elettorale sulle ingiustizie sociali, basandosi su un approccio statalista (rilancio della crescita attraverso gli investimenti pubblici) e su un sovranismo ostile all’Ue e, da ultimo, sfruttando il dramma dei profughi visto come un pericolo per la sicurezza, l’identità e perfino per la salute dei polacchi. Vergognoso, poiché stiamo parlando di un Paese di 40 milioni di abitanti a cui l’Unione europea ha chiesto di accogliere poco più di settemila profughi. Nonostante il diffuso sentimento cattolico e cristiano, le posizioni nei confronti dei migranti e dei profughi sarebbero state escludenti - come hanno dichiarato diversi esponenti del suo partito (PiS). Il modello da importare, a cui la candidata premier ha più volte fatto riferimento nel corso della campagna elettorale, è quello ungherese xenofobo ed euroscettico di Orbán: “Portiamo Budapest a Varsavia”. Sui temi socio-economici, Beata Szydło ha promesso diverse cose: introduzione di nuovi sussidi per le famiglie con più figli (bonus di 500 zloty al mese, equivalenti a 125 euro, per ogni bambino dopo il primogenito fino ai 18 anni); abbassamento dell’età pensionabile portata dai liberali a 67 anni (65 anni per gli uomini e 60 per le donne); medicine gratuite per i pensionati; innalzamento della soglia di reddito esentasse; introduzione di un salario orario minimo, che oggi non esiste; tassazione speciale sulla grande distribuzione, sulle banche e le transazioni finanziarie; controllo statale sulle imprese strategiche; diminuzione delle imposte sul reddito delle persone più povere; abbattimento dal 19 al 15% della tassa per le piccole imprese; mantenimento di alcune prerogative per gli agricoltori, ecc.

Oltre a quelle economiche e sociali, Beata Szydło ha messo sul piatto anche altre questioni: riorganizzazione in senso autoritario dei poteri dello Stato, con l’esplicita previsione che il presidente della Repubblica possa governare per decreto, mettendo la magistratura sotto il controllo dell’esecutivo, condizioni più restrittive in materia di controllo delle nascite, accesso più difficile alla fecondazione assistita, sterzata confessionale nel campo dell’educazione e dei diritti civili con il rafforzamento del ruolo della catechesi nell’ambito del sistema scolastico, dimostrando come l’impronta cattolica e conservatrice sarebbe stata sempre più un elemento caratterizzante della sua politica, fino all’idea di introdurre la religione come materia per l’esame di maturità.

Il programma elettorale di Beata Szydło è stato vincente perché ha puntato dritto al welfare, che manca in Polonia da 20 anni. Diversamente dalla precedente politica del partito tutta incentrata su “Dio, patria e famiglia”, questa campagna elettorale ha puntato anche e soprattutto su “più stato sociale e politiche redistributive”. Nei documenti ufficiali del partito ricorre spesso l’espressione “prawo do równości” (diritto all’uguaglianza).

Beata Szydło era la donna perfetta per assicurare la vittoria “bulgara” del suo partito (la Szydło regge il primo governo monocolore nella storia polacca dalla caduta del comunismo). Innanzitutto, non dobbiamo dimenticare che “Diritto e giustizia” nasce da una costola di Solidarność, il movimento, poi sindacato cattolico, fondato in Polonia nel settembre 1980 in seguito agli scioperi nei cantieri navali di Danzica. Beata Szydło, nata 52 anni fa a Oswiecim (il nome polacco di Auschwitz), è cresciuta a Brzeszcze (non lontano dal paese natio), nel cuore del bacino carbonifero dell’Alta Slesia, terra di miniere e croci all’ombra della cattolicissima Cracovia. Il ruolo di Solidarność nelle lotte dei minatori della Slesia per migliori condizioni di lavoro è stato decisivo. “Papà era un minatore” ha più volte ripetuto in campagna elettorale con orgoglio, ricevendo subito il crisma dell’investitura popolare, in particolare nelle aree a Est e nelle regioni più povere e rurali del Paese, dove hanno scelto in massa il PiS.

Si è fatta le ossa in politica come sindaco della sua Brzeszcze, dove ha “dimostrato che anche una donna è capace di fare”. L’esperienza di primo cittadino le ha consentito di sviluppare le sue capacità amministrative unite allo stesso tempo alla sua attenzione verso i bisogni sociali. Il presidente della Polonia, Andrzej Duda, subito dopo le elezioni presidenziali dell’estate 2015, aveva dichiarato a Radio Cracovia che la Vice presidente del PiS, Beata Szydło, candidata premier per le elezioni di ottobre, “sarebbe la persona giusta al posto giusto” (“Beata Szydło nadawałaby się doskonale do roli ... taka osoba byłaby właściwą osobą na właściwym miejscu”). E l’ex premier, Jarosław Kaczyński, alla domanda: ‘Chi è Beata Szydło?’ (“Kim jest Beata Szydło?”), aveva, invece, risposto durante una conferenza stampa: “è davvero notevole, pur restando una tipica donna polacca” (“Jest zupełnie niezwykłą, a jednocześnie zwykłą polską kobietą”).

#foto5dx# Utilizzando un linguaggio “moderato”, tale da ribaltare l’immagine aggressiva che il partito aveva assunto all’epoca dei gemelli Kaczyński, e toccando il vero punto critico dopo gli otto anni di un governo accusato di aver perso il contatto con i figli della Polonia, Beata Szydło si è guadagnata il consenso popolare per “affidabilità e patriottismo”. E si è messa subito al lavoro con l’incarico di nuovo primo ministro, affermando che “il buon cambiamento comincia dall’ascolto”….







* Nel 1995 è diventata dottore di ricerca presso l’Università Jagellonica di Cracovia; nel 1997 ha completato gli studi post-laurea in management culturale alla Scuola Economica di Varsavia e nel 2001 in gestione del governo locale nell’Ue presso l’Accademia Economica di Cracovia. È stata borsista del Dipartimento di Stato americano nell’ambito “dell’International Visitors Programme”.





 

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