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Perché la multa ad Apple è (anche) una questione femminista

Perché la multa ad Apple è (anche) una questione femminista

La stangata di 13 miliardi che la UE ha inflitto ad Apple per le tasse che non ha pagato in Irlanda ci ha dato un vago senso di sollievo...

Martedi, 13/09/2016 -
Ammettiamolo. La stangata di 13 miliardi che la UE ha inflitto ad Apple per le tasse che non ha pagato in Irlanda ci ha dato un vago senso di sollievo. I cittadini, le cittadine e le aziende oneste ammollano mediamente in Europa più della metà dei loro guadagni allo Stato, non è bello sapere che un gigante multinazionale dell’informatica che nel 2014 ha fatturato 170 miliardi di euro con 49 miliardi di utile di utile paghi lo 0,005% di tasse in Irlanda per i profitti che genera in tutta Europa. Profitti che, tra l’altro, tutti noi cittadini/e, consumatrici e consumatori contribuiamo a generare comprando questi fascinosissimi prodotti.



Oh, non che ce l’abbiamo personalmente con Apple, eh, stesso sollievo ce lo diede il famoso multone che Supermario diede anni fa a Microsoft, così come ci stiamo già pregustando le stangate che arriveranno ad Amazon, Facebook e compagnia.



E’ che si sa, dopo la crisi economica del 2008, l’opinione pubblica non ha più tutta questa simpatia per la globalizzazione e il libero mercato che si sta divorando il ceto medio, le politiche pubbliche e il welfare degli Stati.



Certo, 13 miliardi sono comunque una discreta sommetta per l’Irlanda che preferisce perderli pur di non giocarsi i 5.500 posti di lavoro di Apple sul territorio. Per non correre rischi, il nostro governo ha invece già fatto un condono con Apple di 318 milioni di euro a fronte di un miliardo presumibilmente evaso. I posti di lavoro di Apple in Italia non corrono rischi. Tiriamo tutti un bel respiro di sollievo.



Ma davvero conviene rinunciare a tutte quelle tasse? Cosa deve fare lo Stato per sopperire alla mancanza di quei soldi? E se li avessimo, come li potremmo utilizzare per il bene comune?

Ma, soprattutto, che c’entrano le donne con tutti questi discorsi?



C’entrano, c’entrano eccome.



Uno Stato con poche risorse pubbliche è uno Stato che taglia selvaggiamente il welfare (vi ricorda niente?). E ridurre il welfare significa comprimere le prospettive di crescita economica e sociale dei meno abbienti, ma soprattutto delle donne.



Come ricordava Chiara Capraro con Francesca Rhodes in un post che abbiamo pubblicato qualche tempo fa su Ladynomics, “una perdita di entrate ha un impatto maggiore sulle donne e tra queste soprattutto su quelle che vivono in povertà e che potrebbero maggiormente trarre giovamento da servizi pubblici ben finanziati quali l’istruzione, la sanità e la protezione sociale. Le donne in stato di povertà sono invece le prime a rimetterci quando questi servizi essenziali non sono liberamente accessibili, cosa che porta le famiglie a fare scelte terribili su chi nel nucleo famigliare debba avere la priorità nell’accesso a questi servizi.”



Rinunciare a risorse pubbliche frutto delle tasse prodotte nel sistema produttivo significa inoltre non retribuire indirettamente il lavoro di cura delle donne.



Come ricordano ancora Chiara e Francesca “Sono infatti le donne e le ragazze a portare avanti oltre il 75% di questo lavoro di riproduzione sociale, per lo più non riconosciute né ricompensate….Il sistema fiscale serve infatti a redistribuire la responsabilità ed il costo della riproduzione sociale, finanziando servizi pubblici e sistemi di protezione sociale. È stato ampiamento dimostrato che quando questi servizi vengono tagliati o non si investe mai su di essi, le donne finiscono con il compensarne la riduzione o la mancanza, aumentando la quantità di ore impegnate nel prendersi cura degli altri, e privandosi del tempo per lo studio, per il lavoro pagato o per il riposo”.



L’affaire Apple è quindi anche una questione estremamente femminista, come ogni altra questione, che sia di evasione o di elusione fiscale più o meno legalizzata, che riduca le entrate dello Stato e ne penalizzi la funzione di produzione di benessere diffuso, la più importante politica di pari opportunità.



Le aziende americane, nel sottrarre soldi al fisco USA, non vanno per il sottile: pare che “le 50 maggiori aziende a stelle e strisce custodiscono 1.400 miliardi di dollari al riparo dal Fisco americano, l'equivalente del Pil di un Paese come la Spagna” Quante politiche per il welfare potrebbero fare gli USA con 1.400 miliardi di dollari?



Certo, la questione Apple è solo un esempio che mette in evidenza le mostruose contraddizioni del sistema: queste multinazionali dalle dimensioni planetarie hanno un peso occupazionale enorme e hanno assunto le dimensioni di veri e propri Stati.



In quanto tali, fanno anche delle apprezzabili politiche di welfare aziendale e di diversity management per i/le loro dipendenti e cittadini. Inoltre, le dinamiche di sfruttamento dei lavoratori e soprattutto delle lavoratrici e dei bambini/e nella catena della subfornitura sono sempre più sotto l’attenzione dell’opinione pubblica e, rispetto a qualche anno fa, sono in via di diminuzione, anche se ci sono ancora.



D’altra parte si tratta di giganti dell’economia mondiale che non si assumono la responsabilità di un ruolo pubblico che non è certo nella loro mission, ma lo diventa nei fatti: se una multinazionale è responsabile di una fetta importante della crescita dell’occupazione e del PIL di un paese, assume un ruolo e una capacità di influenzare governi, economie e opinioni pubbliche che va ben oltre l’obiettivo di produrre profitti. Senza parlare delle dinamiche competitive tra paesi che si contendono la localizzazione produttiva di queste multinazionali.



Eh insomma, è una questione complessa.



Parlando da Ladynomics, basterebbe invece una politica del Q.B. da parte di tutti. Il famoso “quanto basta” delle ricette delle nonne, che sapevano molto bene come l’eccedere in qualsiasi ingrediente avrebbe reso la pietanza una mappazza indigesta.



Ecco, oggi siamo alla mappazza indigesta: troppo potere delle multinazionali, troppa debolezza degli stati, troppa competitività, troppi profitti, troppi azionisti avidi, troppa riduzione del welfare, troppa disuguaglianza, troppo poca redistribuzione delle risorse, troppi poveri.



Occorre riequilibrare un sistema globale che sta mostrando di non sapersi più porre dei limiti, e instaurare l’era del Quanto Basta.



Impossibile? Niente è impossibile, se si vuole.



E sarebbe davvero bello che una multinazionale come Apple, dopo una prima reazione scocciata, sprigionasse la prima scintilla. Che ci riflettesse, rielaborasse una nuova visione strategica del suo stare nella società, oltre che nei mercati, e si assumesse delle nuove responsabilità nei confronti di consumatori, consumatrici e cittadini/e. Che se vengono spremuti ancora un po’, difficilmente si potranno permettere ancora i suoi prodotti.



Tra l’altro, per un’azienda che ha scelto come simbolo la mela mozzicata di Eva sarebbe davvero un segno del destino.

Da quel fatidico morso, a noi donne, non è più andato bene niente per millenni.

Giovanna Badalassi



Articolo gentilmente concesso dal sito Ladynomics. Per una Signora economia

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