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Parità di genere? A tu per tu con Elena Strozzi

Parità di genere? A tu per tu con Elena Strozzi

Intervista a Elena Strozzi della Segreteria CGIL di Reggio Emilia con delega alle Politiche di genere - Coordinamento delle politiche sociali, della contrattazione sociale, del welfare

Martedi, 31/01/2023 - Intervista a Elena Strozzi della Segreteria CGIL di Reggio Emilia con delega alle Politiche di genere - Coordinamento delle politiche sociali, della contrattazione sociale, del welfare

Perché alla soglia del 2023 è ancora opportuno discutere di parità di genere?
Perché non l’abbiamo ancora raggiunta. Questa potrebbe essere la risposta più semplice. Abbiamo fatto dei passi avanti, ci sono state delle fasi con accelerazioni e arretramenti, ma c’è ancora tanto da fare. Io ti parlo a partire dal mondo del lavoro che, come sindacato, rappresentiamo. Il 10/11 gennaio a Reggio Emilia ha avuto luogo il Congresso provinciale della CGIL e in quell’occasione abbiamo presentato in anteprima gli esiti della ricerca “Che genere di lavoro?”, commissionata ad IRES Emilia-Romagna, che va ad indagare quali e quante discriminazioni di genere esistano nei luoghi di lavoro, in particolare la qualità della vita lavorativa delle donne.
Tale ricerca è nata nell’ambito della Rete donne Cgil, con l’idea di indagare le condizioni di lavoro delle donne nei vari luoghi di lavoro, ma a fronte della necessità di avere un quadro più ampio, abbiamo deciso di estendere l’indagine a tutte le categorie del mondo del lavoro, complessivamente inteso ( uomini , donne , precari , autonomi).
Complessivamente hanno compilato il questionario più di 4.000 persone.
Da quanto emerso dall’indagine è evidente la permanenza di una forte condizione di fragilità delle donne nella loro posizione occupazionale, determinata soprattutto da differenziali salariali importanti. Non è di minor rilievo la difficoltà nel conciliare (Elena utilizza la parola “condividere”) i tempi tra la vita lavorativa e la vita personale, soprattutto della cura personale, dovuta a una maggior preoccupazione della propria vita e sostenibilità economica.

Quali sono gli ostacoli che impediscono il raggiungimento di una parità di genere?
L’ostacolo più grosso rimane l’aspetto culturale e il fatto di essere inseriti in una società ancora così radicata nel patriarcato, anche se neo-patriarcale. Assistiamo ancora ad una forte segregazione occupazionale, per cui le donne spesso sono impiegate in attività legate a stereotipi sociali e ricalcate sui ruoli tradizionali del lavoro domestico e di cura (insegnanti, segretarie, impiegate, parrucchiere, infermiere, commesse, assistenti sociali, cassiere, dietiste, ecc.). Questi lavori sono caratterizzati da retribuzioni poco elevate, bassa qualificazione e scarse prospettive di carriera. È diventato molto difficile uscire dallo stereotipo e spesso se ti rifiuti di farlo sei additata e fortemente colpevolizzata dalla società.

Tra i temi più forti e sentiti abbiamo la parità salariale e i congedi parentali, secondo lei le risposte le possiamo trovare in Italia o abbiamo necessità di prendere spunto da altri paesi Europei?
Sicuramente rispetto a certi temi abbiamo ancora molta strada da fare e possiamo orientarci verso quelle pratiche che a livello europeo ci sono già e che sono più proiettate verso un reale abbattimento dei differenziali retributivi, ma non solo.
Alcuni importanti passi si stanno compiendo: la legge sulla parità salariale (dalla quale sono derivati la certificazione di genere, i rapporti biennali )e le clausole di salvaguardia del PNRR ne sono degli esempi .
Rapporti biennali e certificazione di genere sono due strumenti di conoscibilità e trasparenza e la trasparenza è fondamentale in quanto è proprio la mancanza di trasparenza retributiva uno degli ostacoli principali al raggiungimento della parità salariale.
I rapporti biennali sono lo strumento più efficace ad oggi per affrontare il tema dei differenziali retributivi. Non solo sono stati abbassati a 50 il numero dei dipendenti delle aziende tenute a redigere questi rapporti ma è stato definito anche che i dati devono essere forniti in maniera disaggregata in modo da rilevare dove si forma il differenziale retributivo (es , straordinario non pagato o pagato meno, numero inferiore di settimane lavorate nell’anno)
Il rapporto biennale è una fotografia dell’esistente, mentre la certificazione di genere dovrebbe darci il quadro in divenire, ovvero le politiche che vengono messe in atto.
La certificazione è stata Introdotta dal PNRR e disciplinata, come dicevo, dalla Legge sulla parità salariale ad integrazione del codice delle pari opportunità.
A decorrere dal 1° gennaio 2022, per vedersi riconosciuta la certificazione di parità di genere, le aziende devono mettere in pratica politiche e misure concrete finalizzate a ridurre il divario di genere in relazione alle opportunità di crescita in azienda, alla parità salariale a parità di mansioni, alle politiche di gestione delle differenze di genere e alla tutela della maternità, secondo modalità e criteri che sono state indicati dalle prassi UNI
Quindi tutto a posto? No.
Le Organizzazioni Sindacali sono state completamente escluse dal confronto per individuare gli indicatori delle prassi UNI. Il nostro lavoro inizia a valle purtroppo, ovvero dopo che la certificazione è già stata fatta e noi interveniamo con la contrattazione aziendale
Mentre in caso di rapporti biennali mendaci o incompleti sono previste sanzioni amministrative pecuniarie, per favorire la certificazione di genere da parte delle aziende è previsto un sistema premiante e non è obbligatoria
Questo fa molto riflettere sull’approccio culturale del nostro Paese.
Inoltre, nel tentativo di contrastare le disuguaglianze anche in termini occupazionali, un elemento importante sono le condizionalità del PNRR che dovrebbero prevedere il 30% delle assunzioni riservate alle donne di qualunque età e dei giovani under 36. Su queste clausole occorre tuttavia porre una grande attenzione e vigilanza, in quanto non sono prive di possibilità di deroghe, almeno per i settori che già oggi sono a forte prevalenza di occupazione maschile. E questa potrebbe già considerarsi una contraddizione.
Le stazioni appaltanti infatti, possono motivare il ricorso alla deroga “specificando che nel settore in questione il tasso di occupazione femminile rilevato dall’ISTAT si discosta significativamente dalla media nazionale complessiva nei settori osservati”, e questo può portare alla riduzione della quota del 30 percento in relazione al differente tasso di occupazione femminile in quel settore.
Gli strumenti rimangono tuttavia strumenti e, oltre a rappresentare un’opportunità, ci consegnano anche una grande responsabilità sulla verifica della loro attuazione, che noi come Cgil cogliamo in pieno.
ED infine, ma non certo di minor importanza occorre creare le condizioni affiche, a fronte di una buona offerta lavorativa, le donne siano in condizioni di poterla accettare
È necessario quindi un ripensamento complessivo dei modelli di cura. Questo aspetto deve essere una priorità nazionale.
I sevizi sociali devono essere rafforzati e serve un serio investimento sul sistema di welfare.
Occorre investire su infrastrutture sociali, sanità, istruzione, ricordando che le donne non sono un soggetto svantaggiato, da proteggere come se fossimo in via di estinzione. Le donne sono metà del paese e che le politiche contro la disuguaglianza di genere, non sono politiche a favore delle sole donne ma a favore di tutta la società.

Tra le aree di intervento previsto dal nuovo Piano regionale Emilia- Romagna contro la violenza sulle donne troviamo il punto a sostegno dell’empowerment lavorativo di donne che hanno subito violenza e contrasto a discriminazioni, mobbing e molestie sul luogo e nei rapporti di lavoro. Quanto è importante e cosa ci può insegnare questo?
Ciò che è importante affermare è Che solo gli strumenti di conoscenza/informazione ci permettono di far emergere le cose.
Il fatto di prenderne atto, di essere consapevoli, dichiararlo e riconoscerlo, è una presa di coscienza importante.
Il dato sconvolgente con il quale dobbiamo fare i conti è che 1 donna su 3 ha subito molestie sul luogo di lavoro. Spesso sul momento non è immediato e semplice riconoscerlo. Frequentemente crea disagio e malessere alla persona ed è difficile da decifrare o capire e spesso esprimerlo, soprattutto in un contesto lavorativo e culturale che spesso lo accetta e non gli si dà peso. La strada è ancora molto lunga.
Come sindacato il nostro impegno è quello di aiutare quel processo di svelamento e consapevolezza e presa in carico delle situazioni di molestie e violenze sul luogo di lavoro
Nel nostro territorio a febbraio 2020, come cgil e cisl insieme alle centrali cooperative e la consigliera di parità si è tenuto un percorso formativo per promuovere azioni antiviolenza e antimolestie sui luoghi di lavoro.
Con le centrali cooperative abbiamo dato corso al piano formativo che ha visto la partecipazione di 41 persone tra amministratori, responsabili delle risorse umane e responsabili dei servizi di prevenzione e protezione provenienti da 22 cooperative.
8 ore di corso durante le quali sono stati sviluppati temi necessari ad accrescere la consapevolezza dei datori di lavoro circa le proprie responsabilità di tutela dei dipendenti e rispetto ai rischi di molestia e violenza, per individuare e realizzare procedure utili a impedire o gestire problemi di molestia , molestie sessuali e violenza fisica sul luogo di lavoro e ancora, per rendere la prevenzione delle molestie sul lavoro parte integrante del documento di valutazione dei rischi.
A questo impegno sono seguite altre azioni, come la sperimentazione di uno sportello virtuale di ascolto attivato da un’azienda con la collaborazione del centro antiviolenza Nondasola, che partirà a febbraio 2023.

Secondo lei come possiamo contrastare la cultura maschilista e patriarcale sul luogo di lavoro?
Io partirei dal dire che l’unica strada percorribile è fare in modo che tutte e tutti abbiano le stesse opportunità: di espressione, di crescita, di lavoro e in ambito lavorativo lo strumento più potente per garantire questo, è rappresentato dalla contrattazione.
Il sindacato da sempre tutela lavoratrici e lavoratori, oltre che pensionate e pensionati, ed è nello spirito del nostro statuo come CGIL la lotta contro ogni forma di discriminazione e la tutela dei diritti umani, civili, e sindacali.

Rispetto alla sua esperienza professionale, qual è la sua strategia per promuovere l’inclusione delle categorie più fragili e la parità di genere?
La contrattazione sociale territoriale che nasce con l’obiettivo di garantire i diritti di cittadinanza e promuovere l’inclusione sociale. È importante collaborare con gli enti territoriali e i comuni locali.
Per esempio, a Reggio Emilia la CGIL, insieme a Cisl e Uil ha sottoscritto un accordo con il Comune di Reggio Emilia per individuare e contrastare le nuove povertà. Accordo che ha avuto fin da subito il merito di fare rete tra i vari soggetti che sul territorio possono intervenire fattivamente sul contrasto alle disuguaglianze vecchie ed emergenti ( rappresentanti associazioni datoriali, enti di formazione, organizzazioni sindacali ) e che si è posto come primo obiettivo il superamento del mismtach tra domanda e offerta di lavoro
Come abbiamo più volte riportato, abbiamo molto lavoro da fare e noi ci siamo.

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