Mercoledi, 27/12/2017 - Niente come la poesia può dire cose pesanti e leggere insieme, frecce che trafiggono e ali che accarezzano con amore
Nel girare tra i padiglioni della Fiera Più Libri Più Liberi tenuta a Roma i primi di dicembre mi sono fermata a lungo in uno stand quasi tutto occupato da libri e pubblicazioni su Alda Merini e il suo immenso e unico patrimonio poetico e umano insieme. Uno degli ultimi libri editati dal suo grande amico ed editore Piero Manni racconta dei “racconti” che Alda Merini faceva a lui sui passaggi più rilevanti della sua vita, parole raccolte con il registratore tra l’ottobre e il dicembre del 2004. Da queste conversazioni Piero Manni ha tratto una sorte di biografia di Alda Merini “Sono nata il ventuno a primavera” (pubblicata nel 2005, pagg 104, ed Manni) che lui definisce “intellettuale”, arricchita da poesie e citazioni tratte dai suoi libri, che evocano e risuscitano periodi, storie e persone appartenenti alla sua intensa e sofferta vita.
Quello che mi ha come incollato a quello stand e a quel piccolo libro è stata la lettura di una pagina che ho aperto per caso. La poesia riportata in quella pagina, “Canto delle donne”, e tutto ciò che sta dentro a quei versi leggeri e pesanti insieme mi è entrata subito dentro in un so quale parte del mio corpo. E ho pensato che era la cosa più bella che una donna potesse scrivere sulla violenza contro le donne perché frutto di vero amore e non di denuncia.
La violenza che Alda Merini racconta è doppiamente drammatica e intensa perché rievoca tutte quelle viste personalmente da lei e subite da tante donne dentro ai manicomi, luoghi di prigionia fisica e mentale, luoghi di abusi coperti da maschere mediche e pseudosociali, luoghi che si riproducono continuamente con modalità e in contesti diversi.Ma il cuore della violenza, che lei racconta non è solo nelle cose atroci subite da ciascuna che ha un nome ma nel contrasto che lei vive sulla sua pelle e nel suo corpo tra il calore e la bellezza che ogni donna porta o vorrebbe portare con sé in ogni situazione, anche di degrado, in ogni relazione e l’indifferenza e la disumanità che accompagna la crudeltà maschile, che si ripete in situazioni le più diverse. Ho pensato alle storie di tante, raccontate quando è stato possibile raccontarle, ho pensato ai nuovi lager dove vengono rinchiuse tante donne fuggite da guerre e violenze alla ricerca di una vita come tutte. Per questo ho pensato che fosse bello che attraverso l’ultimo numero di Noi Donne on line di quest’anno si potesse offrire alle nostre lettrici questo grande dono di Alda Merini.
Canto delle donne
Io canto le donne prevaricate dai bruti
la loro sana bellezza, la loro "non follia"
il canto di Giulia io canto riversa su un letto
la cantilena dei salmi, delle anime "mangiate"
il canto di Giulia aperto portava anime pesanti
la folgore di un codice umano disapprovato da Dio,
Canto quei pugni orrendi dati sui bianchi cristalli
il livido delle cosce, pugni in età adolescente
la pudicizia del grembo nudato per bramosia,
Canto la stalla ignuda entro cui è nato il "delitto"
la sfera di cristallo per una bocca "magata".
Canto il seno di Bianca ormai reso vizzo dall'uomo
canto le sue gambe esigue divaricate sul letto
simile ad un corpo d'uomo era il suo corpo salino
ma gravido d'amore come in qualsiasi donna.
Canto Vita Bello che veniva aggredita dai bruti
buttata su un letticciolo, battuta con ferri pesanti
e tempeste d'insulti, io canto la sua non stagione
di donna vissuta all'ombra di questo grande sinistro
la sua patita misura, il caldo del suo grembo schiuso
canto la sua deflorazione su un letto di psichiatra,
canto il giovane imberbe che mi voleva salvare.
Canto i pungoli rostri di quegli spettrali infermieri
dove la mano dell'uomo fatta villosa e canina
sfiorava impunita le gote di delicate fanciulle
e le velate grazie toccate da mani villane.
Canto l'assurda violenza dell'ospedale del mare
dove la psichiatria giaceva in ceppi battuti
di tribunali di sogno, di tribunali sospetti.
Canto il sinistro ordine che ci imbrigliava la lingua
e un faro di marina che non conduceva al porto.
Canto il letto aderente che aveva lenzuola di garza
e il simbolo-dottore perennemente offeso
e il naso camuso e violento degli infermieri bastardi.
Canto la malagrazia del vento traverso una sbarra
canto la mia dimensione di donna strappata al suo unico amore
che impazzisce su un letto di verde fogliame di ortiche
canto la soluzione del tutto traverso un'unica strada
io canto il miserere di una straziante avventura
dove la mano scudiscio cercava gli inguini dolci.
Io canto l'impudicizia di quegli uomini rotti
alla lussuria del vento che violentava le donne.
Io canto i mille coltelli sul grembo di Vita Bello
calati da oscuri tendoni alla mercé di Caino
e canto il mio dolore d'esser fuggita al dolore
per la menzogna di vita
per via della poesia.
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