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Oltre il Codice rosso, verso un effettivo contrasto alla violenza di genere

Oltre il Codice rosso, verso un effettivo contrasto alla violenza di genere

Le soluzioni normative repressive e punitive non costituiscono espedienti idonei al contrasto della violenza di genere, che sempre più si connota come un'emergenza nazionale

Martedi, 25/02/2020 - Il convegno organizzato lo scorso 20 febbraio dai Lions Club Salerno Duomo, afferente al Distretto 108 YA, avente ad oggetto “Un’analisi sulla violenza di genere tra prevenzione e repressione”, ha costituito un interessante confronto sulla qualità della tutela approntata dallo Stato nei riguardi delle vittime di tale fenomeno sociale. In premessa la Specialist distrettuale del service sulla violenza di genere e stalking, l’avv.ta Rosa Maria Pepe, ha espresso le proprie considerazioni sulla necessità più che palese di una speciale formazione delle forze dell’ordine, degli operatori sanitari e dei magistrati sul tema. A tal fine ha portato quale esempi note sentenze in cui si dimezzava la condanna dell’assassino, perché il femminicidio era frutto di una tempesta emotiva, o si assolveva dall’accusa di stupro, perché la sopravvissuta era troppo 'mascolina', poco attraente e poco credibile come vittima di violenza sessuale. Prove più che evidenti di come manchino gli strumenti culturali di base per comminare sanzioni, in grado di rispondere alle primarie esigenze di giustizia delle vittime di violenza di genere.
D’altronde anche con il rappresentante dell’Ordine degli Avvocati del Tribunale di Salerno, l’avv. Cecchino Cacciatore, si era evidenziato che tale fenomeno sociale “non può passare solo per le porte del giudiziario”, perché “il diritto penale non è mai uno strumento di progresso. Soprattutto laddove a monte della violenza di genere “c’è un grave vulnus culturale”. Proprio partendo da tale connotato, che nella nostra società si sostanzia nella stretta correlazione tra violenza sessuata e discriminazione di genere, il prof. Giovanni D’Alessandro, Ordinario di Diritto pubblico presso l’Università Unicusano-Roma, ha posto l’accento sul carattere strutturale della prima in quanto espressione di rapporti diseguali di genere. E’ pur vero che l’art. 3 della Costituzione si configuri quale “un caposaldo fortissimo per impedire tale discriminazione”, ma nella realtà “non abbiamo una ricaduta di tale principio in ambito socio-culturale. E, quel che è più evidente, è la circostanza per la quale “in una società caratterizzata da valori sessisti, questi non riescono ad essere intaccati dal dato normativo”, sia esso a carattere internazionale, come la Convenzione di Istanbul, sia proprio dell’ordinamento giuridico italiano.
Al suo riguardo negli ultimi cinquant’anni si è pervenuti a tappe fondamentali, che hanno costituito un progressivo miglioramento della legislazione in materia di parità di genere. Quali, a d esempio, l’eliminazione dello ius corrigendi in capo al coniuge, la riforma del diritto di famiglia, l’eliminazione del delitto d’onore, la nuova connotazione del reato di violenza sessuale come reato contro la persona e non contro la morale, la legge sullo stalking, il decreto femminicidio, la normativa sull’educazione alla parità dei sessi nelle scuole pubbliche. Ma, a monte di “settant’anni di innovazione giuridica”, che ha incrementato i sistemi di tutela delle donne, il prof. D’Alessandro si è domandato il motivo per il quale l’Italia sia “al di sotto di altri Stati”. La risposta che si è dato è che “il diritto non riesce a promuovere l’innovazione culturale di cui si avrebbe bisogno nel nostro Paese, affinchè ci si incammini verso una fattuale e concreta eliminazione della disparità di genere”.
Una siffatta riflessione ha consentito al prof. Luigi Kalb, Ordinario di Procedura penale presso l’Università di Salerno, coordinatore del confronto, di interrogare i successivi relatori su come il diritto vigente sia in grado di invertire la rotta sulle discriminazioni di genere, soprattutto alla luce del connotato specifico della violenza di genere, da tutti gli intervenuti riconosciuta quale “un’emergenza nazionale”. La dott.ssa Giuseppina Sessa, Vicequestora di Salerno nonché dirigente del correlato Ufficio di Prevenzione e Soccorso Pubblico, ha chiarito le modalità di intervento della Polizia di Stato, incentrando la propria relazione sulla illustrazione del Protocollo EVA (Esame Violenze Agite), una modalità operativa per il primo intervento degli operatori di polizia nei casi di violenza di genere (maltrattamenti in famiglia, stalking, abusi, liti familiari). Un protocollo operativo dal gennaio del 2017 e consistente in una scheda con cui gli operatori delle volanti memorizzano tutto ciò che hanno fatto e visto nei minimi dettagli. In tal modo si consente di inserire nella banca dati delle forze di Polizia (SDI) una raccolta di informazioni preziosa in caso di successive aggressioni, che consentono l’arresto indipendentemente dalla denuncia della vittima. EVA, difatti, allerta le forze dell’ordine “ogniqualvolta ci sia una lite in famiglia, anche se non c’è procedibilità d’ufficio”. Il nucleo familiare viene così attenzionato di modo che, qualora la vittima chiami in emergenza, l’operatore deve dare priorità assoluta a tale telefonata. La dirigente della Polizia, però, non ha potuto fare a meno di evidenziare un dato preoccupante, quale la mancata volontà delle donne a denunciare il partner violento ed, addirittura, a farsi prestare le cure mediche necessarie.
Una tale considerazione ha costituito la giusta premessa per la successiva presa in esame degli effetti della recente normativa, denominata Codice rosso, da parte del Cons. Rocco Alfano, Procuratore aggiunto presso la Procura della Repubblica di Salerno. Il magistrato ne ha definito l’operatività “molto ampia” perché “comprende maltrattamenti, violenza sessuale, atti persecutori, sfregi permanenti al viso, diffusione di immagini a carattere sessuale, lesioni personali aggravate. Si sono accorpate ipotesi molto eterogenee tra di loro, imponendo, ad esempio, il Codice rosso per tutti gli episodi di stalking, anche per quelli in cui la violenza di genere non c’entra niente”. Conseguentemente il dott. Alfano ha richiesto al legislatore delle specifiche modifiche, quali il restringere le fattispecie criminose dell’art. 612-bis rientranti nel Codice rosso e la previsione della procedibilità d’ufficio per gli atti persecutori. “O lo Stato è interventista o lasciamo i sei mesi per presentare le denuncia da parte della vittima”. Indubbiamente esistono anche aspetti positivi nella nuova normativa, quali l’avere previsto lo sfregio permanente come fattispecie criminosa autonoma e non circostanza aggravante, nonché una fattispecie aggravata quando il delitto di maltrattamenti è commesso in presenza o in danno di minore. Ma, al riguardo della norma manifesto del Codice rosso, ossia quella per la quale il pubblico ministero ha l’obbligo di sentire la persona offesa entro tre giorni dall’iscrizione della notizia di reato, il procuratore Alfano ha espresso riserve dettate dalla necessità di svolgere adeguate indagini. Offrendo anche una particolare chiave di lettura personale alla disciplina cogente con il Codice rosso, ossia che “l’Europa aveva condannato l’Italia con la sentenza Talpis, cosicchè occorreva fare capire che lo Stato interveniva”. Il dott. Alfano ha concluso così il proprio intervento, riferendosi alla terminologia mutuata dal Pronto soccorso ospedalieri, “Se tutto diventa Codice rosso, faccio entrare tutti ma non avrò un medico in grado di curare i pazienti”.
La prof.ssa Vitulia Ivone, Associata di Diritto civile presso l’Università di Salerno, ha iniziato il proprio intervento con una citazione “La famiglia è un’isola felice che il mare del diritto può solo lambire” (C.A. Jemolo). Citazione quanto mai necessaria per consentirle di esprimere, da operatrice giuridica, la sua opinione sulla violenza di genere, affermando che al riguardo avrebbe voluto “una sola normativa piuttosto che tante e farraginose”. Puntualizzando la propria disapprovazione alle modifiche del codice civile operate da singole norme, la docente ha evidenziato che “il legislatore ha sì introdotto alcune misure per gli abusi domestici ma, se il Piano straordinario antiviolenza non viene finanziato, le donne non possono andare via di casa”. Ricollegandosi, poi, all’intervento dell’avv.ta Rosa Maria Pepe, che aveva espresso criticità sulle misure di reale sostegno alle vittime di violenza di genere e lodato invece il volontariato messo in campo, ad esempio, dai Lions e dal suo comitato Se non ora quando-Vallo di Diano, quale espressione di fattivo supporto alle vittime, la prof.ssa Ivone ha rimarcato in maniera ferma e netta che esige uno “Stato che fornisca misure idonee per le donne, perché le persone valgono più dei contratti”.
Le conclusioni del convegno sono state affidate all’on. Federico Conte (Leu), componente della Commissione Giustizia della Camera dei deputati. Il parlamentare ha premesso di non credere nel panpenalismo, ossia “nella ricerca di soluzioni nel diritto penale”, come si è tentato di fare passare con il Codice rosso che “è un po’ il figlio di questa tendenza”. E, partendo dal 2°comma dell’art. 3 della Costituzione, che impegna lo Stato a rimuovere gli ostacoli della diseguaglianza di genere, ha messo in rilievo come in Italia ci sia forte bisogno di una vera e propria legislazione a favore delle donne. Come, ad esempio, è avvenuto in Spagna, ove è previsto un assegno per le donne vittime di violenza di genere. In un Paese come il nostro dove “3 donne su 10 non hanno un conto corrente intestato”, la classe politica deve allocare le risorse pubbliche facendo scelte prioritarie, alla luce anche delle precipue contingenze territoriali. Così, in un Mezzogiorno che “in tema di occupazione femminile ha tassi pari a Paesi sottosviluppati”, come può pensarsi che una normativa quale il Codice rosso, emanato ad invarianza finanziaria, si configuri misura efficace di contrasto alla violenza di genere?”, ha evidenziato l’on. Conte. Risulta, allora, evidente come sia stata una norma manifesto, che non va nella direzione di onorare in Italia la Convenzione di Istanbul, ratificata dal Parlamento italiano nel 2013, nonché sostanziare di politiche fattive le 4 P ivi previste: prevenzione, protezione e aiuto alle vittime, procedimento contro i colpevoli e politiche integrate. A tal fine, secondo la convenzione, gli Stati devono istituire “uno o più organismi ufficiali responsabili del coordinamento, dell’attuazione, del monitoraggio e della valutazione delle politiche e delle misure destinate a prevenire e contrastare ogni forma di violenza”.
Cosicchè quel titolo dato al convegno, “Un’analisi sulla violenza di genere tra prevenzione e repressione”, ha fatto comprendere al folto pubblico presente nella sala della Camera di Commercio di Salerno, che la violenza di genere, da tutti i relatori riconosciuta come un’emergenza nazionale, non possa trovare soluzioni esaustive solo in ambito giudiziario. Necessita, invece, di uno sguardo d’insieme che la riconosca per quello che è, perché un approccio solo ed esclusivamente repressivo non è foriero di risultati positivi.

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