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Nadia Urbinati. Le diversità che ci allontanano

Nadia Urbinati. Le diversità che ci allontanano

Focus / Otto marzo allo specchio. 1 - La questione del genere è all’attenzione del mondo, ma le donne non si riconoscono nelle stesse battaglie. Il punto di vista, originale, di Nadia Urbinati

Bartolini Tiziana Lunedi, 07/03/2016 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Marzo 2016

Nadia Urbinati è titolare della cattedra di Scienze Politiche alla Columbia University di New York e si occupa del pensiero democratico e liberale contemporaneo oltre che delle teorie della sovranità e della rappresentanza politica. Ha pubblicato molti libri e firma articoli su La Repubblica e su altri quotidiani e periodici nazionali. L’abbiamo intervistata, nell’ambito del nostro focus dedicato alla Giornata internazionale delle donne, per raccogliere il punto di vista di una studiosa che osserva e analizza il mondo odierno e le sue dinamiche politiche ma che non si colloca nel solco del pensiero femminista.



Dagli Stati Uniti, dove lavora, ha modo di osservare il mondo nella sua complessità, come vive questa fase della storia così dura e anche così difficilmente comprensibile?

La battaglia per la parità salariale è che quella che sta più al centro del dibattito oggi negli Stati Uniti. E non tanto perché Hillary Clinton vi ha costruito intorno la sua campagna elettorale. Le rimostranze per le diseguaglianze di stipendio a parità di mansione e merito sono da qualche anno molto forti, soprattutto nelle Università, un bastione di contro-reazione maschile contro l’espansione della presenza femminile. Sembra che, dopo aver capitolato (per ora) sull’ammissione delle donne nei luoghi di formazione e nelle professioni, si stia affilando una nuova strategia di discriminazione: quella sul riconoscimento economico. Dove, come negli States, gli stipendi sono tutti individuali e non c’è alcun contratto o politica nazionale, la lotta contro la discriminazione salariale è una battaglia permanente.



L'8 marzo è una data simbolica per le donne a livello internazionale, ma la loro azione non è incisiva, le connessioni al femminile sono deboli e non riescono ad avere unanime voce pubblica. Perché, secondo lei, non c'è un'agenda, anche di massima, intorno alla quale le donne possono riconoscersi e per cui possono battersi tutte insieme e con più forza?

Forse perché non c’è una “sostanza” di genere da rappresentare e da difendere e il “genere” è a tutti gli effetti una rappresentazione, una costruzione, che riposa quindi sul diretto coinvolgimento delle interessate, e sulla capacità loro di andare oltre le differenze e individuare quelle equivalenze che possono fare in modo che si profilino comuni piattaforme di lotta. Non so trovare un’altra spiegazione. E poi, occorre tener presente che le condizioni sociali o di classe sono anche tra le donne barriere forti; le donne che vivono in povertà non stanno spesso dalla stessa parte delle donne benestanti o che hanno una carriera di successo. Le questioni di genere sono in alcuni casi unificanti, ma non in tutti i casi.



Per contro di donne sulla ribalta pubblica ce ne sono molte, e non sono poche quelle che hanno anche ruoli di potere politico, economico e finanziario. Ma come non osservare che le loro voci e azioni vanno in direzioni opposte. Per fare degli esempi estremi, troviamo le combattenti peshmerga nella lotta armata per la democrazia e poi ci sono donne alla testa di movimenti xenofobi e ultra conservatori, vedi Marine Le Pen in Francia. Sono obiettivi inconciliabili e appaiono molto lontani gli anni in cui il femminismo o prima ancora l'emancipazionismo riempiva le piazze con slogan e intenti largamente condivisi. Ma cosa è successo alle donne?

Le donne come gli uomini hanno ideologie politiche diverse, appartengono a classi sociali diverse, a nazioni diverse. Non credendo che ci sia una “sostanza” chiamata “genere” non mi resta che prendere atto che la diversità è altrettanto presente e forte tra le donne come tra gli uomini. È vero però che, anche qualora ci siano donne che si posizionano su ideologie molto diverse, e anche opposte (le hai fatto l’esempio di Marine Le Pen tra l’altro), esse sentono comunque il bisogno di coniugare la loro ideologia, anche la più reazionaria e nazionalista, in modo che sia in grado di parlare anche alle donne. Certo, la strategia elettorale lo impone, poiché le donne votano e il loro voto va corteggiato. Ma non è solo una ragione strategica. Anche diversi anni fa le donne votavano, eppure l’attenzione al “genere” non era proprio così forte. Questo significa che a di là delle divisioni ideologiche e politiche, la questione del “genere” è avvertita in maniera universale.



Quindi ha ancora senso guardare le donne come un universo unico, seppur articolato? Pensiamo alle tante e grandi differenze che le trovano separate nella dimensione culturale, religiosa o economica. I divari del reddito scavano solchi sempre più profondi, poi ci sono diverse opinioni anche sui diritti civili o sull'osservanza delle rispettive religioni... Di nuovo, una giornata internazionale delle donne, che senso assume, oggi, in un mondo in cui anche le donne sono così vicine e così lontane?

Mi sembra di aver già risposto alla sua domanda. Di unico vi è il fatto che ancora oggi, e anche nei paesi a stabile democrazia costituzionale, le donne devono essere guardinghe e non fidarsi solo della legge, che proclama eguaglianza dei diritti e tuttavia non è così fortemente inculcata nella mente degli uomini e delle stesse donne da essere operante da sola, o per inerzia. Questo vale del resto per tutti i diritti, che non sono conquiste una volte per tutte ma promesse che possono essere disattese, strumenti giuridici che possono essere interpretati in maniera moto restrittiva. Pensiamo al caso italiano, alla fatica che ancora si fa in questo paese ad accettare l’idea del diritto eguale, del fatto che non solo gli eterosessuali possano vantare il privilegio di potersi unire (e se un diritto non è egualmente goduto è un privilegio, non un diritto; ovvero gli eterosessuali quando si oppongono agli omosessuali su questo terreno accampano un privilegio e quindi mostrano di voler dominare il modo di intendere e vivere il diritto sugli altri che sono minoranza). Ancora difficilissimo è per i non eterosessuali aver riconosciuta la possibilità di adottare un figlio. Perché? Perché la maggioranza decreta il significato di matrimonio e di famiglia, magari nel nome della natura, come se la natura conoscesse la regola di maggioranza o avesse rappresentanti in Parlamento! Insomma, l’eguale diritto si ferma davanti alla porta della cultura della maggioranza, sia essa di tipo religioso, una credenza consolidata, una tradizione, ecc. La stessa logica vale per tante altre conquiste che hanno avuto le donne come protagoniste. Prima della lotta degli omosessuali, le donne, pensiamo all’Italia, hanno dovuto rivendicare di avere gli stessi diritti (per esempio di accedere alle professioni o di chiedere, anche loro, la possibilità di ottenere una separazione, o di interrompere una gravidanza non voluta). Insomma, la battaglia per l’eguaglianza di possibilità di godere dei diritti eguali è sempre in corso e mai proprio vinta, anche quando i codici dichiarano che abbiamo diritti.



Lei vede, riconosce uno ‘specifico femminile’ (un approccio particolare delle donne, una sensibilità originale…) che potrebbe dare un contributo alla soluzione di qualcuno dei grandi problemi odierni?

Cerco quando è possibile contribuire a giornali e pubblicazioni - come a NOIDONNE, un grande e importante giornale, sulle donne ma partigiano, un connubio tra genere e idee politiche che mi ha sempre convinto. Sono onorata di collaborarvi.

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