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L'umano sentimento dell'impotenza

L'umano sentimento dell'impotenza

Versione Santippe - Esiste un'App per debellare il senso di impotenza? O per imparare a conviverci? O addirittura per non provarlo? Io la voglio...

Camilla Ghedini Lunedi, 05/10/2015 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Ottobre 2015

 Esiste un'App per debellare il senso di impotenza? O per imparare a conviverci? O addirittura per non provarlo? Io la voglio, e se la trovate, vi prego, segnalatemela! Io, che sono profondamente occidentale e illuminista, rigorosa e razionale, prometto che potrei votarmi a qualsiasi filosofia orientale, new age, ma anche vecchia age, pur di provarla, sperimentarla e dire che avevo torto, che della vita non avevo capito nulla perché bastava questa miracolosa App, con l'immagine magari di un vecchio saggio sul fiume, a rendere la mia esistenza perfetta in quanto....priva di sollecitazioni negative. L'impotenza è il peggiore dei sentimenti. Si misura con la tua etica, coi tuoi valori, coi tuoi principi, con le tue aspettative. Col volere è potere, il più grande degli inganni, perché volere non è potere. Perché desiderare non è ottenere. Perché sognare non è concretizzare.

L'impotenza ti rimanda a specchio il tuo fallimento morale, come la mappa di una città, in cui trovi una X che significa 'tu arrivi fin qui, oltre ti è impedito'. Il perché non lo sai, perché tu sai invece che la strada prosegue.

Eppure per te c'è un muro, che tu ritieni di pasta frolla, perché basato spesso su convenzioni, stereotipi, pregiudizi. Ma è sempre un muro e tu non puoi oltrepassarlo. Fremi, ti agiti. Ti ribelli, ma nulla puoi. E allora sbatti la testa, come i bambini, forte e sempre più forte e tu sanguini ma quel muro rimane lì, così, perché è più forte. Chi lo ha costruito? Quante mani? In quanto tempo? Con quanti mattoni? Possibile che non crolli? Che non si faccia una crepa? Che non si possa aprire un pertugio? No. Ecco, è il no che distrugge chi vive con la certezza del dubbio, dell'alternativa, della possibilità.

E allora tocca prenderla persa, come col marito che ti tradisce, puoi anche sbatterlo fuori di casa, ma non cambia il passato. Sì, può cambiare il futuro, ma quella ferita è lì, e non la curi fino in fondo. L'aereo parte con ore di ritardo, puoi rivalerti sulla compagnia, portare avanti una battaglia legale estenuante, per cosa? Per un tempo che non riavrai a cui aggiungi un tempo nuovo che perderai in un conflitto pressoché inutile. Vorresti correre ma non puoi, perché il tuo fisico non te lo consente, rischi di danneggiarlo, cosa fai, tiri calci in giro? Allora la domanda è: fin dove ci si può spingere per cercare sempre e comunque la verità, soprattutto nelle cose davvero importanti, che attengono la sfera morale? Quale è il confine tra la ricerca e l'esasperazione? Fin quando le battaglie hanno un senso? Io ne ho fatte tante, eppure oggi, a 40 anni suonati, persa la spinta idealista, mi interrogo. Non voglio rinunciare, eppure...eppure...eppure, talvolta davvero si urla in una folla di sordi. Mio padre mi ha insegnato a non rinunciare mai a provare a cambiare il mondo. Sempre e comunque.

E a rifiutare tutte le situazioni che avrebbero cambiato me. Ma l'impotenza, quella che ti svuota l'anima, è il più imprevisto dei sentimenti, non c'è un'educazione all'impotenza. Eppure va accettata. E come mi ha detto una persona di recente, va accettata come prova, per noi. E allora forse basta fare come il giungo, sapersi piegare senza spezzarsi. Che forse è l'unico modo per non tradirsi.

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