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Legge 194: Milano chiama Roma

Legge 194: Milano chiama Roma

Aborto e politica - La salute riproduttiva e la non applicazione delle leggi anche per i troppi obiettori di coscienza. Il convegno 'Legge 194: cosa vogliono le donne?' e il Manifesto da sottoscrivere

Eleonora Cirant Martedi, 02/04/2013 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Aprile 2013

Rispetto della scelta, accoglienza e informazione, sicurezza ed efficacia. Sono le parole-chiave su cui si articolano analisi e proposte del convegno Legge 194: cosa vogliono le donne?, organizzato a Milano il 9 marzo scorso da Usciamo dal silenzio, Libera università delle donne e Consultori privati laici della Lombardia.

Questo vogliamo, e mentre nominiamo la legge stiamo anche dicendo della sessualità e dei suoi nessi con il potere, dell'essere politico di un argomento che ancora una volta è respinto nell'oscuro, nell'indicibile e nel colpevole.

Siamo dunque partite dalla legge per tornare alla legge con un manifesto di proposte frutto di un lavoro collettivo. Le parole-chiave hanno orientato l'analisi multidisciplinare secondo un tracciato che provo qui a restituire in sintesi (per i nomi delle tante donne intervenute rimando al programma del convegno).

Nel linguaggio dei diritti, il contenuto della legge 194 è “costituzionalmente vincolato”, quindi non può essere oggetto di referendum abrogativo, né si può avere un federalismo regionale in materia. Per lo stesso motivo l'obiezione di coscienza deve essere un'eccezione e non una libertà illimitata, come invece è accaduto grazie a una cattiva interpretazione dell'articolo 9 della legge.

Spostandoci sul piano della morale, l'indagine ci porta dritte alla domanda se abortire sia un male o un bene. Se l'aborto è una scelta libera e responsabile non può essere un male. Questo afferma il femminismo che, denunciando come il male morale sia il mettere al mondo tanti figli quanti ne vengono, ci ha liberate da un destino e ha aperto con questo la strada della responsabilità.

Una responsabilità che però ha bisogno di complici e che nel realizzarsi incontra la medicina e la sua organizzazione nei servizi ospedalieri e territoriali. Andiamo dunque a mettere il naso dentro a stanze che sono tornate a chiudersi dopo essere state spalancate e rinfrescate dal vento degli anni Settanta. Quando le ginecologhe facevano l'autocoscienza con le pazienti, i ginecologi si sentivano in dovere morale di praticare gli aborti, e ci si toglieva il camice bianco per incontrare le abitanti dei quartieri territoriali. Oggi - parliamo della Lombardia - non è possibile sapere quanti medici consultoriali siano obiettori, è la stessa Asl a proibire alle operatrici dei consultori di fare educazione sessuale nelle scuole e la Regione finanzia progetti come il Nasko, finalizzati a convincere le donne che i bambini non si devono uccidere.

Le sedi in cui le responsabilità si intersecano sono appunto i servizi. Non a caso nel suo lungo governo in Lombardia Formigoni ha scelto questo terreno per cospargere di mine esplosive la strada del diritto all'autodeterminazione. Risultato: un terzo dei consultori oggi presenti in regione sono privati di matrice cattolica, funzionano grazie al denaro pubblico ma non fanno quasi nulla di quello che dovrebbero in rapporto alla salute riproduttiva.

Dove sta la responsabilità di chi opera in medicina se è solo il 12,8% di medici/e a non “rifiutare le cure” per motivi di coscienza? Il dato reale dell'obiezione di coscienza in Italia infatti è molto più grave di quello esibito dal Ministero con una forte discrepanza tra dati ufficiali (69.5%) rispetto alle obiezioni de facto (82.7%). L'abuso dell'obiezione di coscienza è evidente ed anche il fatto che la legge 194 andrà in default quando le ultime ginecologhe moralmente coinvolte andranno in pensione. Lo Stato italiano non sarà più in grado di “onorare i propri debiti” verso le sue cittadine.

Ecco dunque il ruolo cruciale della formazione di medici/e. Tutto intero il campo della salute riproduttiva è afflitto da una trascuratezza indegna e forti sono le similitudini tra i disservizi in sala parto e quelli per l'IVG, disservizi che dovrebbero impegnarci sia per motivi sanitari che culturali. Quanta rabbia nel vedere che l'ingresso di tante donne in medicina non ha reso meno cenerentola la professione che interagisce con l'unico potere che le donne abbiano mai avuto: dare la vita. Per questo la formazione deve partire dal presupposto che l'interruzione di gravidanza è un evento costruito socialmente. Deve parlare un linguaggio multidisciplinare e non può trascurare quel che nell'aborto produce scandalo, ma far emergere le minacce percepite del/la medico/a cui è chiesto di praticarlo.

I manifesti non ci mancano. Abbiamo quello del convegno di Milano, quello della Laiga che nello stesso giorno è stato presentato a Roma, quello di Libere di scegliere. Sapremo unire le forze? Saprà ascoltarci la politica istituzionale, oppure ancora una volta saranno altri gli argomenti in agenda?



Link utili:

www.consultoriprivatilaici.it - www.universitadelledonne.it/ - www.laiga.it - http://www.facebook.com/pages/Libere-di-Scegliere-aborto-contraccezione-nascita/127938510701478





MANIFESTO / per firmare: usciamodalsilenziomilano@gmail.com

Legge 194: cosa vogliono le donne




a cura di: Usciamo dal Silenzio, Libera Università delle Donne, Consultori privati laici



IL PREAMBOLO

La legge 194/1978 che disciplina in Italia l’interruzione volontaria di gravidanza (IVG) compirà 35 anni il prossimo 22 maggio.

Quasi quattro decenni dopo quel passaggio storico per il nostro Paese, vediamo tradito il suo senso, snaturata la sua applicazione e temiamo per il suo futuro.

Partendo dal punto di vista delle donne e utilizzando le diverse competenze di cui siamo portatrici, abbiamo scritto questo Manifesto rivolto agli attori politici e sociali, al movimento delle donne di cui siamo partecipi e alla società tutta.

Questo manifesto contiene alcune proposte concrete che assicurino alla legge 194/78 un futuro migliore di questo problematico presente.



L’APPELLO

Ci siamo chieste che cosa vogliono le donne che scelgono di interrompere una gravidanza e lo abbiamo sintetizzato in alcune parole chiave: il rispetto della propria scelta, una corretta accoglienza e la sicurezza per la propria salute. Queste parole possono non restare tali, a patto che l’obiezione di coscienza, seppur tutelata, non gravi sull’esperienza concreta di chi sceglie di interrompere una gravidanza.

Nessun ospedale pubblico o privato accreditato può sottrarsi alla applicazione della legge e tutti devono garantirla con proprio personale non obiettore.

La qualità del servizio significa: semplicità di accesso, accuratezza dell’atto medico e adeguatezza della relazione medico-paziente. Tutto ciò non si dà se l’interruzione di gravidanza (chirurgica e farmacologica) continua ad essere vissuta come la “Cenerentola” degli atti medici, un fastidioso problema per le organizzazioni sanitarie e la grande assente nel percorso formativo di medici e personale sanitario.

Occorre insomma restituirle dignità etica e scientifica.

Ed occorre, insieme, ridare ai consultori la centralità che hanno avuto in passato nel percorso di interruzione della gravidanza: accogliere la

donna, accompagnarla nella sua scelta, instaurare con lei una relazione sui temi della contraccezione.

Altri paesi europei e, in Italia, alcune regioni virtuose lo fanno già.

Non ci sono alibi, se non la mancanza di volontà politica e il deficit di laicità, perché tutto ciò che proponiamo nel nostro Manifesto non venga garantito ad ogni donna, ovunque viva nel nostro paese.

Per questo chiediamo agli attori politici, a ciascuno di loro secondo le proprie competenze, atti concreti.



LE PROPOSTE

1) L’OBIEZIONE di COSCIENZA



La legge sancisce i confini del diritto all’obiezione di coscienza del personale sanitario. Confini che, nel tempo, sono stati travolti (per motivi di coscienza, ma anche di opportunità e di carriera) disattendendo i principi su cui si era fondata la loro formulazione. Essi vanno ristabiliti.



L’applicazione della legge



a) La legge non prevede un’obiezione di coscienza “di struttura”. Ogni struttura pubblica o del privato accreditato (sia essa un ospedale o un consultorio) dev’essere dunque obbligata ad applicare la legge. Solo a fronte di questo impegno può essere concesso l’accreditamento.



b) Le strutture pubbliche o del privato accreditato con servizi di Diagnosi prenatale devono provvedere, in caso di richiesta della donna, all’interruzione di gravidanza oltre i 90 giorni di gestazione a seguito di una diagnosi di anomalia fetale (aborto terapeutico), assicurando in tal modo la continuità assistenziale raccomandata in tutte le linee guida nazionali (Ministero della salute) e internazionali (OMS).



c) Non è previsto l’esercizio dell’obiezione di coscienza per la prescrizione e la vendita di dispositivi per la contraccezione, compresa la cosiddetta pillola del giorno dopo (che non è un farmaco abortivo).



d) Il medico ha il dovere di informare la paziente della propria scelta di obiezione e deve metterla al corrente dei suoi diritti in base alla legge vigente dandole tutte le informazioni utili (tipologia di intervento, tempi, luoghi, modalità) per accedere ai servizi che garantiscono l’applicazione della legge.



e) Il personale obiettore non è esentato dal prestare assistenza alla paziente prima e dopo l’intervento chirurgico e durante il trattamento farmacologico per l’IVG e per l’aborto terapeutico. In caso questo avvenga, il trasgressore dev’essere deferito al Consiglio di disciplina.



L’organizzazione del servizio



a) All’interno delle divisioni di Ginecologia ed Ostetricia si devono istituire Strutture Semplici dedicate all’IVG. Il personale medico necessario al funzionamento di queste strutture dev’essere assunto con concorsi o procedure appositi.



b) La mobilità del personale non obiettore tra Enti o l’utilizzo di liberi professionisti esterni per garantire la continuità di servizio deve avere carattere transitorio.



c) La contrattazione sindacale aziendale deve ottenere una modalità di organizzazione del lavoro che non penalizzi il personale dedicato al servizio di IVG (ripartizione equa dei carichi di lavoro, salvaguardia dei riposi e delle ferie) e che si avvalga del personale obiettore per quanto riguarda l’assistenza necessaria nella fase precedente e successiva all’intervento.





2) Il RUOLO dei CONSULTORI e la CONTRACCEZIONE

a) Si richiede alla Regione Lombardia la modifica della Deliberazione n. 2594 dell’11-12-2000 nella parte che consente ai consultori privati accreditati di non dare consulenza sull’interruzione di gravidanza.



b) I consultori (pubblici, privati accreditati e privati laici) devono assumere un ruolo centrale nel percorso dell’interruzione di gravidanza. Tocca a loro costituire una via preferenziale per predisporre l’accesso all’ospedale di riferimento della donna e garantire un incontro dopo l’intervento per una consulenza sulla contraccezione.



c) Il consultorio deve distribuire materiale informativo tradotto in varie lingue su contraccezione, prevenzione e servizi sociosanitari territoriali, e deve poter contare sulla collaborazione di mediatrici linguistico-culturali.



3) La FORMAZIONE e l’ACCOGLIENZA

a) L’interruzione di gravidanza viene oggi gestita come un “problema” che le strutture sanitarie affrontano affidandosi talvolta a consulenti esterni e gettonisti. Va restituita dignità scientifica ed etica all’atto medico dell’IVG, come questione che attiene alla salute e all’autodeterminazione delle donne. Occorre quindi un intervento formativo, oggi carente o assente, rivolto a futuri medici (facoltà universitarie e scuole di specializzazione) e ad altri professionisti sanitari, che preveda anche un aggiornamento sulle tecniche (incluso l’aborto farmacologico) e sulla sicurezza dell’intervento.



b) Occorre disporre negli ospedali di spazi separati per l’accoglienza e la degenza delle donne che effettuano le interruzioni di gravidanza.





4) L’ I.V.G. FARMACOLOGICA

La letteratura scientifica conferma che l’aborto farmacologico non richiede il ricovero ospedaliero di tre giorni. Si chiede dunque che possa essere praticato anche in regime di day hospital, come avviene in altri paesi europei e nella Regione Emilia Romagna.



5) La COMMISSIONE d’INCHIESTA sull’APPLICAZIONE della LEGGE

Da indagini informali risulta che i dati ufficiali forniti dalla relazione annuale del Ministero della Salute sulla legge 194 non riescono a fotografare lo stato reale della sua applicazione sul territorio. Chiediamo che venga costituita una commissione di inchiesta che verifichi i dati ufficiali sulle percentuali di obiezione (molti sanitari che non hanno ufficializzato l’obiezione non sono di fatto disponibili a fare IVG) e ne rilevi altri di grande interesse anche per valutazioni sul futuro della legge sul medio e lungo periodo (l'età dei non obiettori, la diffusione e le modalità dell'aborto farmacologico).





6) La VIA GIURIDICA NAZIONALE e SOVRANAZIONALE alla  GARANZIA del SERVIZIO

a) Promozione di giudizi incentrati sulla violazione del diritto alla vita e alla salute della donna laddove l’esercizio dell’obiezione di coscienza non è bilanciato da atti che garantiscano il servizio di interruzione di gravidanza come previsto dalla legge 194.



b) Promozione di giudizi relativi al carico di lavoro che ricade sul personale sanitario non obiettore quando esso compromette l’esercizio degli altri diritti di cui il personale è titolare in forza del rapporto e/o degli incarichi di lavoro.



c) Proposizione di reclami collettivi al Comitato Europeo dei diritti sociali del Consiglio d’Europa, che riguardino i profili di contrasto rispetto alla Carta Sociale Europea in relazione alla tutela del diritto alla vita, alla salute e alla autodeterminazione della donna, nonché alla tutela dei diritti lavorativi del personale sanitario e medico non obiettore di coscienza.





Milano, marzo 2013




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