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Le ragioni (vere) delle guerre

Le ragioni (vere) delle guerre

- La religione è pretesto per fare le guerre. In realtà è in nome di interessi economici o volontà di dominio che si trovano sempre nuove ragioni per combatterle

Stefania Friggeri Lunedi, 17/10/2016 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Ottobre 2016

Ha detto papa Francesco: “ Quando parlo di guerra parlo di guerra sul serio, non di guerra di religione. Non c’è guerra di religione. C’è guerra di interessi, per i soldi, per le risorse naturali”. Commenta Giuliana Sgrena: “Per i papi e per i cristiani più ortodossi non ci sono mai state guerre di religione, anche le crociate erano considerate una guerra per liberare il Sacro Sepolcro”. In verità nella storia delle religioni la diversa interpretazione dei testi sacri ha sempre suscitato divisioni, con accuse reciproche di eresia e di empietà, sfociate a volte in faide sanguinose perché i contendenti erano appoggiarti da forze presenti sul campo politico. Un caso esemplare nella storia della Chiesa è rappresentato dalla Riforma protestante: pur essendo partita dalla polemica religiosa di Lutero e sostenuta dalle argomentazioni dottrinali e teologiche del monaco, la Riforma si avviò col tempo a divenire la causa della nazione tedesca (come fu chiaro quando Federico il Saggio mise in salvo Lutero nel castello di Wartburg per sottrarlo alla condanna pronunciata alla Dieta di Worms dalla fazione papalina). E se ieri in Europa si combattevano fra di loro i cristiani oppure i cattolici contro i protestanti, oggi nelle terre dell’islam, per ottenere la superiorità geostrategica nell’area, le petromonarchie del Golfo finanziano sotterraneamente il califfato, sunnita, che si oppone all’Iran, sciita. Così è fuorviante attribuire la difficoltà insuperabile di proclamare la pace in Iraq solo agli interessi imperialistici degli occidentali, dimenticando che in quella terra martoriata la religione si è rivelata un formidabile moltiplicatore di sospetti e di odio tribale, con i membri di una fazione che diffamano i membri dell’altra fazione, ricambiati con uguale avversione attraverso pregiudizi offensivi, aneddotica calunniosa ed infamante. Ma in Europa, dopo la Riforma protestante e la tragedia delle guerre di religione, dopo l’illuminismo e la rivoluzione francese, la religione ha cessato di essere un ottimo pretesto per allargare e consolidare il potere dei chierici e dei principi (motivando le masse, da un lato, cancellando il senso di colpa dei regnanti, dall’altro). È stato un lungo, faticoso e sanguinoso cammino da cui è nata la cultura europea ispirata alla “liberté”, alla tolleranza e ai diritti umani. Già a partire dai primi anni del milleottocento le guerre non sono state più combattute in nome della religione, ma in nome della “patria” - una nuova e diversa sacralità - e l’aspirazione alla libertà ha spinto i popoli a combattere per l’indipendenza nazionale. Ma il concetto di “sacro”, se non incontra la laicità, diventa pericoloso nelle menti esaltate dei fanatici e nei disegni politici di personaggi dotati di carisma, capaci di mobilitare le folle. Infatti, se combattere per la “patria” nel Risorgimento volle dire combattere per la libertà della nazione oppressa, nel clima turbolento del primo dopoguerra, l’aura sacrale della parola “patria” venne sfruttata per avviare una politica reazionaria ed imperialistica.

E così è avvenuto anche negli anni duemila quando i governi dell’Occidente, per convincere l’opinione pubblica delle buone ragioni per scatenare la guerra contro alcuni regimi dispotici, hanno usato come propaganda il compito storico di esportare un valore sacro della cultura occidentale: la democrazia. Si dice giustamente che la prima vittima della guerra sia la verità, eppure, in una società secolarizzata, la democrazia ha rappresentato per Bush figlio quel valore sacrale che un tempo ha spinto il cattolicissimo re di Spagna Filippo II a combattere le Province olandesi: sconfiggerle avrebbe significato non solo eliminare un formidabile contendente sui mari, ma gli avrebbe anche fatto guadagnare in cielo il merito di aver riportato quegli infedeli protestanti alla religione cattolica. La realtà, dunque, è sempre molto complessa e pertanto, pur nella consapevolezza dei mezzi smisurati e incontrollabili a disposizione dei grandi potentati economici, la storia ci insegna a non ignorare la simbiosi fra quegli interessi e la sensibilità, il modo di pensare delle genti, a partire dai valori vissuti come “sacri”. Freud ha scritto: “Dove sono coinvolte questioni religiose, gli uomini si rendono colpevoli di ogni possibile disonestà e di illeciti intellettuali”. In effetti anche la Chiesa di Roma ha dovuto ammettere pubblicamente di essersi macchiata di iniquità ed ingiustizie. Papa Giovanni Paolo II ha chiesto perdono per le colpe della Chiesa che riguardano: le vittime torturate ed uccise dall’Inquisizione, i musulmani (“Dio lo vuole” era il grido che incitava alle crociate), gli ortodossi, i valdesi ecc.. (ripetutamente perseguitati da Roma), gli ebrei (vittime per secoli di antisemitismo). Anche la Chiesa cattolica, dunque, ha confessato i crimini commessi in nome del “sacro”, ma oggi simili atrocità sono inimmaginabili, anzi Bergoglio pare impegnato a riformare la Chiesa, perché ritorni la Chiesa povera e semplice dell’età apostolica che non conosceva né primati né guerre di religione. Ma le parole di Freud ben si adattano alle foto terribili in cui si vede un adulto, o anche un bambino, torturare ed uccidere nella convinzione di adempiere ad un supremo dovere: avendo trovato la strada per riscattarsi dall’insignificanza, il fanatico vuole comunicare platealmente la propria appartenenza, le straordinarie certezze che danno un senso alla sua vita. Scrive Boncinelli che “quello che ci accomuna e a cui apparteniamo ci viene dai divieti e dai comandamenti del sacro, trasmessici dai genitori e dagli adulti del gruppo di riferimento …. I divieti e gli imperativi derivanti dall’esperienza del sacro vengono a costituire per ciascuno di noi una sorta di disciplina o di sottile legame. È proprio dalla parola latina legare che viene la parola latina religio, il termine che sta per noi alla base di ogni idea di religione …. L’esasperazione di tale senso di appartenenza, che apparenta a qualcuno ma separa da altri, prende a volte la forma di fondamentalismo”. Il processo di secolarizzazione dell’Europa e l’ecumenismo delle chiese cristiane non devono però illuderci di essere immuni dalla potenza eversiva del sacro, pertanto è necessario vigilare contro l’esasperazione del sentimento di appartenenza, contro la violenza che può essere scatenata dal fondamentalismo. Abbiamo dimenticato la Jugoslavia, dove il sangue e la terra degli avi hanno trovato un simbolo identitario nell’appartenenza religiosa (essere croati significava essere cattolici, essere serbi significava essere ortodossi)?; ed infatti Milosevic, xenofobo, guidò la sua crociata (in realtà una copertura per annettere la Bosnia ad una Grande Serbia), capeggiando bande di fanatici religiosi, spesso benedetti dal clero ortodosso. E l’Irlanda? A Belfast circola questa barzelletta: ad un uomo fermato ad un blocco stradale viene chiesto quale sia la sua religione. Lui risponde: “Sono ateo”. Gli viene allora richiesto: “Ateo protestante o ateo cattolico?”

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