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Le maestre che sfidarono la legge

Le maestre che sfidarono la legge

Libri - L'ultimo libro di Maria Rosa Cutrufelli, 'Il giudice delle donne' (ed Frassinelli). Un’Italia dei primi del Novecento che non ti aspetti e le maestre prime lettrici

Bartolini Tiziana Sabato, 27/02/2016 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Marzo 2016

Una storia scoperta per caso e che ha richiesto quattro anni di studi e ricerche per diventare un bel romanzo. “Sulla piazza di Senigallia ho visto una targa che commemorava le dieci maestre, prime elettrici italiane. Non ne avevo mai sentito parlare e ho iniziato a documentarmi, anche mettendo a fuoco il contesto storico: una regione, le Marche, tra le più povere d’Italia e spopolate dall’emigrazione, eppure ricca di fermenti”. Ecco delineato, quindi, il paesaggio, anche umano, in cui si svolgono le vicende che Maria Rosa Cutrufelli racconta nel suo ultimo romanzo “Il giudice delle donne” (editore Frassinelli), in distribuzione dal 1° marzo. Siamo nel 1906 e Alessandra è la giovane protagonista che, emozionata per il suo primo incarico da maestra, arriva a Montemarciano, piccolo centro della provincia di Ancona. Da subito entra in sintonia con Teresa - la bambina che ha perso l’uso della parola dopo un grande dolore che la narrazione ci porterà pian piano a scoprire - e con Luigia, maestra e donna coraggiosa, oltre che moglie del sindaco. Il centro della storia è la richiesta di iscrizione nelle liste elettorali che dieci maestre presentano al comune e che, a sorpresa, la Commissione ammette. Il presidente della Corte di Appello di Ancona Lodovico Mortara, illuminato costituzionalista che sarà epurato dal fascismo, conferma la decisione e le dieci ‘maestrine’ diventano così le prime elettrici d’Italia, “anzi d’Europa”. Il caso è di rilevanza nazionale per la stampa e, soprattutto, è un varco simbolico che conferma la validità delle tesi del suffragismo, che era molto diffuso anche in Italia con sostenitrici sia tra le operaie che tra le borghesi. “Il tempo dei miracoli” finirà presto con l’annullamento della Corte di Cassazione, e l’appuntamento con il voto alle donne è rinviato di ‘soli’ quaranta anni.



Una storia che appassiona. Accanto alla povertà c’è il sogno del riscatto con l’emigrazione, le donne non hanno ancora le parole ma sentono di volere altri destini per sé. Insomma l’Italia degli inizi del Novecento era un mondo in movimento …

In effetti l’Italia era ricca di fermenti rivoluzionari, attraversata da una voglia di progresso e modernità. Lo stesso fenomeno dell’emigrazione, se lo si guarda in tutti i suoi aspetti non è solo una condanna: la possibilità di andare altrove rappresenta anche una speranza, un investimento nel futuro.



Teresa parte per l’Argentina, Alessandra e Adelmo vanno a Roma. La partenza è anche un nuovo progetto, segno di vitalità…


Anche se non è una delle dieci maestre, perché non aveva l’età per firmare, Alessandra ha seguito e appoggiato la loro battaglia. Non vuole rinchiudersi nel destino che le hanno preconfezionato addosso quando è nata donna: a Roma sente di poter combattere per diventare cittadina a tutti gli effetti. Troverà Maria Montessori e i suoi esperimenti per un nuovo tipo di educazione dei bambini, i comitati pro-suffragio e tante donne che si riuniscono e sono vive anche sulla scena pubblica. Capisce che non può più assistere passivamente allo svolgersi della sua vita. Purtroppo le aspirazioni di quella generazione sono state sacrificate con le mattanze dei due conflitti mondiali e con il ventennio fascista. Ma le dieci maestre nella realtà sono quasi tutte sopravvissute alla seconda guerra mondiale e hanno visto realizzato il loro desiderio. È bello sapere che le parole dette nel 1906 non si sono spente.



Il romanzo ci porge la maestra sotto una nuova luce.

Quella della maestra è una figura da riabilitare e conoscere per l’importanza che ha avuto. Sono state donne coraggiose che hanno alfabetizzato una nazione, pioniere che hanno fatto l’Italia insegnando la lingua e che consideravano quella dell’educazione dei bambini una vera missione. Erano pagate poco, meno dei maestri, lasciavano le famiglie per raggiungere luoghi lontani e scuole spesso fatiscenti ed erano pure guardate male. Ma erano donne con una forte motivazione civile e culturale alle quali dobbiamo molto.

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