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Recensione del romanzo 'Le distrazioni' di Federica De Paolis

Recensione del romanzo 'Le distrazioni' di Federica De Paolis

Il ritratto spietato della maternità che a tratti lambisce un disperato bisogno di cedere alla follia

Giovedi, 21/07/2022 - È in una Roma nord, in un venerdì di novembre, nella luce che «scivola insinuandosi tra le fronde», che 'Le distrazion'i di Federica de Paolis (Harper Collins, 2022) prendono forma.
Viola, la protagonista ‒ un marito avvocato, Paolo, e un figlio, Elia, di due anni ‒ «siede su una panchina dentro il parchetto, incastrato ai piedi del Villaggio Olimpico ‒ un quartiere dormitorio di Roma, dove la vista vola rada, gli edifici sono sorretti dai pilotis, per facilitare lo sguardo all’orizzonte» (pag.9). Suo marito dovrebbe raggiungerli per darle il cambio, ma è in ritardo, problemi al lavoro. Quando finalmente spunta all'orizzonte, Viola non aspetta nemmeno che arrivi e corre alla sua lezione di yoga, lasciando Elia solo sul prato.
Dopo lo yoga e un caffè con Dora, la sua sedicente amica, la scoperta di una verità drammatica: Paolo non ha dato il cambio come si aspettava Viola e ora, in quel pomeriggio avanzato si confrontano con la perdita, con un possibile rapimento di Elia.
Dirlo alla polizia potrebbe peggiorare le cose – come genitori irresponsabili, Paolo e Viola potrebbero essere incolpati di abbandono di minore ‒ così la coppia prova a risolvere il mistero da sola mentre, a ritroso, si scopre la loro storia.
Si viene così a conoscenza così della tensione tangibile tra i due. Da tempo non sono più gli stessi, da quando Viola ha deciso di avere un figlio, a tutti i costi. E quando è rimasta incinta, al settimo mese, è stata vittima di un terribile incidente che l’ha trasformata, costringendola per mesi in ospedale e lasciandole vuoti di memoria. Per questo Paolo non la riconosce più, forse perché troppo assorbito dallo studio legale che si occupa di faccendieri che lucrano sotto l’occhio di una città che sembra dimenticare troppo presto. E con questo lavoro si difende dal dolore. Mentre Viola si protegge dal mondo con gli antidepressivi. E si aggrappa alle ombre, ed è sempre in bilico e ha come la sensazione perenne che «Elia le scivoli dalle mani mentre lo mette giù» (pag.15).
Neanche Elia, il bambino fortemente desiderato e nato per miracolo dopo l’incidente di Viola, è in grado di dare una svolta, di aiutarli a ritrovarsi. Anzi, è diventato «la sua [di Viola] prigione» (pag.10).
È in questo rancore, in questa incapacità di ricordare da parte di Viola come sia accaduta la perdita di Elia, che la storia procede.
Fino a quando il bambino viene ritrovato, accudito da una donna che la coppia conosce di vista.
Il racconto incalza il lettore, anche attraverso sbalzi temporali, e piccoli tratti dei personaggi o della storia che Federica De Paolis dissemina con parsimonia nel libro. E che poi chiarisce. Sono il ritmo, i dialoghi serrati, una scrittura che si fa a tratti materica, l’unità temporale, che è quella che va dalle prime ore del pomeriggio a quelle della sera, i personaggi con una personalità ben delineata, ad attirare il lettore. De Paolis è versatile nel costruire sia personaggi femminili che maschili (soprattutto quarantenni; i suoi primi tre libri, va ricordato, avevano come protagonisti uomini, mentre gli ultimi due hanno due donne come protagoniste). Cosa non sempre così scontata in uno scrittore.
L’unica figura che sembra indurre nel lettore il sospetto che la perdita di Elia non sia altro che un’illusione, e tutta la ricerca non sia che un modo per nascondere qualcosa di terrificante che può essere accaduto, è Viola. La sua storia è chiara, evidente, quasi palpabile, il suo dolore è qualcosa di trasparente. Di subdolo e di rapace. Ci si aspetterebbe di trovarsi in un romanzo come quello di Elvira Seminara de L’indecenza, o di Antonella Lattanzi di Quel che incombe. Invece no: il lettore rimane in quella inquietudine disperazione che sorge tra un palazzo e l’altro. Mentre i protagonisti chiedono, cercano, si fanno truffare, alla fine sembrano quasi cedere all’evidenza.
Federica De Paolis riesce a costruire il ritratto spietato della maternità che a tratti lambisce un disperato bisogno di cedere alla follia.

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