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Le diseguaglianze del nuovo diritto all’aborto riconosciuto dal Parlamento europeo

Le diseguaglianze del nuovo diritto all’aborto riconosciuto dal Parlamento europeo

La risoluzione Tarabella, modificata in sede di voto parlamentare, garantisce il diritto all'aborto ma non lo rende effettivamente omogeneo nei singoli stati dell'Unione Europea.

Giovedi, 12/03/2015 -
L’attenzione politica e mediatica sul voto alla risoluzione Tarabella, approvata l’altro giorno dal Parlamento europeo, non si è focalizzata sul suo impianto generale, ossia i temi attinenti allo stato della condizione di parità tra uomini e donne nella U. E., e sulle correlate proposte normative. Difatti i riflettori sono stati puntati per settimane sul riconoscimento del diritto all’aborto, previsto in appositi articoli, e non sulle nuove regole in materia di congedo parentale, gap salariale di genere, divario pensionistico ed implementazione di politiche proattive per l'occupazione femminile. Tant’è che il dibattito su aborto sì o no, come al solito, è diventata la bandiera ideale sotto cui si sono fronteggiati gli opposti schieramenti politici, mentre nel mezzo c’erano le donne, con i propri bisogni, difficoltà e vita. Nel testo originario della risoluzione veniva a tutte le europee riconosciuto il controllo dei propri diritti sessuali e riproduttivi ”segnatamente attraverso un accesso agevole alla contraccezione e all'aborto” sostenendo “pertanto le misure e le azioni volte a migliorare l'accesso delle donne ai servizi di salute sessuale e riproduttiva e a meglio informarle sui loro diritti e sui servizi disponibili". Ne sarebbe conseguito che la sua approvazione avrebbe comportato che l’Unione europea era legittimata a sconfinare nella potestà legislativa dei suoi singoli stati, per verificare la piena salvaguardia delle facoltà correlate all’esercizio del diritto all’aborto.



La possibilità che venisse meno il principio di sussidiarietà, che invece attualmente legittima normative nazionali diverse da quelle comunitarie, ha allarmato il gruppo parlamentare dei Conservatori e Popolari, al punto che si è deciso di non osteggiare direttamente il riconoscimento del diritto, bensì di depotenziarlo dei suoi riscontri certi. Sono stati presentati alcuni emendamenti da Mariya Gabriel a nome del gruppo PPE e si è iniziata una mediazione politica che ha visto come protagonista anche Patrizia Toia del gruppo dei Socialisti e Democratici. D’altronde le sue affermazioni della scorsa settimana ben evidenziavano i margini della trattativa: “E’ una buona risoluzione che afferma principi importanti ……però la frase sull’aborto poteva essere scritta meglio” e successivamente proponeva di associare all’ “accesso agevole” un esplicito riferimento ai “paesi dove esso è legale”. Senonchè dietro questo suggerimento si celava il reale intento dei conservatori e popolari, ossia rinsaldare la competenza nazionale in tema di aborto, baluardo su cui si sono in maniera compatta accorpati in un unico e coriaceo blocco rinsaldato dall’aggiunta di europarlamentari appartenenti ad altri gruppi politici.



Ne è palese dimostrazione l’esito del voto sull’emendamento proposto, in base al quale “l'elaborazione e l'applicazione delle politiche in materia di salute e diritti sessuali e riproduttivi nonché in materia di educazione sessuale sono di competenza degli Stati membri”, testo che con l’ulteriore specificazione che “nondimeno l'UE può contribuire alla promozione delle migliori pratiche fra gli Stati membri”, ha dato la possibilità anche a chi non appartenesse al gruppo dei Conservatori e Popolari di giustificare il suo voto a favore dell’emendamento. Ne è risultata la sua approvazione con 328 voti favorevoli e 312 contrari, certificando ulteriormente quanto aveva statuito la risoluzione dello scorso anno a salvaguardia del principio di sussidiarietà nella disciplina dei rapporti tra l`Unione Europea e le singole realtà nazionali in tema di elaborazione ed implementazione delle politiche per la salute sessuale e riproduttiva, nonché di educazione sessuale nelle scuole. Sei europarlamentari italiani dei Socialisti e Democratici hanno votato a favore dell’emendamento proposto (Costa, Danti, Morgano, Toia, Zanonato e Zoffoli), contrariamente alle decisioni del proprio raggruppamento politico di riferimento, ed una di essi, Silvia Costa, ha precisato con un tweet che “con questa importante mediazione, per la quale ho lavorato insieme ad altri colleghi del Pd, ho votato a favore della Risoluzione Tarabella sulla parità tra donne e uomini nell’Unione Europea”.



A Patrizia Toia ed a Silvia Costa, che va così fiera di questa mediazione, dovrebbe chiedersi se la posta in gioco, ossia negare all’Europa politiche sanitarie omogenee al riguardo del diritto all’aborto, va realmente a tutelare la libertà delle donne di decidere consapevolmente una gravidanza e soprattutto la salute di quante o sono costrette a ricorrere agli aborti clandestini o devono affrontare un aborto terapeutico. Proseguire ad erigere il totem idolatrato del principio di sussidiarietà sta a significare che in Irlanda, che vieta il diritto all’aborto se non in casi eccezionali, potranno continuare a morire ancora di setticemia donne a cui esso è negato, come è capitato a Savita Halappanavar. O che in Polonia potranno ripetersi casi di gravi danni alla salute di coloro alle quali un’interruzione di gravidanza non è consentita e per tutte si rammenta la vicenda di Alicja Tyasac, che fu costretta a proseguire la gestazione pur essendo i medici consapevoli che ne sarebbe conseguita la sua cecità. Potrebbero, di certo, le europarlamentari in questione ribadire che hanno votato a favore del diritto all’aborto come previsto dalla risoluzione Tarabella, che prevede in capo alla Comunità europea la possibilità di incoraggiare “le migliori pratiche fra gli Stati membri”. Ben magra consolazione ove si prenda atto di quanto sostiene l’Organizzazione Mondiale della Sanità per il 2014, ossia che i tassi di aborto nei paesi in cui non è legale sono più alti di quelli dei paesi in cui è consentito, dato peraltro inserito nell’art. 45 della stessa risoluzione a riprova della necessità di rendere omogenee in tutto il continente le politiche sanitarie al riguardo.



Di ben altro hanno bisogno le donne europee, di regole comuni per ogni Paese e di tutele eguali per ognuna di esse, al di là del singolo stato d’appartenenza. Questa deve essere la stella polare da seguire nel proprio mandato istituzionale, perché riconoscere un diritto e non prevederne le conseguenti garanzie vuole dire porsi su un piano di illegalità. Le norme servono a salvaguardare i soggetti più deboli, che peraltro non possono essere sacrificati su alcun altare ideologico. Nel comunicato stampa successivo alla votazione dell’altro giorno si legge che "I deputati ribadiscono che le donne dovrebbero avere il controllo sulla loro salute sessuale e riproduttiva, compreso un facile accesso alla contraccezione e all'aborto". Visto come è andata l’intera vicenda correlata alla risoluzione Tarabella non meraviglia l’uso del condizionale, perché di certo c’è solo che nulla cambierà rispetto al passato più o meno recente. Per il prossimo futuro c’è da auspicarsi che il gruppo parlamentare dei socialisti cerchi nuove alleanze, per esempio con i pentastellati che sull’emendamento sabotatore del diritto all’aborto eguale per tutte le europee si sono astenuti, per addivenire a normative nuove che consentano di coniugare all’indicativo e non al condizionale i verbi a garanzia delle prerogative in capo alle donne. Per onorare fino in fondo l’affermazione di principio con cui l’eurodeputato Marc Tarabella ha concluso la sua relazione, ossia che "Le donne e gli uomini non sono e mai saranno identici, ma è nell'interesse di tutti che godano degli stessi diritti”.

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