Lunedi, 28/05/2018 - E ora? Appena alzata, dopo l’inevitabile pinta di caffè, riappare in tutta la sua drammaticità la serata di ieri sera. Attaccati alla televisione, spettatori/trici impotenti del più grande attacco alla più alta Istituzione della Repubblica. Cosa sia successo veramente, e cosa ci aspetta lo vedremo nei prossimi giorni.
Intanto, la cosa che più ci ha colpito in tutta questa situazione è stata l’incontrollabile emotività del confronto pubblico, una crisi di nervi collettiva, che ha coinvolto tutti, accusatori e difensori della Presidenza della Repubblica, e che sta offuscando una situazione che bastano pochi numeri a descrivere in tutta la sua semplicità e gravità. Ci proviamo noi.
- L’Italia è un paese indebitato fino al collo. 2.200 miliardi e rotti di euro. E’ il terzo debito pubblico al mondo. Lo riscrivo: il terzo debito pubblico al mondo, dietro il Giappone e, ca va sans dire, la Grecia. Il rapporto tra il nostro debito e quello che produciamo, il PIL è di 131,5. Una situazione che non è certo colpa delle generazioni Under 50, le quali il vero potere economico, politico, sociale ed elettorale lo vedono ancora con il binocolo, ma che ci è stato gentilmente appioppato dalla dissolutezza delle generazioni precedenti.
- Non possiamo sottrarci dal mantenere questo debito pubblico. Quest’anno dobbiamo sostituire i titoli in scadenza e trovarne altri sul mercato per un totale di 400 Miliardi di Euro (lo riscrivo: 400 miliardi di euro) per pagare gli interessi e prendere, ancora una volta a prestito, soldi che ci servono per mandare avanti lo Stato. Entro il 2022, lo spazio della prossima legislatura, dovremo trovare in tutto sui mercati 1.063 miliardi di euro. Soldi che le nostre tasse non bastano, evidentemente, a trovare.
- L’evasione fiscale in Italia ammonta a 250 miliardi di euro all’anno, a rimanere bassi, la burocrazia ci costa 30 miliardi l’anno, la mafia ha un giro d’affari di 140 miliardi l’anno. Posso continuare, ma credo di avere reso l’idea. Nel confronto con gli altri paesi occidentali, per quanto rimaniamo, miracolosamente, il secondo paese manifatturiero d’Europa e il settimo al mondo, siamo un paese evasore, corrotto, improduttivo, disorganizzato arruffone e furbone. Abbiamo un lungo curriculum in questo senso, quello sì, purtroppo mai abbastanza gonfio. Lo sappiamo noi ma, soprattutto, lo sanno gli investitori, italiani e stranieri, che ci comprano il debito e che ci danno quella montagna di miliardi di euro che ci servono. E se lo fanno non è per filantropia, ma perché gli conviene, perché pensano che, nonostante la nostra cialtroneria endemica e cattiva reputazione, pagheremo comunque gli interessi e gli restituiremo i soldi.
- Non è che la nomina di Savona avrebbe automaticamente prodotto l’uscita dall’Euro. Se anche quello fosse stato il piano, ci sarebbe comunque stata una battaglia parlamentare senza precedenti, un quorum parlamentare irraggiungibile per fare le necessarie modifiche costituzionali e una serie infinita di eccezioni di incostituzionalità che avrebbero permesso al Presidente di non firmare leggi in questa direzione. Il sistema, comunque, avrebbe retto. Quello che non avrebbe sicuramente retto è il fragile sistema nervoso del mercato. Anche i nostri investitori sono emotivi, e li abbiamo messi a dura prova troppo spesso. Sui mercati internazionali, come nella vita, la credibilità viene ancora prima della realtà. E noi, diciamolo, non siamo credibili. Ne abbiamo combinate di tutti i colori in questi anni, e continuiamo a farlo. Quindi, tipo i tori con il fazzoletto rosso, alla sola parola di Savona e Piano B, i mercati hanno mandato segnali importanti. Nominare Savona a Ministro della Repubblica avrebbe prodotto una crisi isterica tra gli investitori già solo così, sulla (non) fiducia, e allora altro che default.
- Intanto abbiamo già perso una ricchezza collettiva di 200 miliardi per questo scherzetto. I mutui costeranno 50 euro in più al mese che dovranno pagare tutti, populisti e non. Ah, questi soldi, che abbiamo perso nell’indifferenza generale, equivalgono a 1,8 volte il budget della sanità, 3,6 volte quello della scuola, 5,8 volte quello delle politiche sociali e per la famiglia, 18,6 volte quello delle politiche per il lavoro (Fonte: Bilancio di Previsione dello Stato 2018 per Missioni e “Quanto costa davvero la Sanità in Italia”). Con le nuove elezioni, che costeranno 400 milioni di euro, ci avremmo potuto pagare tutta l’assistenza domiciliare socio-asssitenziale, che ci costa 350,7 milioni di euro all’anno, per più di 141.000 anziani over 65, per dire (Fonte: Indagine sui Servizi Sociali nei Comuni, Istat, 2014).
- Che ci piaccia o no, i nostri 2.200 miliardi e rotti di debito pubblico non ci consentono neanche di suicidarci (economicamente, s’intende), se per caso ce ne venisse la voglia. Come sa chiunque si sia mai indebitato fino al collo, i creditori ci tengono alla buona salute dei debitori, dato che vorrebbero riavere i loro soldi, e tendono a dire la loro su ogni scelta che possa minare il loro patrimonio. Siamo quindi una democrazia limitata? Si e no. Si, perché dobbiamo sempre tenere conto del vincolo dell’indebitamento e delle opinioni dei nostri investitori, che condiziona pesantemente le nostre scelte collettive. Non ci sono dubbi su questo. No perché nessuno ci ha obbligati a indebitarci, nessuno ci vieta di lavorare, riorganizzarci, fare le riforme per diventare un paese produttivo, migliorare il PIL, ripagare almeno in parte il nostro debito e ricomprarci spazi di libertà. Il futuro è sempre nostro, per quanto azzoppato dal nostro passato e, purtroppo, dal nostro presente. Basta prenderselo.
- Questi, che paiono concetti semplici, a prova della famosa “casalinga di Voghera”, devono scontrarsi con una narrazione mediatica che strumentalizza troppo spesso l’ignoranza di un paese dove quasi un italiano su 3 è analfabeta istituzionale. Un dato insostenibile per una democrazia adulta, ma assolutamente in linea con una democrazia fragile di nervi, capricciosa e in piena crisi adolescenziale quale ieri sera abbiamo dato prova di essere.
C’è quindi molto su cui lavorare per ricostruire il paese, ricreare un clima di sereno confronto democratico, lontano dall’isteria collettiva. Purtroppo, ci aspettiamo il peggio dall’incombente campagna elettorale, ma non disperiamo. Potrebbe essere anche l’occasione per impegnarsi nel cambiare il racconto dell’Italia, confrontarsi su nuovi contenuti e concetti. Fare veramente campagna elettorale discutendo su che paese vogliamo essere, parlando chiaro e semplice sulla realtà delle cose.
Quello che ci pare evidente è che tutte le forze sociali, associative e non, che fino ad oggi sono rimaste alla finestra, chiuse nella sfera dei lori interessi specifici e in attesa di interloquire con i nuovi vincitori, non si potranno più sottrarre dall’assumersi delle responsabilità più ampie e generali.
Il gioco si è fatto troppo pesante e ci sta per travolgere tutti. E tutte.
Sì, anche noi donne, stavolta dobbiamo fare la nostra parte. Molto ci aspettiamo dal ricco mondo dell’Associazionismo femminile troppo spesso nascosto e silente, che fino ad oggi ha combattuto nello stretto perimetro del proprio campo di battaglia: i centri antiviolenza, le Associazioni per la famiglia, per la promozione delle donne in politica, nel lavoro, nelle università, per la lotta alle discriminazioni ecc.
Ebbene, anche per loro, come per tutti, come per noi di Ladynomics, il campo dell’impegno sociale e politico si è improvvisamente allargato, non basta più rimanere nel nostro orticello.
Se questi tempi non ce li siamo certamente scelti, stavolta, che ci piaccia o no, siamo tutte chiamate a viverli nella loro pienezza.
Alle prossime elezioni, anche la nostra voce si dovrà sentire, alta e forte, su tutti e, soprattutto, su tutto. Articolo pubblicato in www.ladynomics.it il 28 maggio 2018
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