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L’età adulta della Bioetica (nata nel 1971)

L’età adulta della Bioetica (nata nel 1971)

La bioetica e lo sviluppo delle scienze neuro-cognitive - L’impressionante ascesa del potere della scienza ha creato nuove condizioni bio-mediche con risvolti morali un tempo inesistenti

Macellari Giorgio Domenica, 09/06/2013 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Giugno 2013

La Bioetica, com’è noto, nasce ufficialmente nel 1971. E non è affatto un caso se questo parto si deve a un medico, per la precisione all’oncologo statunitense Van Rensselaer Potter che, nel 1971, sorprende la comunità medica e filosofica mondiale proponendo, nel suo “Bioethics: Bridge to the future” un programma di cooperazione sinergica fra la scienza dei sistemi viventi e il sistema dei valori umani (1).

Da allora la Bioetica ne ha fatta di strada. E questo lo si deve a molteplici ragioni. Prima di tutto la sempre minore capacità seduttiva che avevano fino all’altro ieri le tradizionali visioni morali della vita, cosa che ha reso quantomeno necessaria un’etica applicata, facilmente fruibile nella concretezza dei problemi clinici da sbrogliare ogni giorno al letto del malato. Un secondo motivo, decisivo, è legato all’impressionante ascesa del potere della scienza, capace però di creare nuove condizioni bio-mediche con risvolti morali un tempo inesistenti e dunque chiamata in causa per darvi risposte appropriate.

Se poi si aggiungono l’incremento di complessità della vita odierna (con intersezioni dagli effetti imprevedibili), l’ondata di soggettivismo che caratterizza il profilo civico delle nuove generazioni, la maggiore sensibilità che l’uomo di oggi ha sviluppato nei confronti dell’altro (con inclusione delle creature viventi non umane nella cerchia delle attenzioni) e la “liquidità del nostro sistema sociale globalizzato e perciò divenuto luogo di incontro (e talora di scontro) di tante culture, ciascuna portatrice di specifici modelli morali e di peculiari tradizioni etiche, convinzioni, credenze e pratiche religiose anche molto distanti fra loro che, nel complesso, hanno a loro volta sollecitato nuove riflessioni sulla convivenza delle diversità, ecco spiegata l’irruzione della Bioetica nel mondo di tutti. Un’irruzione che ha scardinato i vecchi paradigmi e - al tempo stesso - ha rianimato la filosofia morale, avviandola a un salutare ripensamento delle proprie fondamenta.

La Bioetica ha insomma smantellato gli antichi falansteri, obbligando a guardare in faccia la realtà dei nuovi problemi posti dallo sviluppo, tanto impressionante quanto inatteso, delle scienze bio-mediche e neuro-cognitive. E ha dovuto relegare in un recinto protetto ogni rivalsa assolutistica, trattandola come un vivente a rischio d’estinzione: da custodire con le dovute premure per la memoria futura, ma anche da addomesticare per renderne innocui gli estremismi d’intolleranza e contenerne le esondazioni negli impervi territori della metafisica.

A tutto questo bisogna aggiungere il radicale cambiamento della scena della cura che si è registrato negli ultimi decenni. Un tempo la scena della cura aveva due soli protagonisti - il medico e il paziente - e la soluzione dei problemi si definiva con un dialogo riservato fra di loro. Oggi lo scenario è mutato. Si è arricchito e sbilanciato. Sono entrati a farne parte nuovi diritti (in particolare il diritto a buone cure e per tutti); e nuove istituzioni (le aziende sanitarie, con le loro logiche di economicità, efficienza e management, logiche non sempre compatibili con la specificità della professione medica, sempre attenta agli aspetti umanistici del mestiere). E a questo scenario si è affacciata una nuova consapevolezza da parte dei pazienti - incautamente definiti “clienti” - rafforzati da una facile accessibilità al sapere medico e divenuti dunque più esigenti, al punto che l’antica asimmetria della relazione medico-malato si è venuta sbilanciando per una pretesa di parità. Ma questa facile accessibilità a saperi un tempo appartenuti a pochi eletti non sempre è cautelata con un solido contrappeso di buon senso: così che la massa enorme e non adeguatamente filtrata di quei saperi finisce per travolgere quanti troppo disinvoltamente le si avvicinano, ma senza disporre di un bagaglio culturale sufficiente a non farsene invischiare.

Disciplina dunque non più giovane e ormai prepotentemente avviata alla sua età adulta, la Bioetica ha vissuto in Italia un particolare paradosso, in quanto affidata per lungo tempo soprattutto alla custodia degli atenei filosofici, mentre solo di recente le sue articolazioni hanno cominciato a suscitare un concreto interesse nel dominio accademico della medicina (il corso di Laura non prevede alcuna formazione specifica, mentre solo alcune Scuole di Specializzazione - ad esempio quella in Chirurgia - includono un esame di Bioetica). Anche per superare questo curioso paradosso alcuni chirurghi hanno recentemente dato vita al primo sodalizio ufficiale per la diffusione della materia almeno nell’ambito specialistico. E così nata la prima “Associazione Italiana di Bioetica in Chirurgia”, il cui atto costitutivo risale al 26 gennaio 2012.

Pensata e voluta dal prof. Daniele Maggiore chirurgo affermato e da tempo sensibile alle tematiche delle questioni morali applicate alla ricerca biologica e alla bio-medicina, l’Associazione si è proposta, come “mission” l’approfondimento di tutte le tematiche inerenti la Bioetica in campo chirurgico e la redazione di linee guida di Bioetica in Chirurgia per la pratica clinica, pur senza escludervi quei numerosi problemi di frontiera che avvicinano ogni operatore sanitario all’interrogazione morale.

Un lavoro non semplice, visto che praticamente tutti gli atti di un chirurgo - e, più in generale, quelli di qualsiasi medico - sono “Bioetica” o comunque risultano influenzati dalla riflessione Bioetica.

Ma anche un lavoro appassionante che, come meglio precisa Maggiore, intende “clinicizzare” il sapere bioetico, trasferendone i contenuti, le argomentazioni e la metodologia alla chirurgia e rendendone attuali i molteplici temi: testamento biologico, accompagnamento al morire, trapianti, donazione del corpo post-mortem, sperimentazione clinica, consenso, chirurgia estetica, chirurgia estrema, chirurgia esangue, chirurgia difensiva, uso sperimentale di animali non umani, accanimento terapeutico, biodiritto, interculturalità… insomma, una lista pressoché infinita.

E poi si tratta di far convergere, intorno all’Associazione, il maggior numero di chirurghi per lavorare insieme e creare pensiero e ricerca, discernimento, dialogo, libero confronto e ponderata riflessione e, quindi, produzione etica, pareri e linee-guida di cui il chirurgo si potrà servire, estendendole ovviamente anche ai professionisti di discipline affini (rianimatori, ginecologi, ortopedici…), senza escludere i medici di famiglia - sempre in prima linea - e con una particolare attenzione agli specializzandi. Il motto dell’Associazione potrebbe essere: educare i chirurghi giovani, consigliare quelli meno giovani, aggiornare i chirurghi formati e renderli tutti delle “mani che pensano”, mettendo sempre la chirurgia al servizio dell’uomo e senza mai permettere che venga messo l’uomo al servizio della chirurgia.

L’AIBC ha un Consiglio direttivo composto, oltre che da Daniele Maggiore - che ne è Presidente - e dal sottoscritto, da: Pierpaolo Dal Monte (Bologna), Ranieri De Maria (Roma), Enrico Di Salvo (Napoli), Francesco Guarnieri (Roma).

L’AIBC ha la sua Sede Legale in Via Comune Antico 5, 20125 Milano, mentre la sua Sede Operativa è in Via Mario Bianco 5, 20131 Milano, tel./fax 02-26827451. L’indirizzo mail è: info@aibc.it. Il sito internet (www.aibc.it), facilmente consultabile, permette la visione dello Statuto, offre una rassegna quasi giornaliera delle novità apparse sui quotidiani più diffusi e fornisce le informazioni per una facile iscrizione: più iscritti ci saranno e più consistente sarà la forza propositiva, formativa e innovativa dell’Associazione.



*Direttore UO Chirurgia Senologica, AUSL di Piacenza

1. Solo per precisione filologica si ricorda che il primo uso del termine “bioetica” si deve a Fritz Jahr che, nel 1927, parlò di “imperativo bioetico” nello sfruttamento umano di fauna e flora. L’articolo Bio=ethik è stato tradotto in italiano da T. Brescia in“Olos o logos: il tempo della scelta - Scienza, bioetica e biopolitica per il Terzo Millennio”, Nexus, Padova, 2011.























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