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L’arte, medicina della mente

L’arte, medicina della mente

Parliamo di Bioetica - Il secolo che abbiamo alle spalle più che utopie ha costruito distopie, e le ha anche realizzate. È il tempo di ricordarsi dell’arte - e dell’arte di ragionare: tutti siamo artisti...

Clementina Gily Reda* Lunedi, 20/01/2014 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Gennaio 2014

L’arte è una vera e propria, trascurata, terapia dello spirito: mette davanti alla pagina bianca, alle dimensioni di una tela, impone scelte metodiche, abbozzi di luci ed ombre - ed è già entrata in gioco e non illusione: anche questi piccoli passi chiedono la guida al fine che vale da indirizzo.

Adottare il modo della conoscenza estetica vuol dire fare come un pittore; conoscere quel che è vicino, cambiarlo per farlo più rispondente all’ottimo, alla luce, modificare il passo per svelare l’ineffabile sempre di più: in una sola parola: mettersi in forma nel mettere in forma. È il metodo che s’impara nelle convalescenze, il gioco del dolore che piano piano guida a recuperare le forze insegnando la volontà di volere: le malattie della mente sono più insidiose, meno esplicite - ma rispondono anche meglio alla terapia metodica dell’arte. D’altronde non a caso il termine ‘arte’ ha tanti significati.

Perché è il processo che trasforma il labirinto dell’ansia in un maze: non è una parola che tutti conoscono, indica il labirinto erboso o in muratura dei giardini, mentre anche gli inglesi definiscono quello di Minosse un labirynth. Giusto dare un doppio nome, perché Minosse lo costruì per perdersi, mentre chi realizza un maze costruisce un gioco che fa girare in tondo per sperimentare senza pericolo. Si sperimenta com’è facile confondersi, se non si sanno guardare le cose dall’alto, o almeno da un altro punto di vista: il maze è fatto per ritrovarsi. Il bosco della Baba Jagà è stregato, ma Gretel e Pollicino ne escono, basta vincere paura e pigrizia, rischiare, creare lo spazio finzionale della speranza, il mondo futuro come utopia possibile.

Il secolo che abbiamo alle spalle più che utopie ha costruito distopie, e le ha anche realizzate: si pensi ad Aldous Huxley ed al suo classico Brave new world - Brave, ricordo, vuol dire selvaggio. Ebbene, il mondo d’oggi gli somiglia, con interessanti varianti che centrano punti focali del nostro orizzonte. L’ipotesi di Huxley riguarda in sé proprio l’oggetto diretto della bioetica - la possibilità di agire sul DNA consente nel racconto la creazione della società del benessere; ogni cittadino grazie alla programmazione genetica, a ben regolate suggestioni subliminali, a giuste misure di droga, di vivere felicemente sempre, biologicamente e socialmente programmato per un certo tipo di vita. Uomini costruiti già alla nascita di prima, seconda e terza scelta realizzano infine l’ordine sociale e la fine della violenza: la felicità risulta dalla rinuncia alla libertà e accettazione del condizionamento.

Se si toglie la conquista biologica, l’oggetto del contendere fondamentale della bioetica, si vede bene che il nuovo mondo selvaggio è lo stesso di tante altre distopie già realizzate: Michele Serra ne ha appena dato una definizione dedicando il titolo del suo ultimo libro agli sdraiati, gli uomini d’oggi che in misura più e meno avanzata subiscono più che vivono il loro mondo. Basta pensare ai ragazzi che non cercano più un lavoro, agli esodati che si tranquillizzano furoreggiando al computer, ai possessori di uno smart phone che formano il popolo dei we never look up, come s’intitola un divertente sito di foto in rete.

Tutti potenziali non elettori, sfiduciati che lasciano il mondo agli altri e si preparano ad essere abitanti della Telepolis di Echeverria, i nuovi sfruttati alienati dalla loro vita, che donano il loro tempo per donare proventi di pubblicità alle televisioni e reti varie saldamente in mano alla finanza: saperi commerciali senza etica professionale.

Quel che non fa la televisione fa la tecnologia, e si diffonde così la tentazione a fare la storia di sé al passato, a raccontarsi allo psicanalista invece di agire, ad ingrossare il mondo dei blog e di facebook con le proprie chat più banali - e la depressione si rinforza, può diventare tanto forte da diventare malattia; si atrofizza la reazione normale e si esplode poi di colpo con violenza, quando venga messa in crisi la propria sovranità, resa evidente e sostanziale dal telecomando. Perché poi qual è il mondo reale? Ricordate l’inizio di Matrix che un giorno lontano ci introdusse nel mondo dei videogiochi: Welcome in the Real World… Ecco: il nuovo mondo selvaggio è qui presente, le tradizioni di vita e di pensiero sono tanto cambiate da generare vertigine. Ansie e depressioni: e inoltre crollo di saperi tradizionali, filosofici, giuridici.

È il tempo di ricordarsi dell’arte - e dell’arte di ragionare: tutti siamo artisti, conosciamo qualche linguaggio d’arte, siamo attratti dalla bellezza - l’arte chiede sempre risposta. Basta sollecitare lo spirito di iniziativa, la volontà di discutere i saperi, la risposta è forte e chiara - e se non tutto è chiaro tutto diventa mirabilmente in via di chiarificazione, si inizia il pellegrinaggio. Chi non ha sa di pittura sa di fotografie e di YouTube, sa di musica; sono tutte esperienze belle, e in tutte valgono i suddetti metodi di laboratorio: anche gli sdraiati sono nel pieno di una esperienza estetica.

Quel che loro manca è la coscienza, la consapevolezza che il pensare attivo è un gioco faticoso in cui occorre conoscere le regole. Quella basilare del conoscere estetico sta nel saper dire questo è un gioco e poi non gioco più: se non lo si sa fare, la più bella messa in gioco diventa una squallida illusione, una delusione, e ci si accorge tardi che non si è capito il dolore di chi si ama o non si è afferrato il senso di quel gioco, e si è recitata come commedia una tragedia. Invece della vittoria, una miseria abissale. Saper sognare i sogni del giorno senza farne un incubo è la scelta che è nelle mani di ognuno, è il diritto alla libertà per cui bisogna battersi ogni giorno, da sole e insieme - l’arte indica il metodo giusto e la filosofia lo spiega, lo stira, lo rende chiaro: consente di capire la verità e di avere fede nella sua possibilità perché è affermata con chiarezza, è dimostrata come sa fare la filosofia, con un ragionamento euristico, metodico.



Clementina Gily Reda, Università Federico II di Napoli

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