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L’arte delle medichesse medievali nelle ricerche di Isabella Gagliardi

L’arte delle medichesse medievali nelle ricerche di Isabella Gagliardi

L'interessante volume della studiosa e docente presso l'Università di Firenze, dal titolo “Anima e corpo”, ci parla dell’universo femminile tra l’XI e il XVI secolo

Venerdi, 31/03/2023 - Quello con Isabella Gagliardi è stato un incontro fortunato e, fin dal primo momento, all’insegna della schiettezza e della cordialità. Ho letto un suo interessante articolo sulla pagina francese del The Conversation, il media online generalista che offre articoli di analisi delle notizie scritti da accademici e ricercatori. L’articolo in questione si intitola “La disparition progressive des femmes médecins du Moyen Âge, une histoire oubliée” ed è stato pubblicato su questo stesso portale anche nella versione inglese. Poiché in quelle settimane stavo conducendo una ricerca sulle medichesse medievali per farne un articolo di giornale, l’ho contattata, chiedendole l’intervista che leggete di seguito. L’ho conosciuta di persona subito dopo questo primo contatto via email, perché si trovava in Francia, un Paese che lei ama molto, per presentare il suo libro bel libro Anima e corpo, edito da Carocci. Isabella Gagliardi è professoressa associata di "Storia del Cristianesimo" all’Università di Firenze. Da luglio 2021 è membro associato del Laboratorio di Studi sui Monoteismi - UMR 8584 e da ottobre 2017 senior fellow presso il Progetto Archivio Medici. Ha collaborato a diversi progetti di ricerca nazionali e internazionali. È anche ricercatrice ospite della DEA | Direttori di studio associati della Maison des Sciences de l’Homme Foundation (FMSH). Poliglotta e studiosa anche delle lingue antiche, Isabella Gagliardi si interessa in modo particolare della storia delle donne e del rapporto tra saperi tecnici e saperi religiosi.

La prof.ssa Gagliardi, oltre a tutto questo, è anche una persona di una simpatia e di una schiettezza uniche e parlare con lei è molto piacevole ed arricchente. Nei giorni in cui abbiamo avuto modo di confrontarci, ho percepito, oltre alla sua gran cultura, da studiosa rigorosissima, attenta e caparbia, anche e soprattutto la sua immensa umanità.
Le mie domande sono sulla condizione delle donne medico nel Medioevo. Le risposte della professoressa ci fanno scoprire un mondo di storie, saperi e competenze al femminile di grande ricchezza e complessità, che richiede un paziente lavoro di scavo. Spesso, tuttavia, la ricerca si scontra con difficoltà oggettive, di cui Gagliardi ci parla di seguito.

Nel suo articolo sul The Conversation, lei mette in evidenza le difficoltà della ricerca che verte sulla professione medica delle donne nel Medioevo. Quali e quante sono queste difficoltà?
Questo tipo di ricerca è complesso perché non può basarsi principalmente su serie documentarie precise e ben individuate, proprio perché tratta di fenomeni e di persone che, nella maggior parte dei casi, si situano ai margini delle istituzioni. È ovvio, ma forse non è del tutto inutile ricordarlo ancora una volta, che le istituzioni sono il luogo deputato a produrre una documentazione destinata a restare nel tempo o, almeno, che più difficilmente tenderà a scomparire e a disperdersi nel corso della storia.

Su quali fonti bisogna dunque lavorare per reperire i nomi e le attività di queste medichesse gradualmente escluse dalla storia della medicina, o comunque messe ai margini di essa?
Le informazioni utili per la nostra ricerca sono perlopiù collocate al di fuori di serie documentarie istituzionali precise e ben ordinate; piuttosto sono frammentate in numerose e differenti testimonianze prodotte da quelle istituzioni con cui i soggetti di nostro interesse vennero a contatto durante la loro esistenza e in modo tale da segnarle, provocandone una reazione documentaria, per così dire. Non di rado affiorano porzioni della loro memoria in fonti che registrano la condanna di persone considerate “non abilitate” alla professione medica, dunque fonti di tipo giudiziario o processuale. Inoltre, altre informazioni emergono in documenti privati (testamenti, transazioni patrimoniali, epistolari, minute notarili e via discorrendo) o letterari (racconti in prosa, letteratura parenetica o devozionale, elegie, opere poetiche e canzoni eccetera). Pertanto, è proprio il fattore costituito dalla disseminazione/dispersione delle notizie che obbliga a visionare una grandissima mole di documenti per ricavare poche e, spesso, incomplete affermazioni a rendere la ricerca complicata. Infine occorre considerare come gli archivi in cui il ricercatore può visionare molto materiale antico in tempi ragionevoli sono veramente rari: anche archivi grandi, ben ordinati e di fama internazionale – uno per tutti l’Archivio di Stato di Firenze – sono afflitti da endemica povertà di risorse e da una politica di assunzione del personale ben al di sotto delle reali necessità dell’utenza, perciò la richiesta dei manoscritti da consultare è disciplinata in modo da limitare la quantità di pezzi visionabili al giorno. È intuitivo: se è necessario esaminare moltissimi documenti per ottenere poche notizie, potendo esaminare pochi documenti al giorno, quante notizie sarà possibile ottenere in tempi non biblici?

Parliamo delle donne che, con la loro arte medica, risultarono particolarmente utili durante la peste bubbonica del 1300
Affronto la questione relativa a queste donne in un capitolo del mio ultimo libro, intitolato Anima e corpo. Donne e fedi nel mondo mediterraneo (secoli XI-XVI): si tratta di donne che hanno imparato a curare gli ammalati attraverso sistemi di formazione non istituzionalizzati. Sono figlie di medico, oppure mogli o sorelle di medico, cioè sono donne alle quali un parente di sesso maschile ha potuto e voluto insegnare l’arte. All’epoca della pandemia del 1347-1351 la grandissima Scuola di Salerno, dove in passato si erano formate medico donna, attraversa una fase di declino e dunque non è più un luogo in cui si pratica l’istruzione nella medicina come in passato. Ma continuano a esistere donne capaci di diagnosticare le patologie e di curarle. Ciò che, a mio parere, va sottolineato è che in tempo di peste andavano bene persino le donne medico!

Suore farmaciste: mi interesserebbe molto sapere come lavoravano e qualche nome. Inoltre penso che lei, spesso, si trovi anche ad indagare i rapporti tra le istituzioni politico-religiose e l’arte medica. È così?
Le suore farmaciste ci sono e sono più facilmente individuabili delle altre “specialiste” non religiose perché hanno segnato la documentazione dei monasteri e dei conventi. Ce ne sono di famose, per così dire. Nel suo libro Forgotten Healers: Women and the Pursuit of Health in Late Renaissance Italy Sharon T. Strocchia ne rivela alcune. In particolare mi piace ricordarne una, una monaca benedettina di nome Orsola Fontebuoni, attiva nella prima metà del Seicento, che era legatissima alla corte granducale e, in particolare, alla Granduchessa Maria Maddalena d’Austria. Quest’ultima la contattava per risolvere vari problemi di salute suoi e anche dei familiari e del marito, il Granduca. Tra i molti rimedi consigliati dalla monaca, se ne trovano di curiosi, tra cui anche il così detto “acciaio stillato”, un medicamento ricavato per infusione mettendo dei chiodi di ferro a bagno nel vino con l’aggiunta del liquore di san Niccolò di Bari. Per ritornare a quanto si diceva prima sulle fonti, notiamo come una parte notevole dei dati pubblicati nel libro di Strocchia provenga dall’analisi degli epistolari di corte, condotta presso una istituzione statunitense ma operante in Italia, il centro di ricerca “Medici Archive Project” che, tra i tanti meriti, ha anche quello di rendere fruibile una gran massa di documentazione medicea attraverso la riproduzione digitale. Il libro di Strocchia mostra con chiarezza che a Firenze le monache speziali erano comunque donne al passo con la letteratura scientifica della loro epoca, erano impegnate nella sperimentazione in orticoltura e si preoccupavano di passare ad altre monache, destinate a sostituirle nel tempo, le proprie conoscenze. Erano dunque professioniste à la page, per così dire.

Perché era così difficile, per una donna, fare il medico durante il Medioevo?
Perché, semplicemente, la donna era esclusa dallo studio universitario nonché dall’esercizio ufficiale di professioni intellettuali come, ad esempio, quella del notaio o del medico. Ricordiamoci che stiamo parlando di esseri umani a cui non era riconosciuta la pienezza del diritto: erano ‘minori’ esattamente come i bambini prima di raggiungere la maggiore età, avevano cioè bisogno di un tutore, fosse il padre, il marito, il fratello, il mundualdo1 o chi per esso. Per quanto vi siano state eccezioni, la regola non cambiava ed era quella che prevedeva uno statuto di inferiorità della donna rispetto all’uomo.

Nell'articolo sul The Conversation, lei fa riferimento al particolare fervore culturale che era possibile trovare all'interno della famosa Scuola medica salernitana. Parliamone.
Esiste un’importante letteratura a riguardo e altri articolati e ricchi studi sono in corso di redazione da parte di studiose e studiosi: non esageriamo affatto se sottolineiamo la straordinaria rilevanza della Scuola di Salerno nell’Alto e Pieno Medioevo. Si trattò di un’istituzione di altissimo profilo, possibile anche perché sorse e si sviluppò alla confluenza di culture diverse. Una valente medievista dell’Università di Salerno, Amalia Galdi, ha di recente dedicato articoli molto ben documentati a questa Scuola. In rete si può trovare un breve, efficace, abstract e la menzione dei suoi lavori; vi invito pertanto a cliccare qui: https://docenti.unisa.it/001234/ricerca/focus?id=484

Come si poteva diventare medichesse autorizzate lungo il corso del Medioevo e oltre?
Ricevendo un riconoscimento e un’autorizzazione precisa e individuale da parte delle istituzioni preposte a valutare la preparazione dei medici e a sorvegliare l’esercizio dell’arte medica. Si poteva trattare di collegi di medici a ciò preposti o di una istituzione scolastica a ciò deputata, o ancora di un medico investito di tale autorità da una istituzione politica, ma era necessario sottoporsi a una sorta di esame, a una specie di indagine che doveva certificare la possibilità di esercitare e delimitava i confini e i limiti dell’esercizio. È il caso, tra i molti e a mero titolo di esempio, di una medico ebrea rintracciata da Angela Scandaliato e di cui parlo anch’io nel libro Anima e corpo, tale Cusina di Filippo da Rastimo che, agli inizi del XV secolo fu esaminata, a Cosenza, da un medico ebreo di nome Benedetto da Roma. Superando l’esame Cusina poté esercitare.

Lei nel suo articolo parla del graduale declino della scuola salernitana e del potere acquisito in questo campo dall'Università di Parigi. Cosa determinò per le donne aspiranti medico questo cambiamento?
Proprio su questo argomento sto lavorando adesso, mentre prendono forma scritta i risultati della ricerca ho potuto condurre in Francia grazie alla fiducia riposta nel mio progetto da enti prestigiosi quali la Fondation Maison de Sciences de l’Homme, il Laboratoire d'études sur les monothéismes LEM - UMR 8584 di Parigi, il CESR dell’Università di Tours; istituzioni a cui va la mia gratitudine assoluta. Soltanto una parte di questi risultati, infatti, sono confluiti in Anima e corpo, il resto sarà oggetto di un’altra pubblicazione, magari anche in francese perché mi piacerebbe restituire alle istituzioni culturali di questo grande e civile paese il risultato dell’indagine che ha reso possibile. Dunque, in buona sostanza, risponderò a questa sua domanda con un’altra pubblicazione!

Quali sono le scoperte più eclatanti alle quali l'hanno condotta i suoi studi?
Ho potuto ricostruire molte, piccole, storie: storie di donne comuni che hanno vissuto condizioni di eccezionalità del quotidiano in ragione delle loro capacità di costruire, di reagire, di risolvere e di amare e che, però, non essendo né particolarmente ricche, né particolarmente famose e neppure, possiamo dirlo, particolarmente fortunate, sono rimaste sepolte dalla dimenticanza. Anche grazie agli studi e alle ricerche mi vado sempre più convincendo che, al di là delle capacità personali, dell’impegno e del coraggio individuale, molto spesso sono le circostanze fortuite a determinare il successo (dunque anche la memoria) di fenomeni e situazioni. Nascere in un luogo anziché in un altro, nascere in una certa famiglia anziché in un’altra, o ancora fare determinati incontri anziché altri, sono elementi imponderabili che, tuttavia, possono tirannicamente decretare il successo o il fallimento delle persone. E fin qui già il buon Guicciardini si era espresso. Tutto questo, però, assume un rilievo ancora maggiore quando si parla delle donne e, in particolare, delle donne marginalizzate e poi condannate e/o dimenticate. Donne di valore, donne straordinarie, con un’eccezionale resistenza alla frustrazione e contro il cui talento, la cui intelligenza e la cui passione si sono accaniti, lasciatemelo dire, uomini mediocri – a cui, però e purtroppo, altre mediocri donne han fatto da sponda per tornaconto o per invidia – sono state private di quel riconoscimento e di quell’apprezzamento che avrebbero più che meritato. La mia scoperta più eclatante sono dunque loro, le nostre ave delle quali talvolta resta poco più che il nome e il luogo d’origine, o magari restano i brandelli della loro vicenda personale e le loro opere anonime. Con fatica ho cercato di ricostruirne le identità e di restituirle alla percezione della contemporaneità e alla storia. Dunque sono loro la scoperta più eclatante.
La mia speranza e il mio augurio, ora, è che ci ispirino a sgretolare quel corsetto soffocante in cui ci vorrebbe rinchiudere chi “bullescamente” ci svaluta solo per autolegittimarsi e per impossessarsi dei nostri meriti, com’è successo alle donne di cui ho provato a tessere le storie. “Exoriare” – diceva Didone – “ex ossibus nostris aliquis ultor”; e Didone aveva visto (e vinto) l’abisso. Con buona pace dei costruttori di corsetti soffocanti.


Note
1. Nel diritto longobardo, il titolare del mundio, capo assoluto e protettore del nucleo o gruppo famigliare.

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