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La grazia (parziale) concessa a Aung San Suu Kyi. Intervista a Cecilia Brighi

La grazia (parziale) concessa a Aung San Suu Kyi. Intervista a Cecilia Brighi

La giunta militare Birmana, le violenze dopo il colpo di stato, gli interessi di Cina, Russia e India che si contendono il controllo politico ed economico di quel territorio

Mercoledi, 02/08/2023 - È recentissima la notizia della ‘grazia parziale’ concessa a Aung San Suu Kyi dalla giunta militare Birmana. Cogliamo l’occasione per interpellare Cecilia Brighi, profonda conoscitrice della politica estera che, tra i vari incarichi, è anche Segretaria Generale dell’associazione Italia-Birmania.

Come interpreta questa decisione del governo birmano?
Da oltre due anni e mezzo la Birmania è vittima di una repressione genocida da parte della giunta militare che il 1° febbraio 2021 ha attuato un violento colpo di stato per evitare che si insediasse un parlamento democraticamente eletto e che avrebbe visto la leader birmana Aung San Suu Kyi guidare il nuovo governo semi civile.
Nonostante nel corso di questi due anni la giunta militare abbia consumato massacri di massa, bombardamenti a tappeto che hanno spazzato via quasi 2000 villaggi e 70.000 abitazioni, è riuscita a controllare meno della metà del paese, tanto che è stata costretta a prorogare di altri 6 mesi lo stato di emergenza, a mantenere la legge marziale, soprattutto nelle zone industriali e a spostare le elezioni illegali al suo termine. Come spesso avviene in occasione di una importante festività buddhista, 7.749 detenuti sono stati liberati e tra questi solo uno sparuto gruppo di 120 prigionieri politici.
Alla leader birmana Aung San Suu Kyi sono stati condonati 6 anni di carcere sui 33 ai quali è stata ingiustamente condannata, e che dovrà scontare, agli arresti domiciliari. Questa decisione, osannata da molti esponenti politici, prima ancora di capire che era una trappola, non promette nulla di buono e i militari l’hanno utilizzata per tastare il terreno delle reazioni internazionali, per spaccare il movimento e per cercare di rifarsi una immagine di clemenza a fronte delle stragi, degli arresti e delle condanne internazionali. Il miglioramento delle condizioni di detenzione della leader 78enne, rappresentano solo il tentativo di sfruttare il potente status simbolico di Aung San Suu Kyi per superare gli ostracismi in seno all’Asean, che aveva bloccato la partecipazione dei leader militari ai vertici di questa organizzazione regionale. Inoltre, tra un mese e mezzo si aprirà l’Assemblea Generale ONU che dovrebbe valutare se dovrà essere la giunta o il Governo di Unità Nazionale, che rappresenta le forze democratiche ad essere riconosciuto come legittimo rappresentante del Myanmar. Sicuramente la giunta cercherà di far valere queste decisioni a suo favore. Ma sarà sicuramente un altro colpo a vuoto.

Ha notizie della salute di Aung San Suu Kyi?
Non si sa molto delle attuali condizioni di salute della leader birmana, che ha 78 anni e che ha vissuto molti anni in isolamento e agli arresti domiciliari. A settembre scorso, durante la detenzione in isolamento, ha avuto diversi problemi cardiaci e la suppurazione di alcune punture di insetti. È noto che nelle carceri birmane le condizioni igieniche sono estremamente precarie e vivere in isolamento in quelle condizioni sicuramente non aiuta, ma Aung San Suu Kyi è una donna che ha dovuto affrontare nella sua vita con straordinario coraggio condizioni di grande precarietà e una lotta in solitudine contro un esercito di quasi 500.000 unità.

Attraverso le sue fonti conosce più in dettaglio la situazione in quel paese. Cosa sta accadendo?
La Birmania/Myanmar è un paese di straordinaria importanza geopolitica. Cina, Russia e India si contendono il controllo politico ed economico di quel territorio. Nei cinque anni di governo semi-civile guidato da Aung San Suu Kyi sono stati fatti grandi passi in avanti sul terreno delle riforme economiche e infrastrutturali, con grandi investimenti nella istruzione, sanità e infrastrutture stradali e energetiche che hanno migliorato le condizioni di vita di milioni di persone le più svantaggiate. Con la vittoria alle elezioni del novembre 2020, la leader birmana si era impegnata a promuovere una governance democratica delle imprese sotto il controllo militare, a ridurre drasticamente i livelli di corruzione e il ruolo dei signori della droga. Tutte questioni spinose per i militari che volevano continuare a trarre profitto dal potere economico conquistato nella precedente dittatura. In particolare Min Aung Hlaing, capo delle forze armate avrebbe voluto diventare presidente della repubblica, per evitare di essere perseguito per i crimini contro i Rohingya.
Certo sono stati fatti anche molti errori da parte del governo della Leader birmana, soprattutto nel rapporto con gli etnici e sulla vicenda della repressione militare nei confronti dei Rohingya. Errori che hanno offuscato la sua immagine internazionale, in una strategia voluta dai militari che hanno tratto vantaggio da questo indebolimento.
D’altronde spesso i media internazionali hanno sottovalutato che la Costituzione birmana garantisce ai militari il controllo dei gangli strategici del paese e quindi anche delle vicende legate agli attacchi genocidi nei confronti dei Rohingya.
Purtroppo per la giunta, il colpo di stato non ha fatto i conti con un popolo, molto giovane, che aveva assaporato, anche se per meno di 10 anni, i vantaggi della libertà e di una democrazia, seppur zoppa. Dopo oltre due anni la resistenza civile non violenta e armata, senza sostegni internazionali è riuscita ad indebolire la giunta.
Migliaia di giovani donne, moltissime semplici operaie, sono le leader del Movimento di Disobbedienza Civile, altre migliaia hanno costituito i People Defence Forces, la resistenza armata a cui hanno aderito anche centinaia di ragazze.
L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia e le sue ripercussioni umanitarie, politiche, economiche e sociali hanno cancellato dalle agende internazionali questo paese e le ripercussioni di un colpo di stato sostenuto da Russia e Cina, principali esportatori di armi in Birmania e con enormi interessi geopolitici ed economici nel paese.

La ‘grande’ informazione in Italia trascura gli avvenimenti all’estero. Alla luce dei profondi cambiamenti geopolitici in atto, che conseguenze può avere per noi?
La lotta per la democrazia in Birmania ci riguarda da vicino perché Russia Cina e India puntano a controllare questo paese e per farlo devono mantenere viva la dittatura.
Ormai gli spazi democratici nel mondo si stanno restringendo e si deve comprendere che gli impatti negativi raggiungeranno noi. Un piccolo esempio: la Birmania è il terzo produttore di terre rare al mondo e la Cina che è il più grande trasformatore mondiale di minerali rari ha aumentato nei primi sei mesi del 2023 del 70% le importazioni di terre rare dalla Birmania rispetto alla seconda metà del 2022 e nove volte in più rispetto alla prima metà. La Cina ha un interesse strategico in Myanmar, che considera una sua provincia. Ha siglato una serie di accordi per la costruzione di grandi infrastrutture per il collegamento tra lo Yunnan e il Mar delle Andamane da dove intende controllare l’Indopacifico per poter poi muoversi con minori rischi su Taiwan. La Russia sta cercando di bypassare le sanzioni europee vendendo oil e gas alla Cina attraverso un gasdotto e oleodotto che attraversa la Birmania. L’alleanza tra Cina e Russia sulla Birmania risponde al progetto strategico di un controllo e manipolazione autocratica dei paesi poveri.
Tutti elementi e strategie che indeboliscono e mettono a rischio i principi su cui si fondano i nostri paesi, che nonostante le mille critiche possibili, hanno spazi di democrazia , partecipazione e persino livelli di parità di genere inaccessibili in paesi dominati dalle dittature. Se si consolidasse la dittatura birmana, ne pagherebbe un forte prezzo anche la democrazia in altre parti del mondo e quindi anche in Europa. 

Intervista a cura di Tiziana Bartolini

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